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Commento teologico-pratico al vangelo della domenica (e delle feste liturgiche più importanti dell'anno)
13 NOV 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/7922
OMELIA XXXIII DOMENICA T.O. - ANNO B (Mc 13,24-32) di Giacomo Biffi
GESÙ CRISTO È IL TRAGUARDO FINALE DELLA STORIA INDIVIDUALE E UNIVERSALE
“E di nuovo verrà nella gloria”: sono parole che ripetiamo nel Credo, a proposito del Signore Gesù. Forse le ripetiamo un po’ distrattamente; eppure esprimo no un punto fondamentale della nostra fede. L’odierna pagina del Vangelo ci viene offerta proprio perché possiamo raggiungere una maggiore consapevolezza di questa verità e della sua rilevanza per la vita cristiana.
Da chi la Chiesa ha saputo la notizia che il nostro Salvatore verrà ancora visibilmente sulla terra, e che con questa definitiva venuta concluderà quella vicenda di affanni e di speranza, di colpe e di dolore, di santità e di scelleratezze, che è la storia umana?
L’ha saputo da Cristo stesso che ha detto (e noi l’abbiamo ascoltato): Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.
Il cristiano dunque sa che la storia non è, come può sembrare, uno svolgersi irragionevole di accadimenti senza senso e senza esito; e non è neppure, come talvolta hanno cercato di farci credere, l’adempimento di previsioni formulate dall’una o dall’altra teoria sociale; previsioni che sono tutte prima o poi destinate a essere smentite. Il cristiano sa che la storia ha una mèta, e questa mèta è il Signore Gesù. Cristo, che è il centro del tempo (tanto che dalla sua comparsa in mezzo a noi contiamo i nostri anni), sarà anche il suo finale traguardo.
Per farci capire che la venuta del Signore concluderà la vicenda del mondo, il Vangelo si rifà alla prima pagina della Bibbia, là dove è descritta la creazione. Il sole, la luna, le stelle – che col loro splendore hanno contrassegnato gli inizi – con il loro oscurarsi segnaleranno la conclusione.
E quanto è vero per la storia generale dell’umanità è vero anche per la storia personale di ognuno di noi: dopo i giorni dell’esistenza terrena, ci troveremo al cospetto del “Figlio dell’uomo”, cioè di Cristo, che verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, cioè per giudicare tutti coloro che sono stati, che sono e che saranno; un giudizio al quale, dunque, nessuno può sfuggire con la furbizia o la potenza dei mezzi economici e delle raccomandazioni, come troppo spesso capita nei giudizi umani.
NON SPETTA A NOI CONOSCERE QUANDO AVVERRÀ LA FINE DEL MONDO
Oggi Gesù ci parla della fine del mondo e della distruzione imminente di Gerusalemme. A spiegare qualche espressione un po’ oscura di questa pagina è utile ricordare che per i discepoli di Gesù, che hanno raccolto e riferito le sue parole (come del resto per tutti gli ebrei del suo tempo), Gerusalemme si identificava simbolicamente col mondo intero: la sua distruzione significava ai loro occhi la distruzione di tutto. Sicché nel discorso del Signore c’è come una sovrapposizione: i due preannunci appaiono mescolati.
A) A Gerusalemme, per esempio, bisogna intendere riferita la profezia: Non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avverate. Difatti le legioni romane distruggeranno la Città Santa appena quarant’anni dopo questo discorso.
B) È rapportabile invece alla fine del mondo l’esplicita affermazione di Gesù che nessuno ne conosce la data. Anzi, per farci capire che questo è un assoluto segreto di Dio, egli dice addirittura che né dagli angeli né da lui stesso potremmo mai venirlo a sapere:
Quanto al giorno e all’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre. Dove si vede quanto siano inattendibili coloro che ogni tanto si azzardano a fare delle predizioni a questo riguardo; come è, ad esempio, il caso dei Testimoni di Geova: più di una volta in questo secolo essi si sono coperti di ridicolo annunziando una catastrofe cosmica che poi naturalmente non si è verificata.
LA VITA COME VIGILE ATTESA IN VISTA DELL’INCONTRO CON CRISTO
È importante che noi, invece di perderci dietro alle morbose favole degli eretici, richiamiamo brevemente e ordinatamente, i punti essenziali dell’autentica Rivelazione di Dio.
1. Tanto la storia del mondo quanto la nostra storia individuale un giorno finirà. È dunque necessario che noi organizziamo la nostra vita non come se non dovessimo mai lasciarla, ma in ordine a una preparazione; in vista cioè di entrare nel Regno dei cieli, arricchiti del bene compiuto.
2. Proprio perché non conosciamo il momento né della fine del mondo né della nostra morte, dobbiamo conservarci nell’atteggiamento spirituale dell’attesa. L’invito alla vigilanza risonerà con insistenza speciale nelle prossime domeniche di Avvento.
3. L’umanità nel suo insieme e ognuno di noi individualmente stiamo andando verso un incontro con Cristo. Mette conto quindi di tenerci fin d’ora in una intensa amicizia con lui; con lui che si è offerto in sacrificio per noi, riscattandoci dai nostri peccati e diventando la sorgente della nostra santificazione; con lui che sta alla destra del Padre, dove intercede per noi e donde ci invia ogni giorno la forza della sua grazia; con lui che è il Padrone al quale dovremo rendere conto di tutti i nostri atti; con lui che è Signore buono e pietoso, cui non dobbiamo cessare mai di guardare con assoluta fiducia.
LA PAROLA CHE NON PASSA
Abbiamo sentito Gesù proclamare solennemente: Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
A questo mondo tutto, anche ciò che più sembra stabile e vigoroso, presto o tardi arriva alla fine e scompare.
In questi decenni abbiamo visto – nel breve spazio della vita di un uomo – tramontare o trasformarsi radicalmente istituzioni, situazioni, convenzioni sociali, che parevano eterne. Abbiamo conosciuto personaggi che sono stati esaltati come fossero dèi e si sono presentati come artefici di giustizia e benefattori dell’umanità, e che nel giro di pochi anni sono stati gettati nel disprezzo. Abbiamo fatto esperienza di ideologie e sistemi sociali che volevano presentarsi come la soluzione di tutti i problemi e il rimedio di tutti i mali, ma che poi hanno rivelato la loro natura menzognera e sono irrimediabilmente decaduti, o stanno irrimediabilmente decadendo.
Resta unico colui che solo è il Signore. Mentre tutte le infatuazioni passano, il Crocifisso, che è risorto, rimane in onore nelle nostre chiese e nei nostri cuori. Soltanto la sua parola continua a risonare identica a sé e sempre vera. Soltanto le sue promesse fondano in ogni epoca le sole speranze che non deludono.
Chiediamo a Dio nostro Padre la grazia di saper corrispondere alla solidità invincibile del Regno di Cristo e del suo Vangelo con la fermezza della nostra fede e con la costanza della nostra fedeltà.
5 NOV 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7921
OMELIA XXXII DOM. DEL T. ORD. - ANNO B (Mc 12,38-44) di Giacomo Biffi
La scorsa domenica la parola di Dio ci ha richiamato il primo e fondamentale comandamento: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza; e così ci ha ricordato che a colui che è tutto non importa che gli doniamo tanto e gli doniamo poco: importa che gli doniamo tutto.
La pagina evangelica di oggi ci presenta quasi una raffigurazione emblematica di questa donazione totale: una donazione che, pur essendo piccola e povera, proprio perché è totale è più grande delle donazioni copiose dei ricchi. L'episodio si colloca verso la fine della vita di Gesù.
