Mauro Bonazzi - Simone Weil "Il libro del potere"
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Mauro Bonazzi Simone Weil "Il libro del potere" Chiarelettere www.chiarelettere.it "I Greci ebbero la forza d’animo di non mentire a se stessi; furono ricompensati per questo e raggiunsero nella vita...
mostra di piùSimone Weil
"Il libro del potere"
Chiarelettere
www.chiarelettere.it
"I Greci ebbero la forza d’animo di non mentire a se stessi; furono ricompensati per questo e raggiunsero nella vita il più alto grado di lucidità, purezza e semplicità."
Tre motivi per leggerlo:
Perché è un appassionante viaggio nell'antichità - gli eroi di Omero, la Grecia classica, il Cristianesimo eretico - alla ricerca di risposte fondamentali per la nostra vita.
Perché racconta della violenza di chi ama sentirsi sempre dalla parte del giusto, del bene, della verità.
Perché Simone Weil è un'autrice irresistibile, un esempio unico di coerenza e determinazione.
“I Greci ebbero la forza d’animo di non mentire a se stessi; furono ricompensati per questo e raggiunsero nella vita il più alto grado di lucidità, purezza e semplicità.”
Simone Weil
Simone Weil (1909-1943). Nata il 3 febbraio 1909 in una famiglia ebrea borghese, Simone Weil aveva goduto di una giovinezza sostanzialmente agiata, complicata soltanto dai frequenti spostamenti del padre, ufficiale medico, durante gli anni della Prima guerra mondiale. Appena diplomata, è il 1931, chiede di insegnare nelle zone portuali del Nord, dove più forte era la presenza operaia. Finisce nell’Alta Loira, a Le Puy, ed entra in contatto con quel che resta della grande tradizione del sindacalismo rivoluzionario. Sono gli anni della militanza politica e dei primi saggi. L’esperienza la fa maturare in fretta; la sua coscienza politica, antiautoritaria e individualista (era arrivata a scontrarsi niente meno che con Lev Trotski, di passaggio per la Francia) si fa più acuta, al punto che nel 1932 la troviamo a Berlino, osservatrice disincantata dell’inarrestabile ascesa di Adolf Hitler. Simone, però, non è fatta per essere una semplice spettatrice; non basta analizzare, lei deve vivere, sentire. Il problema del suo tempo, dalla Germania nazista all’Unione Sovietica comunista passando per gli Stati Uniti, è quello dell’industrializzazione forzata, un meccanismo implacabile che sembra distruggere tutto: nel 1934 la professoressa impegnata chiede un congedo e inizia a lavorare in fabbrica, prima alle officine Alstom di Parigi e più tardi alla Renault. Bisogna viverle certe situazioni, per poterle capire. L’impatto su un corpo fragile è durissimo; l’esperienza sconvolgente, disumana («solo là si conosce che cos’è la fraternità umana. Ma ce n’è poca, pochissima. Quasi sempre le relazioni, anche tra compagni, riflettono la durezza che, là dentro, domina su tutto»). Compito di una vera democrazia operaia dovrebbe essere quello di ridare dignità al lavoro, che è il modo in cui noi entriamo in contatto con il mondo; ma così non accade. Quando la violenza esplode, niente vi si può sottrarre, e lo scontro tra repubblicani e franchisti è sempre più quello tra Spagna, Germania e Italia, entità astratte, bandiere vuote. È un’idea che ispira il saggio Non ricominciamo la guerra di Troia, scritto nel sanatorio svizzero di Montana nel 1937: i conflitti si scatenano per parole false, vuote; «parole omicide», le chiamerà. Almeno Greci e Troiani avevano combattuto per una donna; ormai gli uomini s’intruppano dietro a nozioni astratte come patria, comunismo, fascismo, democrazia, autorità: bandiere che non appena vengono assolutizzate «trasferiscono chi le usa in un universo irreale». Nonostante una persistente emicrania (che la costringerà a lasciare definitivamente l’insegnamento nel 1938), vive in realtà un periodo di relativa serenità, prima in sanatorio, dove recupera forze ed energie, e poi in giro per l’Europa, in Italia soprattutto. Ad Assisi, nella cappella di Santa Maria degli Angeli, si sente attratta da una forza irresistibile. È l’inizio del suo riavvicinamento a Dio, mentre i movimenti rivoluzionari le appaiono sempre più soffocati dall’ombra lunga dei totalitarismi. Inutile precisare che anche su questo fronte Simone darà prova di grande originalità: convinta che il cristianesimo non sia altro che il prolungamento e l’inveramento della spiritualità egizia e greca (uno dei temi portanti del saggio L’ispirazione occitana, scritto nel 1942), rifiuta il battesimo e i dogmi della tradizione cattolica. Contrariamente