15 NOV 2022 · 𝐋𝐀 𝐌𝐔𝐒𝐈𝐂𝐀 𝐂𝐎𝐌𝐄 𝐏𝐑𝐀𝐓𝐈𝐂𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋'𝐈𝐌𝐏𝐎𝐒𝐒𝐈𝐁𝐈𝐋𝐄 - Monografie oltre ai generi
𝗗𝗮𝗹 𝗰𝗶𝗲𝗹 𝗽𝗿𝗼𝗳𝗼𝗻𝗱𝗼 𝗼 𝗹'𝗮𝗯𝗶𝘀𝘀𝗼: 𝗹𝗲 𝗮𝗻𝗶𝗺𝗲 𝗱𝗶 𝗗𝗶𝗮𝗺𝗮𝗻𝗱𝗮 𝗚𝗮𝗹á𝘀
Nota alle cronache per essere la diva dell’avantgarde newyorkese, nell’ultima puntata de La Musica come Pratica dell’Impossibile di Michele Selva si va alla scoperta dell’arte e della personalità fuori dal comune di Diamanda Galás: artista eclettica, scioccante e dalla luminosa oscurità, per parafrase il titolo dell'episodio. Una voce la sua, unica e prodigiosa cresciuta fertile attraverso gli studi classici che le hanno permesso di esprimere tutto il suo potenziale, dato da una prorompente e celebrata estensione vocale superiore alle tre ottave e mezzo ma anche da una specificità di stile veramente unica nel panorama mondiale contemporaneo.
La sua forza vocale dai connotati oscuri e luciferini le hanno permesso di abitare in maniera drammatica letteratura, storia, l'impegno sociale in cui ha raccontato la sofferenza degli emarginati e la lotta costante per superare la malattia mentale, oltre ad un'ispirazione multi-culturale: emerge in molte delle sue opere infatti, l’ineffabile melisma per le tradizioni vocali medio orientali influenzate dalle sue origini mediterranee, oltre ad un spiccato interesse per la fisicità, lo “sporco” e il recitativo, pur mantenendo affinità all’impostazione del canto classico. Galás è riuscita a fondere subconscio, magia e storia in un flusso sonoro altamente emozionante, composizioni per voci sovraincise ed elettronica dissonante, estremamente convulse e opprimenti.
Tra i suoi album memorabili, connotati da generi diversi che spaziano dal blues, fino al jazz e al gospel ma sempre improntati alla sperimentazione, ricordiamo l’assolo canoro di dodici minuti di "Wild Women With Steak-Knive” (1982) in cui blocchi di grida orrende, rapidissime e concitate, si alternano vagiti disumani; poi nello stesso anno le "Litanies Of Satan”, Galás recita i versi maledetti dell’inferno di Baudelaire più enfatica e sguaiata che mai, mentre un tamburo batte colpi funerei, l'elettronica solleva folate gelide e altre voci filtrate borbottano in sottofondo; e poi ancora, questa volta è dal vivo che Diamanda stupisce il pubblico: nel 1991 l'iconico concerto registrato presso la Cattedrale di St. John the Divine a New York, dedicato e ispirato ai malati e ai morti dell’AIDS, tra cui l’amato fratello deceduto poco tempo prima proprio per aver contratto il virus. Diamanda qui è la peste nera, la personifica in una propria, teatrale e potente liturgia per creare liberazione e sensibilizzare l’opinione pubblica su un fenomeno, quello che riguarda i malati di HIV, che ne ha portato all'ostracizzazione nell’America di quei anni.
“La morte non è nel non poter comunicare ma nel non essere più compresi” diceva Pier Paolo Pasolini e Diamanda, sua grande ammiratrice, ha fatto di queste parole il suo mantra, inseguendo quella eccentricità stilistica attraverso vari linguaggi sperimentati e interpretati nella sua carriera artistica; solo una minima parte di essi sono stati ricordati in questa presentazione, per scoprirne di più non perdetevi questa biografia in musica dedicata all’artista americana.
Un programma a cura di Michele Selva
Regia di Alessandro Renzi
Immagine elaborata da una fotografia di Paul Harris - Tutti i diritti riservati