Egli è entrato nel complesso degli edifici che costituivano il tempio di Gerusalemme, si è fermato nel cortile anteriore, dove erano poste le casse che raccoglievano le offerte per la celebrazione del culto (il "tesoro"); e qui si era posto a contemplare con tranquilla attenzione tutto ciò che avveniva.
Sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava offerte nel tesoro. Il suo comportamento e le sue parole sono per noi tanto più significative e cariche di insegnamento in quanto non sono il frutto di una circostanza occasionale, ma vengono dopo una deliberata conoscenza e dopo un esame ponderato dei fatti.
LA CHIESA DI CRISTO DEVE SOSTENTARSI DEL CONTRIBUTO DEI SUOI FEDELI
Possiamo in primo luogo rilevare in Cristo un atteggiamento di fondo: Gesù non disapprova affatto la consuetudine di portare soldi al tempio.
Egli, che pure ha cacciato a frustate i mercanti dai sacri recinti, in questa occasione non pronuncia una sola parola di biasimo. Anzi, lodando la vedova implicitamente approva la pratica dell'offerta.
Non ha l'atteggiamento sdegnoso e oltranzista di chi ritiene che il rumore dei soldi contamini la casa di Dio e pensa che la vita ecclesiale deve essere pura da ogni contatto col danaro. Non auspica una Chiesa che non abbia necessità di sostegno economico e non chieda niente a nessuno: egli sa che soltanto i ricchi e i potenti si possono permettere di non avere preoccupazioni finanziarie e di non dipendere affatto dagli altri. La Chiesa di Cristo deve essere povera e libera, deve essere cioè una Chiesa che vive del contributo dei fedeli, senza lasciarsi condizionare nel proprio magistero e nella propria azione pastorale da ciò che riceve; una Chiesa che ha bisogno di tutti e che non si lega a nessuno.
Il Signore condanna chi strumentalizza la religione e la piega al proprio tornaconto, come era il caso dei venditori e come vedeva fare da molti scribi che egli giudica con estrema severità: Riceveranno una condanna più grave. Approva invece chi fattivamente riconosce anche attraverso il proprio obolo – sentito come un dovere cui non ci si può sottrarre – il culto di Dio e la vita della comunità cristiana come cosa propria, da aiutare in modo generoso e concreto.
IL MERITO DI UN'AZIONE E' PROPORZIONALE ALL'AMORE CHE LA ISPIRA E LA SORREGGE
Davanti all'occhio penetrante di Gesù sfilano prima di tutto i ricchi. La loro offerta è abbondante: Gettavano tante monete; eppure questa offerta non viene lodata. Non è biasimata, ma non è lodata, perché provenendo – come nota Gesù – dal "superfluo", resta in qualche modo esterna alla persona, non tocca niente di profondo, non implica un coinvolgimento esistenziale. Nella religione il gesto esteriore in tanto ha valore in quanto esprime un'adesione dell'anima e un impegno della vita.
I pastori d'anime sanno per esperienza che qualche volta sono proprio i meno abbienti a dare di più. E allora vien fatto di domandarsi: se Gesù non ha una parola di lode per i ricchi che fanno un'offerta consistente e partecipano in modo rilevante al sostentamento della Chiesa, che cosa dirà dei ricchi che danno meno di chi possiede poco e, sottraendosi al loro dovere, lasciano tutto il peso della gestione ecclesiale sulle spalle dei poveri?
Lo sguardo acuto di Gesù coglie tra la folla la figura umile e dimessa di una povera vedova che, quasi vergognandosi, getta nella cassa soltanto poche monete.
Lei sola tra tutti viene esaltata da colui che sa misurare la vera grandezza e sa dare a tutte le azioni il loro giusto valore.
Così ci viene ricordato che in faccia a Dio il merito di una nostra azione buona non è proporzionale alla sua entità e alla sua efficacia terrestre né a quanto può essere apprezzabile davanti al giudizio puramente umano ed esteriore, ma all'amore che la ispira e di cui essa è espressione.
Quella vedova devolve al culto divino non ciò che le è superfluo, ma ciò che le è necessario. Come la vedova di Zarepta, di cui ci ha parlato la prima lettura, che in piena carestia dà al profeta l'ultimo pugno di farina della sua dispensa, così anche questa vedova dà a Dio tutto quanto aveva per vivere, dimostrando di volersi davvero appoggiare solo su di lui, di là da ogni mezzo umano.
Proprio questo atteggiamento di donazione totale strappa l'ammirazione del Signore. Tanto più che, avendo due monete a disposizione, poteva anche darne una sola: invece sceglie di non tenersi niente per sé e di regalare tutto alla gloria di Dio.
Con questo piccolo e semplice gesto di offerta, questa donna manifesta la sua decisa e operosa volontà di amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza; che è il primo e più alto di tutti i comandamenti. Domandiamo anche noi la grazia di saper amare così.
30 OTT 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/7920
OMELIA XXXI DOMENICA T.O. - ANNO B (Mc 12,28-34) di Giacomo Biffi
Le letture che vengono proposte questa domenica alla nostra meditazione ci invitano a riflettere non su qualche aspetto particolare o su qualche elemento del cristianesimo, ma sulla questione fondamentale del nostro rapporto con Dio. In che cosa consiste essenzialmente la religione? Che cosa vuol dire essere religiosi? Ci sono anche uomini non religiosi (filosofi, psicologi, sociologi) che hanno dato a questa domanda le risposte più disparate. Ma non mette conto di prenderle in considerazione: chi è stonato non può spiegarmi che cos'è la musica; chi è cieco non può venirmi a parlare dei colori; chi non ha mai amato non può cercare di farmi capire l'amore. Ma anche gli uomini religiosi qualche volta danno a questa domanda (magari senza esplicita consapevo lezza) risposte inadeguate; cioè risposte che sono anche vere, ma non colgono l'essenziale.
LE RISPOSTE INADEGUATE INTORNO AL CONCETTO DI "RELIGIONE"
Prima risposta inadeguata. La religione consiste negli atti di culto: preghiere, genuflessioni, candele, processioni, segni di croce, ecc. Certo, tutte queste cose sono o possono essere espressioni genuine del sentimento religioso. Ma chi identifica tutta la religione con gli atti di culto, o presto o tardi finirà con l'annoiarsi, e potrà capitare che, di fronte a una prova, abbandoni lo stesso pensiero di Dio.
Seconda risposta inadeguata. La religione consiste nell'osservanza dei precetti, o addirittura in una serie di proibizioni: non fare questo, non fare quello. Certo, chi è veramente in rapporto di amicizia con Dio, si sforzerà nella sua vita di rispettarne la legge. Ma chi identifica tutta la religione con una legge da osservare, presto o tardi la troverà antipatica e insopportabile: le leggi come tali non possono dare entusiasmo; nessuno si sente preso da un grande trasporto interiore per il codice della strada o il regolamento di polizia.
Terza risposta inadeguata. La religione consiste nel far del bene agli altri. È quella forse oggi più diffusa, quasi come uno slogan pubblicitario. Ma è certamente insufficiente. Sarebbe una religione che lascia fuori Dio dalla vicenda. San Paolo, quasi presagendo le insipienze e le banalità del nostro tempo, ha scritto: Se dessi in pane ai poveri tutti i miei averi e non avessi la carità, non varrebbe niente.
LA RISPOSTA DI GESÙ: IL RELIGIOSO POSSIEDE LO SLANCIO DI UN AUTENTICO INNAMORATO
Gesù nella pagina evangelica che abbiamo ascoltato ci dà la risposta vera ed esauriente di questo problema.
