Di solito scrivo sempre di getto qualcosa dopo aver terminato una lettura e non vorrei che questa facesse eccezione, ma ho un problema: mi piace sempre ripetere l’inflazionata e poetica frase “Sono i libri che leggono me” ma questo un po’ mi ha letto, un po’ mi ha interrogato. Io non so bene come rispondere a questa interrogazione e mi sento molto in difficoltà, tanto che temo non solo di non aver capito, ma anche di non avere soluzione e forse la chiave è proprio questa. Mi chiedo Chi sono? Perché sono così? E poi di nuovo Chi sono? Tutto parte dall’impareggiabile sensazione di inadeguatezza che provo pensando alla mia adolescenza, il momento della vita in cui ho iniziato credo definitivamente a sentirmi sbagliata, eccessiva, drammatica, esagerata, fuori contesto. Perché lo ero? Perché volevo piacere allə altrə e pensavo che fosse l’unico modo, del resto a nessunə interessava una noiosa ragazzina (bruttacchiola) e fissata con la politica e con Pierluigi Bersani. Finora, per altri 16 anni, ho avuto la convinzione che la responsabilità della mia inadeguatezza fosse mia e solo mia; non basta dirmi che il problema non ero io, e anzi, che quello che io consideravo problema non lo doveva essere se non sotto certi aspetti che con un’educazione alla s3ssu4lità probabilmente avrei potuto affrontare con cognizione di causa. Perché non parlavo con i miei genitori? Perché era più facile sentirsi sbagliata? Perché lə adultə erano il male? E adesso IO sono il male? Che non riesco ancora a mettere in fila emozioni, sentimenti e conseguenze o che mi ostino a farlo quando serve a poco? E perché devo sempre mettere in fila? Sembra sciocco pensare che mi ci sia voluto un libro per rendermi conto dell’influenza del contesto sociale su come conduciamo la nostra vita non solo nel pubblico, ma anche nel nostro privato fino al nostro intimo, per riproiettarsi poi fuori. Ma delle volte, le cose ovvie non sono ovvie: non basta dirsi di non essere sbagliatə. Questo ritorno al pubblico lo penso così: ciò che faccio, come agisco, è come quando penso ad una meravigliosa opera d’arte ideata da me. Penso di disegnare uno splendido paesaggio, è nitido nella mia mente, dalle forme ai colori, agli spazi. È tutto così chiaro ma io solo alla fine mi ricordo che disegno di m3rda. E quindi l’opera d’arte che ho disegnato nella mia mente viene fuori semplicemente una m3rd4. Si parla tanto di educazione sentimentale ed emotiva, di come potrebbe migliorare le nostre vite, le nostre relazioni - di qualsiasi natura siano, il nostro modo di abitare il mondo: un percorso così lo si inizia ad elaborare quando accettiamo di essere vulnerabili, incastratə ma al tempo stesso in movimento, in continua metamorfosi e non sempre consapevoli e a maggior ragione padronə di ciò che attuiamo. Non smettiamo mai di essere influenzatə da ciò che c’è fuori, è come se pretendessimo di uscire in inverno in costume e infradito. L’educazione sentimentale ci aiuterebbe a capire perché usciamo tuttə col piumino, anche se sotto rimaniamo sempre e meravigliosamente persone diverse, collegate ma indipendenti.
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