a quello che si può pensare, per lei la conversione religiosa non segna un punto di rottura con la vita e le idee degli anni precedenti: è piuttosto un modo per affinare il suo sguardo sul presente, per coglierne la trama profonda, la verità. È quello che ha sempre fatto e che continuerà a fare. Semplicemente l’incontro con il cristianesimo le rivela che la realtà è molto più ricca di quanto non avesse precedentemente pensato. La riflessione sulla miseria umana trova un completamento nella ricerca della perfezione divina. Il tentativo sarà ora di ridare voce a quanti hanno cercato di costruire ponti per colmare questa distanza: Platone, la sapienza egizia o i cristiani non fa differenza. Non è un compito semplice, come si può capire dalla lettura dei suoi saggi dedicati a questo tema. La tregua dura poco, però. La tempesta sta per scatenarsi, e Simone ci si butta dentro senza esitazioni. Il 13 giugno 1940 i tedeschi entrano a Parigi, e Simone la lascia, prima per Vichy poi per Tolosa e Marsiglia, dove torna all’impegno politico: si prodiga per trovare documenti falsi a chi deve fuggire, frequenta poveri e oppressi cercando di aiutarli, incorre nella repressione degli organi istituzionali. Minacciata di essere messa in cella insieme alle prostitute, risponde altezzosa che ha sempre desiderato fare conoscenza con questo tipo di persone. Il giudice la lascia libera ritenendola folle. Intanto, non smette di scrivere: il saggio sull’Iliade, avviato tra il 1937 e il 1938, è completato in questo periodo e verrà pubblicato sui «Cahiers du Sud» del 1941 sotto lo pseudonimo di Émile Novis. Simone, come tanti altri e tante altre, è in linea di principio per la pace, per cui si è battuta a lungo. Ma si rende ormai conto che non è più un’opzione praticabile, mentre molti pacifisti finiscono per fare il gioco del governo collaborazionista del maresciallo Philippe Pétain. Il problema è piuttosto come combattere una guerra senza subirne quella logica implacabile, a cui troppi secoli ci hanno abituati. A questo serve il saggio su Omero, una riflessione sull’eterna tentazione degli uomini di risolvere i problemi ricorrendo alla forza: ma la forza non risolve nulla, e chi la usa ne sarà inevitabilmente dominato. «La forza riduce l’uomo a cosa»: la forza seduce e distrugge, perché è un’illusione, e nient’altro. È una lettura controcorrente del poema omerico, sfruttato in quegli stessi anni da troppo solerti filologi tedeschi per esaltare il fascino della guerra, per dimostrare che erano i tedeschi i veri eredi degli Achei. Il 7 giugno 1942 Simone prende finalmente il largo alla volta degli Stati Uniti, dove il fratello André, matematico di successo, aspetta ansioso i famigliari. Arriva a New York, ma si pente subito: si sente un’imboscata, mentre gli altri, nella Francia occupata, combattono. Cerca subito di tornare in Europa; la meta è Londra, per arruolarsi nelle file di «France combattante», l’organizzazione della resistenza francese guidata dal generale Charles de Gaulle. Matura un’idea forse folle, sicuramente difficile da realizzare, a cui gli altri guarderanno con perplessità: organizzare un corpo di infermiere che stiano in prima fila nei combattimenti. Vuole opporre una testimonianza morale alla violenza brutale delle SS naziste. Come sempre si prepara meticolosamente, seguendo un corso di pronto soccorso a Harlem. Ma De Gaulle rifiuta, e Simone è incaricata di esaminare documenti di carattere politico provenienti dalla Francia occupata. Il fronte rimane lontano. Eppure lei si sente lì, e con tutti quelli che soffrono: s’impone una dieta rigidissima per condividere la vita di chi ha il cibo razionato. Da giovane le era già capitato di digiunare per solidarietà e aveva smesso di portare le calze quando aveva visto che così era costretta a fare la maggioranza delle persone. Il fisico di Simone non è fatto per sopportare queste prove. Affetta da tubercolosi, muore il 24 agosto 1943 in un ospedale fuori Londra, sola. Intanto l’eco degli scritti che ha disseminato tra gli amici inizia a diffondersi, grazie soprattutto all’impegno di Albert Camus. È solo una questione di tempo e Simone Weil diventa uno dei punti di riferimento intellettuali per comprendere i tormenti del Ventesimo secolo da una prospettiva autentica, non viziata dall’adesione preconcetta a tesi di partito o di bandiera. «A volte i morti sono più vicini a noi dei vivi», come avrebbe scritto Albert Camus.
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