Amerai. La religione è essenzialmente amore, cioè slancio interiore, dedizione dell'animo, adesione di volontà, offerta totale di se stessi, fedeltà senza limiti e senza condizioni. Il rapporto religioso è dunque nella sua verità pro fonda un innamoramento: chi non lo ha capito, non ha capito della religione neppure l'inizio.
Amerai il Signore Dio tuo... amerai il prossimo tuo. Sembrano due forme di amore, e invece è un amore unico, perché il prossimo è l'immagine di Dio, la sua presenza visibile accanto a noi, la gloria del Creatore. Ma i due termini (Dio e il prossimo) devono essere considerati e voluti insieme, senza esclusioni e senza che nessuno dei due possa restare sottinteso. Chi amasse Dio e non incarnasse quest'amore nell'attenzione ai fratelli, illuderebbe se stesso: probabilmente si tratterebbe, più che di amore di Dio, di un puro compiacimento di sé, di culto del proprio "io", camuffato da religione. E chi dicesse di voler risolvere tutto il suo amore per Dio nel far del bene agli altri, mostrerebbe di non capire la natura e le leggi dell'amore: nessun amore vero si accontenta delle immagini, delle rappresenta zioni, delle trasposizioni; se si ama sul serio qualcuno, si desidera esprimergli il proprio affetto anche e soprattutto direttamente, personalmente, senza intermediari.
Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua forza. Proprio per ché Dio è colui che è tutto, che è sempre vivo, che è l'unico Signore, l'amore per lui non sopporta riserve e attenuazioni. Su questo punto abbiamo forse tutti bisogno di esaminarci. Non si può amare Dio quando tutto va bene e ribellarsi contro di lui quando le cose vanno male. Né, al contrario, ci si può ricordare di lui solo quando abbiamo qualcosa da implorare e dimenticarsi di lui quando si è tranquilli e senza fastidi. Non si può riservare il culto di Dio agli anni svigoriti della vecchiaia, né relegarlo in quelli inesperti della fanciullezza. "Tutto" e "sempre": queste sono le parole che convengono al nostro amore per lui. Se Dio c'è, deve avere un posto nella nostra vita; un posto sicuro, che non sia in balìa dei nostri cambia menti di umore; un posto che sia il primo. Il che significa che tutto nella nostra esistenza deve es sere orientato a lui e ispirato da lui: la gioia, il dolore, il divertimento, il lavoro, l'amore, la lotta, la morte. Tutto ha per noi un senso, se è un camminare verso di lui e una ricerca continua della sua volontà. Insomma, la religione consiste nel capire - veramente e vitalmente - che "egli è l'unico e non ve n'è altri all'infuori di lui". Se lo capiremo in modo serio e fattivo, meriteremo di ascoltare anche noi l'elogio che Gesù fa allo scriba che l'aveva interrogato: Non sei lontano dal Regno di Dio.
SOLO CONTEMPLANDO LA PASSIONE REDENTRICE POSSIAMO IMPARARE AD AMARE DIO
È possibile amare Dio così? Se noi fossimo stati lasciati a noi stessi, prigionieri della povertà del nostro cuore, questa sarebbe un'impresa disperata. Ma Dio ci ha amati per primo, e amandoci ci ha allargato il cuore e ci ha posti in condizione di rispondere al suo imprevedibile affetto. Dio ha tanto amato gli uomini da dare il suo Figlio unigenito, il quale è venuto in mezzo a noi, fatto uno di noi, e ha dato la misura della sua carità "offrendo se stesso": ha provato il suo amore con la sua inenarrabile sofferenza. Il segreto che ci consente di avere e di mantener vivo l'amore per il Signore Gesù, è la contemplazione di ciò che lui per amore ha voluto patire. Contemplare la "via della croce", fissare i nostri occhi e la nostra anima sui vari momenti della passione redentrice, questo è il grande mezzo, escogitato dalla pietà cristiana, per imparare ad amare. Noi abbiamo davanti le diverse tappe di questa strada insanguinata, raffigurate e ripresentate dal magistero di una grande arte: ripercorriamole nella fede. È dunque, per così dire, una scuola d'amore quella che stasera si inaugura in questa chiesa. Il voto che esprimiamo e la preghiera da innalzare a Dio è che questa scuola non manchi mai di alunni appassionati e fedeli.
22 OTT 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7919
OMELIA XXX DOMENICA T.ORD. - ANNO B (Mc 10,46-52) di Giacomo Biffi
Qualche breve riflessione sulla pagina evangelica che è stata proclamata ci consentirà di esporre un poco il nostro spirito alla luce vivificante del nostro Salvatore. L'episodio della guarigione del cieco di Gerico ha particolarmente colpito l'evangelista Marco, il quale - ed è un fatto insolito - ci riferisce anche il nome del mendicante beneficato: Bartimeo. L'avvenimento si colloca verso il termine dell'ultimo viaggio compiuto da Gesù alla volta di Gerusalem me, dove avrebbe celebrato la sua Pasqua di sangue e di redenzione. Un equivoco pesava sulla comitiva dei discepoli di Gesù. Tutti ritenevano Gesù "figlio di Davide", cioè Messia; e pensavano a lui come a un liberatore politi co e sociale. Gesù invece sapeva di essere un Messia che avrebbe salvato nella sofferenza, e di avere una missione primariamente religiosa, interessata non tanto a cambiare le strutture della società di quell'e poca, quanto ad assicurare il destino ultimo e definitivo dell'uomo. È un equivoco che spesso pesa anche sopra il Cristo che vive nella Chiesa. Troppe volte noi domandiamo al Signore un aiuto, una liberazione, una salvezza che non è quella che lui è venuto a portare. Troppe volte la nostra preghiera e il nostro impegno religioso sono motivati da interessi esclusivamente terrestri. Anche per il cieco Gesù è il Messia, anche lui lo chiama ripetutamente "figlio di Davide". Ma egli sa che non è né un guerriero rivoluzionario né un capo politico. Perciò lo chiama Rabbunì, vale a dire: "Maestro": Gesù è uno che insegna, che illumina le menti. E pregando: Abbi pietà di me!, riconosce che Gesù non è uno che crede di far giustizia infliggendo violenza, ma uno che ha fatto della misericordia la caratteristi ca e lo stile della sua azione.
LA NOSTRA CECITÀ SPIRITUALE
Quel cieco, come ogni uomo che cerca onestamente la verità, vuole essere liberato dalle sue tenebre: Fa' che io veda. Intuendo in Gesù di Nazaret il Salvatore vero dell'uomo, quel cieco vedeva meglio e più di quelli che avevano la vista. Bartimeo ci è vicino, ciascuno di noi lo può riconoscere come fratello. Anche noi siamo ciechi, e forse più di lui perché ci illudiamo di vedere. Ci illudiamo di dare un senso plausibile alla vita umana con il moltiplicarsi dei ritrovati della nostra mirabile tecnica, con l'infittirsi degli stimoli del piacere. Ed è una strada che va diritta alla disperazione, quando, tramonta te le illusioni, ci accorgiamo di vivere senza scopo. O, se non ciechi, siamo talvolta cecuzienti; ora miopi, quando, attenti solo al nostro piccolo mondo e ai nostri personali interessi, siamo incapaci di cogliere le grandi linee del disegno di Dio e le strade sulle quali il Signore vuol condurre il suo popolo; ora presbiti perché ci lasciamo incantare dalle enunciazioni gran di e astratte, e ci sfugge la realtà che ci sta vicino, sulla quale possiamo davvero efficacemente operare. Siamo pronti a commuoverci e a indignarci per le grandi ingiustizie della società, a proposito delle quali ci è consentito di fare poco, e siamo incapaci di vedere la pena del nostro vicino di casa o addirittura di qualcuno della nostra famiglia, per la quale potremmo fare molto. Bartimeo ci è vicino perché prega disperatamente Gesù. E anche noi siamo qui in chiesa per questo: perché la nostra insufficienza e la nostra povertà siano superate dalla sua forza onnipotente e misericordiosa. Avrete notato come gli altri - la folla e perfino gli apostoli - non volevano farlo parlare, gli negavano perfino il diritto di pregare: Lo sgridavano per farlo tacere. Ma la voce della sua implorazione è più forte e riesce a vincere l'ostilità e l'incomprensione dei circo stanti. Talvolta per arrivare davvero a Gesù bisogna saper oltrepassare la tirannia della folla, del comportamento degli altri, dei luoghi comuni, delle idee imperanti. Oltre le mode e le abitudini convenzionali, dobbiamo saper presentare al Signore la verità dolorante del nostro cuore. Allora sentiremo anche noi la parola del conforto e della speranza: La tua fede ti ha salvato, e con animo veramente libero potremo, come il cieco, metterci con la nostra vita a seguire Gesù.
