Lula riprenderà per mano il Latinoamerica?

5 nov 2022 · 24 min. 53 sec.
Lula riprenderà per mano il Latinoamerica?
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Il carisma del vecchio presidente operaio che perse un mignolo sul lavoro riuscirà a sradicare la mala pianta del sovranismo bolsonarista, a dare un’impronta ai tanti governi di differenti sinistre del Sudamerica e restituire l’Amazzonia al mondo, a ricollocare il Brasile nel suo ruolo coi Brics, a ridare fiato ai movimenti per i diritti; ben sapendo che «mai nessun presidente del Brasile ha governato con maggioranza propria» e che è grande il dubbio che alle parole facciano seguito progetti pragmatici davvero, come sentirete nel podcast.
Ci siamo rivolti a Diego Battistessa e Alfredo Somoza per raccogliere da un loro confronto commenti e analisi di questa fotografia impietosa scritta da “Valigia Blu” a decretazione di Lula presidente del Brasile: «Nell’elezione più combattuta della storia del Brasile, il candidato del Partito dei Lavoratori (PT) Luiz Inácio Lula da Silva, già presidente del paese tra il 2003 e il 2010, si è imposto per pochissimo contro il governante in carica Jair Bolsonaro. La vittoria di Lula dà un respiro di sollievo al sistema democratico brasiliano, che non sappiamo se sarebbe sopravvissuto a un secondo mandato del “capitano”. Se tuttavia da un punto di vista elettorale i vincitori sono Lula e il PT, è anche chiaro che il bolsonarismo esce vittorioso su un piano politico più generale. L’onda bolsonarista in parlamento ha accelerato una tendenza già in corso nell’ultimo decennio, cioè il rafforzamento delle tre “b”: boi (bue), che simbolizza gli interessi dell’agri-business; bala (pallottola), delle forze dell’ordine; e bíblia, delle chiese evangeliche: la maggior parte di questi parlamentari non sono più semplici poliziotti in difesa di interessi corporativi o rappresentanti pragmatici delle diverse chiese neo-pentecostali ma digital influencers allineati al bolsonarismo radicale e alle milizie paramilitari o pastori protestanti con un discorso messianico che descrive Bolsonaro come eletto da Dio e Lula come l’Anticristo» (https://www.valigiablu.it/brasile-lula-vittoria-bolsonaro/).
Raccogliamo dallo scritto pubblicato da @alfredosomoza sul suo blog (https://alfredosomoza.com/2022/11/04/come-difficile-saper-perdere/) un primo punto più generale: « Come da copione sovranista radicale, l’uscita dal palazzo presidenziale di Jair Bolsonaro è contrassegnata da disordini, caos e soprattutto dalla mancanza di rispetto verso i meccanismi della democrazia. Nella versione sudamericana non ci sono finti “indiani” ad assediare le sedi del potere ma abbiamo i camionisti a fermare il paese: perché, quando uno dei campioni della nuova destra radicale perde, o c’è stato un imbroglio oppure è vittima di un complotto. È quello che gli stessi leader dicono già mesi prima delle elezioni, preparando l’eventuale sconfitta». Ma in questo caso, probabilmente per indicazione dei militari stessi indisponibili a inscenare un golpe, e per le prese di posizione di Washington, non si è dato corso a questa potenziale forzatura autoritaria.
Anche durante la nostra chiacchierata radiofonica (su @rbo10525) abbiamo sentito questo brivido cileno d’antan, ma poi entrambi i nostri interlocutori erano d’accordo che la situazione internazionale attuale ha reso le mire golpiste del sovranismo attuale impercorribili.
Lula ha dichiarato che «non ci sono due Brasile. È tempo di ricostruire un paese diviso»: infatti poi nel discorso con i nostri due esperti si sono aggiunti alcuni elementi, uno, sintetizzato da Alfredo Somoza nel suo blog, fa emergere il meccanismo della “spaccatura” come strategia vincente a livello globale e dunque anche nell’elezione brasiliana dove i principali argomenti durante la campagna (e anche il bersaglio delle fake news) sono stati il tema dell’integrità e della sicurezza del sistema elettorale, più volte messo in discussione dal presidente, il tema dei valori cristiani, le questioni socio-ambientali, di genere e della famiglia; il tessuto sociale di São Paulo si rispecchia nel bolsonarismo, più che dei diritti sociali dei desk di Lula, la frammentazione territoriale è diffusa e si ripercuote nella frattura del paese; la presunta non affidabilità della stampa tradizionale (su questo aspetto e sul ruolo di “O Globo” ha posto alcuni rilievi @DiegoBattistes1, considerando quali possono essere le ripercussioni del contrasto al bolsonarismo, dato infine pure con la denuncia dell’ordine dato alla polizia di ostacolare lo spostamento di elettori nelle zone più di sinistra): «Trump e Bolsonaro in realtà non hanno inventato nulla, – ha scritto Alfredo – si sono limitati a rendere più profonda la spaccatura che si è andata creando nelle società occidentali negli ultimi anni. Spaccatura che si manifesta in molti modi diversi: tra città e campagna, tra ricchi e poveri, tra nativi e immigrati, tra perdenti e vincenti nel grande gioco della globalizzazione. Anziché lavorare per rimarginare queste ferite, hanno fatto il possibile per aumentare la divaricazione».
Ma ascoltate questo intelligente duetto fatto ai nostri microfoni a partire dall’ottimistica considerazione che i parlamentari “bolsonaristi” sono in stragrande maggioranza banderuole, elette dal sistema proporzionale del primo turno, che seguono il potere dove viene esercitato e quindi si assisterà a parecchi cambi di casacca, anzi: «I topi erano già scappati prima delle elezioni», nonostante Battistessa abbia scritto che «guardando la mappa del voto, la composizione del congresso e risultati dei ballottaggi dei governatori, si capisce inoltre che per Lula il compito di governare non sarà per niente facile. Rio de Janeiro era già andata al “bolsonarismo” nella prima tornata elettorale e anche São Paulo ha votato per il candidato vicino a Jair Bolsonaro». Ma anche Diego concorda che molti eletti sono centristi – quindi non del partito di Bolsonaro – usi ad appoggiare i governi che possono accoglierli e poi riprende quanto ha scritto su “Il Fatto quotidiano” allargando alla collocazione di questo ulteriore spostamento a sinistra nel quadro politico sudamericano: «Per l’America Latina la vittoria del settantasettenne Lula significa che ora, su 630 milioni di persone, più di 570 milioni sono governate da un governo di sinistra (andrebbe ovviamente approfondita nello specifico la situazione politica di Venezuela, Nicaragua e Cuba e non è questo il luogo) aprendo ancora una volta nuovi possibili scenari di unità regionale e di utopie possibili».
Certo che la aspettativa è grande, tutto sulle spalle di un uomo di 77 anni?
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Autore OGzero - Orizzonti geopolitici
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