Quattro variazioni su donne da «Un treno nel Sud» di Corrado Alvaro

22 dic 2023 · 51 min. 24 sec.
Quattro variazioni su donne da «Un treno nel Sud» di Corrado Alvaro
Descrizione

Donne di Chiaravalle Sì, tutto si muove in Calabria, tutto fugge, tutto cerca; tutto bussa energicamente alla porta di una vita più clemente; ma c'è un personaggio che aspetta, e...

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Donne di Chiaravalle

Sì, tutto si muove in Calabria, tutto fugge, tutto cerca; tutto bussa energicamente alla porta di una vita più clemente; ma c'è un personaggio che aspetta, e a dire del quale bisognerebbe intingere la penna nel colore dei più freschi fiori, fiori popolari, fiori suoi, di lei, della donna.
Da piccina, chi nasce qui donna del popolo, è abituata ad andare a piedi nudi.
Da piccina, e quasi per gioco, le si impone un peso da portare sulla testa, e senza l'aiuto delle mani; il canestrino piccolo, il paniere, l'orcetto per l'acqua da 3 a 5 litri.
E’ l'iniziazione a quella che sarà la sua vita; portare al torrente la cesta della biancheria da lavare, a una o due ore dall'abitato, al mulino il sacco dei 50 kg di grano da macinare, dalla fonte la giara di 50 litri d'acqua, dal bosco il fascio della legna, dal prato l’enorme carico di fieno sotto cui non si vede il viso trafelato, ma le braccia che reggono, il busto che si torce.L'umile vita quotidiana della Calabria ha il suo modello nel presepe.

Le donne di Bagnara

A chi, straniero italiano, mi domanda itinerari meridionali, consiglio spesso d’imbarcarsi a Villa San Giovanni per Messina, andata e ritorno, per vedere le donne di Bagnara che fino a ieri eravamo pochi a conoscere, ad aspettare affacciati al treno come ci si affaccia a vedere il Battistero e la Torre di Pisa dal treno in corsa.
Ed ecco l'immagine di quel tipo di donna che va prendendo un posto nel più rinomato matriarcato di alcune regioni italiane.
Lo capirete anche voi che quello è un regno chiuso, che diffida di tutto, in sciame solidale come le api, come i più costruttivi animali della creazione, che così errabondo ha un'intimità, un'individualità in quello indistinto.
E state attenti, perché spesso per la loro difesa portano uno stiletto nel seno.
Il loro vestito è quello comune dei paesi marini di Calabria, una blusa che ricade sotto la cintura, una veste chiara sulle gambe e ai piedi nudi, piuttosto corta, quasi al ginocchio, larga e con molte pieghe, che può ricordare una blusa orientale; la gonna a molte pieghe è greco-romana.
È curioso che tornino certi richiami culturali per una donna che farebbe pena se non avesse quel contegno, quel segreto, quella fierezza, vestita come è con due poveri panni di cotonata, inverno ed estate, giusto per coprirsi; e chi lo conosce, sa di quel corpo che non avverte più la temperatura esterna, una statua appena intiepidita dal soffio della vita in una fatica interminabile.
Guardate le donne di Bagnara che escono da tutte le parti del ponte sul traghetto con le loro ceste o i loro sacchi vuoti sul capo; e poi al ritorno cariche della piccola merce che trafficheranno.
Lo sanno anche i doganieri che esse fanno contrabbando di sale della Sicilia, dove il sale non è genere di monopolio.
Senza invidia e senza rancore, vi guardano appena, affacciati al finestrino di prima classe sul treno che traghetta sul ferribotto, esse che speculano sulla differenza di prezzo di una dozzina di scope tra Messina e Bagnara, e che servono da corrieri tra bottega e bottega per rifornimento di merci. Pellegrine e intime, vagabonde e riservate, le riconoscerei in capo al mondo.
E con la lingua pronta e tagliente.
Perché se l’uomo è destino che a volte pieghi il capo, sopporti, la donna ha in Calabria diritto di parola, è la bocca della verità, può inveire e gridare senza che per questo gli uomini menino le mani.

La Capitana

La Capitana aveva 25 anni; era sposata; ma il marito glielo avevano ucciso i francesi.
Per vendicarlo era divenuta capomassa, aveva trovato l'uccisore e lo aveva voluto uccidere di pugno suo, a freddo.La sciabola che porta, appartenne, appunto, al suo nemico, che avrebbe voluto essere il suo amante.

Donne perdute

Era una tribù di donne che abitava presso una fonte abbandonata dove non andavano ormai ad abbeverarsi che le bestie, i porci arrotolarsi nelle pozze, i ragazzi a cercare i granchi sotto le pietre umide.
Queste donne erano venute da un paese vicino e parlavano un liquido dialetto Greco.
Era un gruppo di Veneri di paese, invecchiate, con intricate e parentele.
La vita di donne come queste la conoscono tutti.
Prima fanno le serve nelle grandi casate.
Passano decine di volte per le strade a comprare e a chiedere le mille cose che servono nelle case oziose e disordinate, dove le ghiotte padrone hanno a ogni ora voglia di qualche cosa, pensando che il vicino abbia qualche boccone da mangiare in segreto.
Più tardi queste donne si riducono in un casolare, con attorno una turba di figli (e soprattutto figlie, perché mettono al mondo femmine come per destino).
Nessun uomo si vede a casa loro.
Mandano al servizio le figlie appena sono in età di portare i primi pesi sulla testa.
Fino a quando anche queste, non più giovani, si ritireranno nei casolari appartati.
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Autore Giuseppe Cocco
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