15 OTT 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7918
OMELIA XXIX DOM. T. ORD. - ANNO B (Mc 10,35-45) di Giacomo Biffi
Una strana richiesta e una strana risposta: ecco ciò che l'odierna pagina evangelica ci offre come tema di riflessione. La richiesta è fatta a Gesù dai figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, due apostoli che ci sono noti per il loro temperamento focoso e impulsivo, tanto che avevano meritato il soprannome "figli del tuono". Il Signore però li aveva in simpatia: con Pietro essi for mano il terzetto dei discepoli che il Salvatore vuole avere vicino a sé nei momenti più rilevanti della sua vicenda; in particolare, li vorrà come compagni e testimoni nell'ora tremenda dell'agonia del Getsemani.
LA MENTALITÀ UMANA
Noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo: come si vede, i due fratelli furbescamente tentano di farsi dire di sì, per così dire, "a scatola chiusa", cioè prima ancora di aver formulato il loro desiderio. È una piccola astuzia alla quale talvolta si ricorre tra amici, specialmente se non si è tanto sicuri della buona accoglienza della domanda. Ma Gesù non cade nell'ingenuo tranello e li costringe a spiegarsi: Cosa volete che io faccia per voi? Trattandosi del Figlio di Dio - che sapeva sempre leggere i cuori - si potrebbe giudicare inutile questa contro-domanda. Ma il Signore non è di questo pare re: non vuole certo che nella nostra preghiera sciupiamo molte parole a informarlo minuziosamente di quanto ci preme; vuole però che gli manifestiamo con chiarezza e confidenza le nostre necessità che egli pur conosce, perché il nostro rapporto di dipendenza da lui diventi in noi più consapevole e più convinto. Che cosa gli chiedono i due ambiziosi fratelli? Gli chiedono di potere un giorno primeggiare sugli altri: di aver cioè il massimo di potere e di onore nel Regno futuro di Cristo, che verosimilmente essi concepiscono alla stregua di una realtà sociale e politica. Insomma si prenotano per tempo ai posti migliori e meglio ricompensati. Possiamo ben capire come una simile pretesa abbia suscitato negli altri una reazione violenta di collera e di biasimo: All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Anche Gesù li corregge, ma senza ira, usando anzi una benevola ironia che li porti a poco a poco a capire quanto siffatti pensieri siano lontani dalla sua mentalità e dai progetti di Dio.
LA MENTALITÀ DI DIO
Voi non sapete ciò che domandate. Vale a dire: voi non sapete che la mia potenza scaturirà dalla croce, non dalla prepotenza e dal dominio, che la mia gloria sarà fondata sull'umiliazione, che il mio Regno si inaugurerà con la redenzione del mondo ottenuta nella sofferenza; voi non immaginate che, chiedendo di stare più vicino a me, non chiedete una posizione comoda, perché chiedete in sostanza di patire prima e di più; voi non siete neppur sfiorati dal pensiero che essere i migliori e i più grandi, nell'ordine di cose che sono venuto a portare, significa essere i più generosi, i più solerti, i più umili nel servizio degli altri, i più pronti a pagare di persona, i più decisi a dare la propria vita in riscatto per molti. Voi non sapete ciò che domandate. Quante volte anche alle nostre petizioni il Signore dovrebbe rispondere così! Talvolta ci lamentiamo di non essere stati ascolta ti nelle nostre preghiere, e invece dovremmo rallegrar ci perché egli, quando sembra rifiutarci una grazia, in realtà ci viene incontro in un modo che lui sa più conforme al nostro vero bene. Sicché, se gli sollecitiamo qualche favore, dobbiamo sempre sforzarci di es sere interiormente disposti ad accettare sopra ogni al tra considerazione la sua volontà, pur nel caso che essa sembri non corrispondere alle nostre aspirazioni, per ché Dio sa meglio di noi ciò che ci conviene davvero. Ai due fratelli la risposta di Gesù dovette sembrare un po' stravagante. E in realtà a prima vista sembrerebbe fuori argomento: che cosa c'entrano mai i bicchieri in questo discorso? Eppure Gesù dice proprio così: Potete bere il calice che io bevo?; cioè: siete capa ci di bere al mio bicchiere? Noi però siamo più illuminati sul senso profondo e tragico di questa frase: Gesù con questa immagine evoca la sua passione imminente, alla quale ormai sono indirizzati i suoi più segreti pensieri. Nel giardino degli Ulivi, in quella notte di appassionata orazione, egli vedrà davanti a sé il mare di dolore che l'aspetta; e lo vedrà come la coppa dell'ira di Dio per le prevaricazioni umane, della quale avevano par lato i profeti; lo vedrà come un calice di amarezza e di pena, presentato dal Padre a lui, Redentore di tutti, per la salvezza del mondo. Davanti a questa spaventosa prospettiva, sentirà fremere e venir meno la sua fragile natura di uomo; ma nella preghiera troverà la forza di mantenere la perfetta comunione col Padre e la totale adesione al divino volere: Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà (Lc 22,42). Giunto all'agonia - ci dice letteralmente il vangelo di Luca - pregava più intensamente (Lc 22,43). Il segreto della vera grandezza - questa è la risposta ai due discepoli pretenziosi - non sta nell'imporre a Dio i propri desideri, ma nell'aprirsi spiritualmente a lui e ai suoi disegni d'amore. Secondo la narrazione di Giovanni, il Salvatore usa la stessa espressione per correggere l'apostolo Pietro, risoluto a difenderlo con le armi dai soldati venuti per arrestarlo: Rimetti la tua spada nel fodero: non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato? Dopo quell'esperienza Giacomo e Giovanni avranno probabilmente capito che cosa volesse dire Gesù con quella parola, che essi avevano accolto in modo così spensierato ed incauto; e si saranno interiormente preparati a farsi degni del Regno di Dio, attraverso una vita spesa per Cristo fino al sacrificio totale. Così sono davvero arrivati alla potenza e alla gloria, come avevano domandato, ma percorrendo come Cristo e con Cristo il cammino della croce. Uno dei primi martiri cristiani, il vescovo Policarpo di Smirne, davanti alla catasta di legna sulla quale sarebbe stato bruciato vivo, ricordando proprio la pagina di Vangelo che oggi abbiamo ascoltato, prega va così: «Ti benedico, perché mi hai stimato degno di questo giorno e di quest'ora, e di aver parte, nel numero dei tuoi testimoni, al calice del tuo Cristo» (Mart. Pol. XIV,2). Come si vede, quella di oggi è una lezione seria e difficile. Comprenderla è comprendere il vero significato dell'essere cristiani, cioè "discepoli di un Crocifisso". Chiediamo che sia data a tutti la grazia di saperla tra durre nella vita, ciascuno secondo quello che da lui il Signore vorrà.
