Omelia VI Domenica T. Ord. - Anno C (Lc 6,17.20-26)
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6829 OMELIA VI DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 6,17.20-26) Nella nostra vita cristiana ci dobbiamo su due fondamenti. Il primo è la consapevolezza della nostra...
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Nella nostra vita cristiana ci dobbiamo su due fondamenti. Il primo è la consapevolezza della nostra miseria e nullità. Da soli siamo capaci solo di sbagliare, di peccare. Il secondo fondamento è la fiducia in Dio. "Tutto posso in colui che mi dà forza", affermava san Paolo apostolo. Anche se grande è la nostra miseria, con l'aiuto di Dio riusciremo a superare ogni ostacolo e a farci santi come Dio vuole. È quanto il profeta Geremia ci ricorda con queste parole: "Maledetto l'uomo che confido nell'uomo [...]. Benedetto l'uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia". Non dobbiamo confidare in noi stessi, nelle nostre forze e capacità e nemmeno nell'aiuto degli altri. "Solo in Dio riposa l'anima mia, da Lui la mia salvezza", recita un Salmo. Solo nella preghiera umile e fiduciosa sta la forza dell'uomo. L'uomo deve impegnarsi a fondo nel fare il bene e deve essere consapevole che solo da Dio dipenderà il risultato dei suoi sforzi. Questo concetto è espresso molto bene da quel proverbio popolare: aiutati che Dio ti aiuta. Senza il nostro sforzo sarebbe una presunzione confidare nell'aiuto di Dio. La buona volontà da parte nostra è il punto di contatto tra la nostra miseria e l'Onnipotenza divina.
Nel Santo Vangelo, san Luca scrive una delle pagine più belle di tutto il Nuovo Testamento, cioè quella delle Beatitudini. Con le Beatitudini abbiamo un capovolgimento dei valori, del modo di ragionare. Il mondo esalta la ricchezza, il benessere, il quieto vivere; Gesù invece proclama beati i poveri, gli affamati, gli afflitti, i perseguitati. E quanto insegna san Paolo nelle sue lettere: "Sovrabbondo di gioia in ogni tribolazione". E questa gioia nella tribolazione è un dono, un frutto dello Spirito Santo. Ecco perché tante volte i Martiri andavano lieti e festanti incontro alle torture e alla morte. Si può dire che le Beatitudini sono il frutto più maturo della vita cristiana, non è più un ragionare secondo il mondo ma secondo Dio, è la Sapienza della Croce, che ci fa trovare dolce tutto ciò che è amaro. È beato colui che riproduce nella sua vita Gesù povero, afflitto e perseguitato. Chi più assomiglia a Gesù, più è felice.
Gesù stesso disse un giorno a santa Margherita Maria Alacoque che il Santo più vicino al Suo cuore è stato san Francesco d'Assisi ed è proprio per questo che il Santo d'Assisi è il santo della letizia, il santo che più ha esultato in mezzo alle più grandi sofferenze, fino a divenire una copia vivente del Crocifisso; il primo stigmatizzato, che ha sovrabbondato di gioia, nelle acerbe sofferenze della croce. Fin dopo la sua conversione imparò ad assaporare la dolcezza della croce, ma fu soprattutto sul monte della Verna che raggiunse il vertice delle Beatitudini. Beato perché crocifisso con Cristo.
Il giovane Francesco d'Assisi, da poco convertito da una vita spensierata, andando a cavallo, un giorno incontrò inaspettatamente un lebbroso. La sola vista dei lebbrosi era sufficiente a Francesco per provarne un orrore tale da volgersi alla fuga irresistibilmente. Quel giorno però, se istintivamente stava per turarsi il naso e spronare il cavallo alla fuga, interiormente una voce lo fermò: "Come si comporta un cavaliere di Cristo? ...". Francesco si buttò giù da cavallo con un balzo, corse al lebbroso, gli prese e gli baciò la mano cancrenosa, vi depose sopra una moneta e rimontò a cavallo. Si era vinto! Quasi non credeva a se stesso. Si girò attorno per guardare il lebbroso: ma non lo vide più. Dov'era? Era sparito. Da quel giorno seppe vincere così perfettamente se stesso che non solo non evitava i lebbrosi , ma andava lui stesso a curarli e servirli.
San Francesco stesso dirà prima di morire: "Ciò che prima mi sembrava amaro, mi si convertì in dolcezza di anima e di corpo". Gesù nel Vangelo dice a tutti quelli che sono nella sofferenza e nella persecuzione: "Rallegratevi [...] ed esultate, perché la vostra ricompensa è grande nel cielo". San Francesco diceva nella sofferenza: "Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto". Ci insegna in questo modo che nelle sofferenze dobbiamo innalzare lo sguardo alla ricompensa celeste. Di fronte alla gloria del Paradiso, ogni croce diventa dolce. Sulla terra, solo il possesso di Dio è sorgente di pace e di serenità, pur tra le lacrime e le angustie del mondo. Il patire è breve, la gioia è infinita. San Francesco amò la croce perché lo rendeva sempre più simile a Gesù Cristo.
Per salire il Monte delle Beatitudini, per raggiungere la piena somiglianza con Gesù Crocifisso e Risorto, dobbiamo amare, venerare, pregare e servire Maria, l'umile Serva del Signore. La devozione a Lei è un segreto di grazia che ci facilita in questa ardua ascesa. Un antico Autore così esclamava: "Beato colui che si consacra a Maria, il suo nome è scritto nel libro della vita".
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Autore | BastaBugie |
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