9 OTT 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7917
OMELIA XXVIII DOM. T. ORD. - ANNO B (Mc 10,17-30) di Giacomo Biffi
Questa è una pagina di Vangelo tra le più suggestive, e ci offre un'ampia materia di meditazione. C'è l'incontro, accuratamente descritto, tra Gesù e un ricercatore di Dio; incontro che pare all'inizio molto promettente, ma poi si risolve in una vocazione mancata. C'è una forte e conturbante riflessione di Gesù sulla ricchezza e sui suoi influssi negativi nella vicenda spirituale dell'uomo. C'è una discreta ma chiara richiesta di Pietro sulle ricompense che si possono ragionevolmente aspettare coloro che si dedicano totalmente a Cristo e al lavoro apostolico. Sono, co me si vede, temi di grande interesse, che sollecitano e meritano la nostra attenzione
L'EPISODIO
Non sappiamo niente del protagonista dell'episodio che abbiamo ascoltato. Secondo quel che ci dice il vangelo di Matteo, è un "giovane"; ed è un giovane che ha molti titoli per attirare la nostra simpatia e il nostro plauso.
Va lodato prima di tutto il suo entusiasmo e la sua iniziale risolutezza. Gli corse incontro: va a Gesù di corsa, come chi ha un affare importante e urgente da sbrigare subito. Sembra proprio uno di quei ragazzi magnifici (ce ne sono anche oggi), decisi ad affronta re senza indugio le questioni esistenziali che contano e a non sciupare nella banalità gli anni più belli della loro vita.
Poi dobbiamo lodare la sua fede. Egli si getta in ginocchio davanti al Signore: crede in lui e sa che nessun altro potrà rispondere in modo esauriente alla domanda che gli punge il cuore.
Dobbiamo ancora lodarlo perché - a differenza di tanti coetanei di tutti i tempi - ha capito immediata mente quale sia il fondamentale e non eludibile problema dell'uomo: è il problema della "vita eterna". Che cosa devo fare per avere la vita eterna?: chi cerca di schivare questo interrogativo - magari per la paura che lo distragga dagli impegni e dalle spensieratezze della terra - si destina da sé a vivere senza senso e senza scopo. Se non cerchiamo di spingere lo sguardo oltre lo spazio che ci è dato quaggiù e oltre il mondo visibile, ci condanniamo a lasciarci travolgere dalla corsa vana del tempo: avremo anche giorni affaccendati e frenetici, ma nella sostanza vuoti e desolati; avremo anche ore dense di sensazioni eccitanti e di piaceri, ma privi di letizia e di vera speranza.
Infine quel giovane va lodato per la sua condotta senza macchia. Dice: Tutte queste cose - cioè i comandamenti di Dio - le ho osservate fin dalla mia giovinezza. Ed è indubbiamente sincero, tanto che Gesù, fissato lo, lo amò; cioè: guardandolo dentro, nell'intima verità del suo essere, si sentì preso da un grande e particolarissimo affetto per lui. E proprio in virtù di questo amore, gli fa balenare davanti agli occhi un traguardo più alto, gli fa una proposta più esigente di quanto egli si sarebbe aspettato: Va', vendi quello che hai e dallo ai poveri. Poi vieni e seguimi. Di fronte all'incalzare appassionato dell'iniziativa divina quel giovane si smarrisce, si perde d'animo e comincia a difendersi da un amore per lui che si è fatto troppo grande e troppo costoso. E, resistendo all'a more di Dio, si estromette dai sentieri della gioia: Rat tristatosi..., se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.
LA RISPOSTA DI GESÙ
La risposta del Maestro divino alla richiesta dello sconosciuto - risposta che, come s'è visto, ne ha spento gli ardori - vuol essere da noi ben considerata. Gesù afferma che la strada della vita eterna - sulla quale era stato interrogato - è graduata ed è, per così dire, a differenti velocità.
Il primo livello è dato dall'osservanza dei comandamenti, ed è un livello irrinunciabile. Nessuno nel cristianesimo può aspirare ai grandi ideali di fraternità, di lotta per la giustizia, di donazione alle grandi cause dell'uomo, se si dispensa dal rispettare nel proprio comportamento la legge del Signore. Uno non può mettersi in mente mirabili progetti di altruismo, se poi non è capace, e non si sforza, di non contrista re il padre e la madre. Il cristiano non può sognare imprese eccezionali ed eroiche nella vita pubblica, se non si decide prima a essere leale, casto, onesto nella sua vita personale.
Il secondo livello è dato dal distacco dai beni della terra; un distacco che però non deve avvenire come ossequio alle ideologie del momento o quasi per rancore verso i ricchi o per disprezzo verso le classi abbienti, ma - dice Gesù - va compiuto a causa mia e a causa del Vangelo. E, quasi a prova che la rinuncia non è motivata dal l'odio ma è ispirata dall'amore, deve congiungersi alla carità verso i più deboli e bisognosi: Vendi quello che hai e dallo ai poveri. In questo consiglio c'è anche la preoccupazione del Signore per la salvezza e il vero vantaggio dell'uomo. Secondo lui, le ricchezze non sono un male in se stesse, ma sono indubbiamente un pericolo. I ricchi per ciò, a giudizio del Vangelo, non sono né da colpevolizzare né da invidiare: sono piuttosto da compiange re, perché l'impresa di farli entrare per la porta stretta del Regno dei cieli è umanamente disperata. Ma Gesù - che a differenza di qualche suo lontano discepolo dall'animo intransigente e duro non esclude mai nessuno dal suo amore - soggiunge subito: È impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio. Poi vieni e seguimi. Qui c'è il livello più alto: la perfezione sta nel seguire il nostro Salvatore con totalità di determinazione, facendo di lui, dell'ascolto della sua parola, della intimità con lui, della sua imitazione, l'ansia dolcissima di ogni giorno. Queste proposte di Cristo sono offerte a tutti i battezzati, anche se non a tutti nelle stesse forme e con la stessa intensità. Tutti in egual misura devono osservare i comanda menti di Dio. Tutti devono preoccuparsi di non resta re impigliati negli agi di questo mondo, ma non tutti sono chiamati a farlo nelle stesse condizioni: c'è diversità tra chi ha responsabilità familiari e civili e chi sceglie la professione religiosa. Similmente tutti devono seguire con generosità di spirito Gesù, ma non a tutti è dato di lasciare materialmente tutto per avere maggior libertà di attendere a Dio e alla diffusione del suo Regno. Questo è tipico e proprio delle vocazioni di speciale consacrazione. Chi si mette su quest'ultima strada - risponde Gesù alla domanda di Pietro - avrà come ricompensa tre cose: - una vita umanamente più significante e più piena, più ricca di fraternità e di comunione; - una certa quantità di afflizioni e di amarezze, che il Signore non risparmia mai ai suoi eletti; - un'eternità di luce e di gioia.
2 OTT 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7916
OMELIA XXVII DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 10,2-16) di Giacomo Biffi
Essere cristiani significa essenzialmente riconoscere Gesù come Signore e Maestro, Signore dei nostri cuori e Maestro delle nostre menti. E riconoscere Gesù come Signore e Maestro significa ritenere che il nostro modo di ragionare e di vivere deve conformarsi al suo insegnamento, anche e soprattutto quando il suo insegnamento è in contrasto con le idee, le norme, i comportamenti che nostra società appaiono dominanti. Oggi la parola di Dio ci richiama uno dei punti dove l'opposizione tra il Vangelo e il mondo è più netta, più stridente, più dolorosa: si tratta del diverso modo di concepire l'unione dell'uomo e della donna nel matrimonio. È un argomento che tocca in profondo la nostra umanità, che provoca la nostra sensibilità e suscita la reazione degli animi, che è di estrema rilevanza per tutto il modo di condurre la nostra esistenza. Tanto più siamo chiamati a restare coerenti anche in questo campo con la nostra qualifica di cristiani.
GESÙ RIVENDICA L'INDISSOLUBILITÀ ORIGINARIA DEL MATRIMONIO
La narrazione evangelica ci dice che i farisei vengono un giorno a interrogare Gesù a proposito del divorzio, e lo fanno per metterlo alla prova, cioè per avere un pretesto di accusarlo e un'occasione di renderlo impopolare. È una questione che ai nostri giorni "mette alla prova" anche la Chiesa e i pastori d'ani me, che quotidianamente sono penosamente alle prese con le conseguenze di una legislazione che ha spezzato l'antica tradizione del nostro popolo e si è posta in conflitto con la parola di Cristo. Il pensiero di Gesù era già noto, perché l'aveva espresso nel Discorso della montagna. Proprio per questo l'intervento dei farisei appare provocatorio, chiaramente finalizzato a dimostrare Gesù come non rispettoso della legge mosaica. Mosè aveva regolato questa materia, limitandosi a prescrivere che il marito, quando si stancava della moglie, dovesse mettere per iscritto le ragioni del ripudio. L'interpretazione rabbinica non era concorde sulla validità di queste possibili ragioni, che dovevano essere più o meno gravi, più o meno futili a seconda dei vari dottori della legge. Ma Gesù non si lascia impigliare in questa contesa. La sua risposta è come una spada di luce, che taglia tutte le discussioni. Egli dichiara che la verità va ricercata non nelle sottili argomentazioni dei dotti, ma nel progetto originario di Dio. Secondo questo progetto, l'uomo e la donna che si uniscono nel matrimonio assumono tra loro un vin colo che è più tenace di quello che c'è tra un figlio e i genitori (Lascerà suo padre e sua madre...) e ugualmente insopprimibile. Ciò che avviene, avviene per sempre. Quell'unione è difatti il naturale principio di una realtà che non si distruggerà più: la creatura chiamata all'esistenza dall'amore sponsale è immortale. In essa il padre e la madre restano come saldati tra loro, anche quando essi ritengono di essersi tra loro divisi in virtù di una legislazione compiacente. Qui Gesù appare davvero il Figlio di Dio e il Padrone dell'universo: solo lui poteva introdurre qualcosa di veramente nuovo nella storia ripetitiva dell'egoismo umano. L'indissolubilità del matrimonio era allora per tutti un fatto inaudito: né gli ebrei né i pagani la conoscevano. Ma, dice Gesù, perché tutti si erano allontanati dal disegno del loro Creatore. Anche i suoi fedeli discepoli sono stupiti di questa novità e rientrati a casa lo interrogano ancora sull'argomento. E ancora Gesù ribadisce la sua affermazione, chiarendo in più che, a differenza di quel che allora tutti pensavano, non c'è diversità di condizione tra l'uomo e la donna. Fino a quel momento, l'uomo era, nelle varie legislazioni, un privilegiato: a lui solo, e non alla donna, era consentito di rompere il matrimonio. Il Figlio di Dio proclama per la prima volta l'uguale dignità e l'uguale diritto dei due contraenti.
LA NECESSITÀ DI UNA PREPARAZIONE ADEGUATA AL MATRIMONIO PER I NOSTRI GIOVANI
Questo è ciò che il Signore pensa dell'unione sponsale. Pensare diverso vuol dire mettersi in pericolo di per correre una strada di malessere, di scontentezza, di sventure che spesso si ripercuotono sugli innocenti, cioè sui figli. Ai nostri ragazzi non mancano di solito le proteine, le vitamine, i mezzi di istruzione e di svago. Ma troppo spesso - da parte di chi disattende il comando di Cristo - essi vengono derubati dei loro più importanti diritti: il diritto di crescere in una famiglia stabile, concorde, in pace; il diritto di avere dei genitori che sappiano sacrificarsi per il bene dei figli; il diritto di avere un padre e una madre che si integrino a vicenda nell'opera educativa; il diritto di non essere vezzeggiati e colmati di regali da un padre e da una madre in discordia tra loro e quindi in gara per accaparrarsi con i doni e le concessioni l'affetto del figlio. Certamente il disegno di Dio è impegnativo, la sua proposta è altissima e talvolta sembra esigere troppo dalla nostra debolezza e dalla nostra fragilità. Appunto per questo al matrimonio bisogna che i giovani si preparino bene, con serietà e con determinazione, senza lasciarsi forviare dalla frivolezza e dalla stupidità che troppo spesso caratterizzano i discorsi che si sentono in giro, gli spettacoli che si vedono, gli esempi sciagurati di molti personaggi famosi. Hanno una vita sola da vivere: se non la vogliono sbagliare, devono mettersi in ascolto della parola del Signore, chiedendo a lui nella preghiera tutta la luce e la forza necessarie per vivere secondo il suo disegno.
24 SET 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7915
OMELIA XXVI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Marco 9,38-43.45.47-48)
Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala
di Giacomo Biffi
Il brano evangelico che ci viene oggi proposto non è di quelli che ci presentano un fatto circostanziato o una parabola ben definita. Potrebbe essere detta una pagina "compilatoria", che raccoglie cioè diverse frasi di Gesù, slegate tra loro e verosimilmente da lui pronunciate in momenti e situazioni diversi. Sono parole forti e taglienti, che meritano tutte di essere ben considerate, perché ci aiutano a entrare nella mentalità del Signore e ci richiamano alcune idee importanti per la vita cristiana. In esse Gesù ci appare, come sempre, originale e imprevedibile: più largo e comprensivo di quel che la nostra grettezza di mente si aspetterebbe, più rigido ed esigente di quello che la nostra faciloneria ci indurrebbe a pensare. Tre insegnamenti.
LA CHIESA DI CRISTO NON HA CONFINI GEOGRAFICI
A Giovanni, l'apostolo impetuoso che viene a confessare la sua intolleranza: Abbiamo visto uno che scaccia i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri, Gesù risponde: Non glielo proibite... Chi non è contro di noi, è per noi. È interessante notare che, in un'altra occasione, aveva detto invece: Chi non è con me, è contro di me. Ma, a ben guardare, le due affermazioni non si contraddicono. Quando si tratta del rapporto personale con Cristo e col suo Vangelo - cioè quando si tratta delle intime disposizioni di ciascuno e degli orientamenti esistenziali profondi - la neutralità non è ammessa: o si appartiene a lui, perché ci si è messi decisamente alla ricerca della verità e al servizio della giustizia, o si è contro di lui. Qui bisogna scegliere. Quando si tratta invece dell'atteggiamento esterno e dell'appartenenza formale a un'organizzazione, il Signore tiene conto più della sostanza di un comportamento che non della etichetta e della denominazione. Viene qui disapprovata quell'angustia di spirito che c'è talvolta tra noi, per cui se uno non è del nostro gruppo o della nostra aggregazione, finisce col non essere né apprezzato né cordialmente accolto. Più profondamente Gesù vuole insegnarci che la forza dello Spirito Santo non è coartata da nessun confine, neppure dai confini visibili della Chiesa. Lo Spirito opera dove vuole e per mezzo di chi vuole: c'è gente che lavora efficacemente per il Regno di Dio senza che noi ce ne avvediamo, e forse senza che se ne avvedano loro stessi. Il bene può essere dappertutto e non è monopolizzato da nessuno. I confini veri della Chiesa non sono geografici, ma passano attraverso il segreto dei cuori.
IL VALORE DI OGNI NOSTRO ATTO È NELL'AMORE E NELLA FEDE CHE ESPRIME
La seconda frase di Gesù ci dice che anche il gesto più semplice e apparentemente senza valore diventa preziosissimo se è compiuto con un'alta finalità e come espressione sincera di un giusto amore. Che c'è di più piccolo e insignificante di un bicchier d'acqua? Ma se la cortesia di dare un bicchier d'acqua è compiuta nel mio nome - dice il Signore - diventa meritevole di una grande ricompensa. Se un favore esiguo e senza importanza è reso a voi - continua il Signore - perché siete di Cristo, allora acquista il pregio di un atto d'amore verso il Re dell'universo e il Salvatore degli uomini. Come si vede, non è l'entità di un'opera a determina re la rilevanza in faccia a Dio, ma la fede e l'affetto che con essa si intendono esprimere. Questo principio evangelico ci ricorda anche che un cristiano non può accontentarsi di ricercare ciò che è buono e giusto, come la fraternità, la solidarietà tra gli uomini, la pura filantropia; deve anche preoccuparsi che tutte queste cose in lui nascano da un vero e personale amore per Cristo. Dobbiamo diffidare di noi stessi, se un nostro impegno esterno, sociale, umanitario non è quotidiana mente ispirato e sorretto da una intensa intimità e dall'abitudine a un prolungato colloquio col Signore Gesù, che è il centro e il senso della nostra vita.
RIGORE E FERMEZZA PER NON COMPROMETTERE LA PROPRIA FEDE
Se la tua mano ti scandalizza, tagliala. Questa frase, evidentemente paradossale, non va presa alla lettera; però va presa sul serio. Essa ci dice quanto grande sia il rigore dei principi e la fermezza del comportamento, che Gesù ci richiede. Nel Vangelo di Matteo questa parola aspra e precisa si trova anche nel Discorso della montagna, là dove il Signore dà la sua norma di vita a proposito del matrimonio e della castità. Dobbiamo riconoscere che questa espressione evangelica scende come una sferzata sulle concezioni della morale corrente, tutte improntate al lasciar correre, al "tutto è lecito, basta non recar danno agli altri". Che il mondo - che rifiuta il messaggio di Cristo - arrivi in questo campo alle aberrazioni più grandi e più imprevedibili, non ci meraviglia. L'aveva già notato san Paolo nel primo capitolo della Lettera ai Romani. Ciò che meraviglia - ed è inaccettabile - è che ci siano quelli che nella loro vita vogliono mettere insieme la professione cristiana e la morale permissiva, l'adesione a Cristo e la giustificazione di tutte le trasgressioni. Anche qui siamo chiamati a operare le nostre scelte. Che se pur non riusciamo a vivere in perfetta conformità con gli insegnamenti del Vangelo, almeno dobbiamo stare attenti a non mortificarne gli ideali. Domandiamo come dono al Padre dei cieli, dopo questa riflessione, di riprodurre in noi il più perfetta mente possibile sia lo spirito di comprensione verso tutti, sia la più ferma risposta alle esigenze di novità di vita, indicateci dal Signore.
18 SET 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7912
OMELIA XXV DOMENICA T. ORD - ANNO B (Mc 9,30-37) di Giacomo Biffi
La pagina evangelica odierna ci propone un altro discorso "impopolare" del Signore Gesù. Come quello di Cafarnao sull'eucaristia, che abbiamo meditato nelle domeniche di agosto, anche il discorso sulla croce, che è presentato qui, non raccoglie molto successo tra gli ascoltatori. La prospettiva della sofferenza viene rifiutata. I discepoli si dimostrano impermeabili all'annuncio della catastrofe umana, alla profezia della condanna e della morte: Essi non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Avevano cioè timore che il Maestro le confermasse nel loro significato più ovvio, che essi non volevano accettare.
Ma noi proviamo a chiedergli quelle spiegazioni, che i suoi primi discepoli non osavano domandargli. Cerchiamo cioè di capire bene il suo pensiero e la sua proposta. Gesù ha sempre davanti a sé il disegno del Padre: tutta la sua vita è progressiva comprensione e totale obbedienza nei confronti di questo disegno. Egli sa che la strada che gli è stata tracciata passa dal Calvario; sa che la salvezza che egli porta arriva attraverso la sua immolazione; sa che il suo trionfo - divino e invisibile - sarà ottenuto mediante il fallimento umano e l'insuccesso.
È un progetto difficile, duro, ripugnante alle nostre orecchie; ma questo, e solo questo, è il progetto del Padre. La conoscenza di questo disegno è per Gesù il più geloso segreto, è il senso stesso del suo trovarsi tra gli uomini. Perciò niente lo indigna di più, di chi cerca di distorglielo da questa strada, di chi gli propone una vittoria terrestre; di chi, come il demonio nella terza tentazione, gli offre di essere il dominatore clamoroso dei regni della terra. Di chi insomma assegna alla sua missione un significato soltanto mondano, sia pure per il trionfo della libertà e della giustizia.
SIAMO ANCORA PRIGIONIERI DI UNA CONCEZIONE TROPPO TERRENA DELLA VITA
E questo è proprio il caso degli apostoli, i quali, mentre Gesù parla della sua prossima sofferenza e della sua fine, si sentono il partito del futuro e discutono sull'assegnazione dei posti nel governo: Per la via avevano discusso tra loro di chi dovesse essere il più grande. Ma questo è anche il nostro caso; perché anche noi, di fronte a un Dio che pone davanti ai nostri occhi la prospettiva del regno dei cieli, continuiamo, nella nostra vita religiosa, a tenere lo sguardo alla terra e a interessare il Signore solo di tutti i nostri guai di quaggiù. Certo la terra ci è cara, e i suoi problemi sono inevitabilmente i nostri problemi. Ma la speranza in un destino eterno deve essere più forte di ogni altro pensiero.
Tanto più che senza la speranza di un destino eterno, tutto si banalizza, tutto si avvelena, tutto perde di senso. Non mi interesserebbe più niente neppure di questi pochi giorni terrestri che mi sono dati da vivere, se per un solo istante pensassi che essi mi fossero dati solo per raggiungere il buio orrendo del nulla. C'è gente, anche tra quelli che si vogliono riconoscere cristiani, che a sentir parlare del Paradiso sorridono ironicamente. Il pensiero del Paradiso, dicono, distoglie dagli impegni veri, dalle lotte che dobbiamo affrontare: è un pensiero alienante. Ma il problema vero non sta nell'appurare se il pensiero del Paradiso sia utile o no, ma nel vedere se il Paradiso ci sia o non ci sia. Se il Paradiso c'è, è matto - è alienato - l'uomo che non ci pensa mai.
E in ogni caso è sbagliato sorridere: perché, se non c'è, c'è poco da sorridere; se non c'è, tutto diventa inutile e irrilevante. E se c'è, sorridere non basta: bisogna fare salti di gioia, e capovolgere i propri interessi preminenti, le proprie attese, gli orientamenti fondamentali della propria vita. Per esempio, chi cerca la giustizia in questo mondo, senza una prospettiva eterna, sarà sempre deluso: in questo mondo la giustizia non c'è; anzi, chi è veramente giusto, finisce di solito sulla croce: Tendiamo insidie al giusto perché ci è di imbarazzo.
Chi si apre invece alla sapienza che viene dall'alto e che è pura, pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti (come abbiamo ascoltato dall'apostolo Giacomo), capirà un poco anche la difficile strada della croce e saprà aspettare - con desiderio, con fiducia, con tutto il suo essere - il giorno della risurrezione. La parola del Signore Gesù lo trasformerà dal di dentro, gli aprirà il cuore ed egli comprenderà la strada di Dio, anche se è una strada che passa per la rinuncia, per l'accettazione del dolore, per la partecipazione al mistero della croce. E questo in sostanza è l'atto di fede. Un po' di fede vera è ciò che ancora una volta ci sembra più utile domandare.
10 SET 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7886
OMELIA XXIV DOMENICA T. ORD - ANNO B (Mc 8,27-35) di Giacomo Biffi
L'episodio offertoci in questa pagina del Vangelo di Marco è tra i più ricchi di insegnamento di tutta la vita del Signore. Si colloca in una delle rare occasioni nelle quali Gesù sconfina dalla sua terra e arriva in vista di una città pagana; una città che era stata fondata circa trent'anni prima dal figlio di Erode, Filippo, in onore dell'imperatore Cesare Augusto; e perciò era stata chiamata Cesarea di Filippo.
Era un paese verdeggiante e solcato dalle acque: Gesù vi si rifugia col piccolo gruppo degli apostoli, per un momento di riposo e di riflessione, lontano dalla folla esigente e incalzante dei suoi compatrioti. In questo contesto di raccoglimento e di pace, il Signore invita i discepoli ad affrontare due questioni decisive: il mistero di Cristo e della sua vera identità e il mistero della salvezza del mondo ottenuta attraverso la croce.
Sono due distinte lezioni. Tutte e due ci mostrano Pietro come l'interlocutore privilegiato, lo scolaro più sveglio e più reattivo. Ma è uno scolaro dal rendimento alterno: prima è acuto, e risponde bene; poi è ottuso, e sbaglia l'intervento. Prima docile all'interiore illuminazione di Dio, poi condizionato dalla mentalità mondana; prima lodato e poi rimproverato aspramente dal suo Maestro.
SOLO LA CHIESA PUO' RIVELARCI LA VERA IDENTITA' DI GESU'
La prima questione si riferisce all'identità di Gesù: Chi dice la gente che io sia? Chi sono io, secondo voi? È una domanda che ha un valore perenne, ed è ancora di attualità. Nessun uomo che pensa può sfuggire a questo interrogativo: o presto o tardi vi si deve confrontare. Chi è Gesù? Non andremo certo a cercare la risposta al cinema, sui giornali o alla televisione o in "ciò che dice la gente". Abbiamo visto che la "gente" - cioè la cultura mondana, arbitraria e vuota, scettica e irremovibile nei suoi pregiudizi, inquieta e incapace di cercare sinceramente la verità - non sa dare una risposta concorde; soprattutto non sa dare una risposta vera.
La risposta la cercheremo da Pietro, cioè dalla Chiesa, la quale conosce il suo Signore e il suo Sposo, ed è in grado di rivelarcene il volto. È il volto del più bello dei figli dell'uomo, nel quale riluce ogni valore umano e ogni giustizia; è il volto di colui che è stato mandato da Dio a dirci le cose come stanno, perché tutti potessimo deciderci a orientare bene la nostra vita; è il volto di colui che ha detto: Chi vede me, vede il Padre, e perciò è lo stesso volto del Dio eterno, reso accessibile e leggibile alle creature che vivono nelle nebbie della storia; è il volto del nostro Salvatore, dell'unico che può salvarci davvero.
Ci salva prima di tutto da quel mare di bugie, di falsità, di stupidità, nel quale siamo quotidianamente immersi e dal quale ci libera soltanto la conoscenza delle verità eterne donateci dal Vangelo; poi ci salva dalla nostra condizione di sofferenza e di morte, persuadendoci che ogni dolore ha un senso e un pregio agli occhi di Dio e che la nostra morte sarà vinta per sempre nel destino di risurrezione che ci aspetta; infine ci salva da tutte le tirannie che inceppano e umiliano la nostra esistenza: dalle mille prepotenze di chi ci vuol dominare, dalle mille paure che ci affliggono, dalle mille debolezze interiori che ci spingono a fare ciò che pur sappiamo ingiusto e riprovevole. Egli, poiché è l'unico Signore, ci dà la capacità di non arrenderci mai, ci dà il coraggio di vivere, ci dà la forza di vincere ogni seduzione del male.
Tutto questo è stato intuito e riconosciuto a Cesarea di Filippo da Pietro che dice: Tu sei il Cristo, cioè tu sei l'inviato da Dio e il Salvatore degli uomini.
LA NOSTRA RILUTTANZA AD ACCETTARE LA CROCE COME PARTE INTEGRANTE DEL PROGETTO DIVINO DI SALVEZZA
Ma Gesù è un Salvatore crocifisso. Questa seconda parte dell'insegnamento è la più dura da accettare. Cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire. Certo, Cristo è colui che alla fine vince, perché ha con sé la vittoria di Dio; ma la sua è una vittoria che passa attraverso la sconfitta, l'umiliazione, la morte. Certo egli è il Re dell'universo e come tale apparirà alla fine, perché a lui è stato dato ogni potere in cielo e in terra; ma comincia a regnare dall'alto di una croce, coronato sì ma di una corona di spine. Egli è colui che è la vita e a tutti può dare la vita; ma la vita che egli dà germoglia dalla sua morte terribile.
Gesù faceva questo discorso apertamente. Traspare da questa annotazione lameraviglia dell'evangelista, quasi a dire: Aveva il coraggio di annunciare queste cose agli apostoli trasecolati. Si capisce allora la reazione di Pietro: interpreta il sentimento di tutti e si ribella. Prende in disparte Gesù, come farebbe un uomo autorevole e sensato con un giovane che l'ha detta grossa, e si mise a rimproverarlo.
Pietro siamo noi. Ci riconosciamo in quest'apostolo schietto, generoso, che però fa fatica a capire i disegni di Dio. Anche noi facciamo fatica a capire i disegni di Dio, quando includono il dolore, la mortificazione, la fine delle nostre speranze terrene. Anche noi siamo tentati di dar pareri al Signore, e di dirgli che si preoccupi un po' di più di far trionfare la giustizia, che si dia un po' da fare per far risplendere la verità davanti a tutti, che si affretti a confondere i suoi nemici e a rasserenare ed esaltare i suoi amici.
Anche noi, come Pietro, siamo pronti a suggerire al Signore quale sia la strada che deve percorrere; una strada che possibilmente non passi dal Calvario. È curioso notare che l'apostolo è stato talmente spaventato dall'idea della passione, che non sembra essersi accorto che Gesù contestualmente annunciava anche l'ora della resurrezione e della gloria: Il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ...venir ucciso, e dopo tre giorni risuscitare. Sembra non essersi avveduto che la vicenda aveva un lieto fine.
Invece il progetto di Dio va considerato tutto: c'è la croce, ma c'è anche - e definitiva - la gioia; c'è la morte, ma c'è anche la vita eterna; c'è la sconfitta, ma c'è anche la gloria. Il dolore e la prova sono la strada, e una strada che è obbligatorio percorrere; però non sono la mèta o la condizione finale. La mèta è la felicità senza termine, ed è assicurata a tutti coloro che, partecipando alla sorte del figlio di Dio crocifisso, parteciperanno anche alla sorte del Figlio di Dio che regna glorioso.
Come dice san Paolo, noi siamo eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria (Rm 8,17).
Commento teologico-pratico al vangelo della domenica (e delle feste liturgiche più importanti dell'anno)
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