L'ultima follia di Saviano: legalizzare la prostituzione
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Regolare i sex workers per evitare abusi (e la deriva nel narcotraffico). Dietro questo titolo piuttosto ambiguo, lo scrittore (e tuttologo) Roberto Saviano chiede, dal sito del Corriere della Sera, la legalizzazione della prostituzione. A seguito di quanto avviene già in alcuni paesi del nord, come la Germania e l'Olanda.
Secondo Saviano, inoltre, «è sbagliato parlare di prostituzione, bisogna porre l'accento sul fatto che si tratta di una vera e propria categoria professionale». Il bordello legale, quindi, non sarebbe la triste reliquia di un'altra epoca, superata e archiviata dalla legge Merlin del 1958, ma sarebbe il futuro radioso verso cui dovremmo dirigerci. Legge Merlin, lo ricordiamo, che condannava non solo lo sfruttamento, ma anche il "favoreggiamento della prostituzione". Favoreggiamento che ci può essere anche in chi esalta, legittima e giustifica proprio il "sex work".
La regolamentazione della prostituzione, come la intende Saviano, servirebbe «proprio per evitare abusi», che sono possibili «in tutte le relazioni di potere». In più, come se non bastasse, l'autore di Gomorra non ha perso l'occasione per tirare in ballo la Chiesa: rea di adottare da sempre, in Italia, una «longa manus» e un «approccio paternalistico» verso la prostituzione. Approccio che, sempre secondo Saviano, avrebbe un «annesso giudizio morale», verso «una professione che ancora oggi non può essere riconosciuta ma solo stigmatizzata». Si parla di stigma, dunque, quando invece ben sappiamo che si tratta semplicemente di buon senso e civiltà e non di arcaici pregiudizi e tabù.
Le parole di Saviano non sono però rimaste senza risposta, arrivata in modo piccato da Marina Terragni, femminista da anni in prima linea per difendere le donne, che ha commentato la follia dello sdoganamento della prostituzione. [...] Secondo il pezzo, addirittura «Saviano non ne imbrocca una» quando parla di donne. E quest'ultima uscita sulla prostituzione legale non fa eccezione.
Secondo la Terragni, infatti, la prostituzione legale, dietro l'apparenza del rispetto di un formale contratto di lavoro, nasconde in realtà, «il supposto diritto maschile a disporre di carne femminile a pagamento per un sesso di scarica, o per dimenticare le frustrazioni o per esercitare il proprio dominio».
Saviano quindi, nelle sue proposte à la page, dimostrerebbe una «misoginia imperdonabile». Misoginia che ignora, o fa finta di ignorare, «lo schifo che prova una donna per gli uomini che pagano per stuprarla; i farmaci e le sostanze che butta giù per riuscire a sopportare quelle mani e quei genitali e quelle bocche 'libere' di farle di tutto».
Nei Paesi dove è stata legalizzata, aggiunge la Terragni, la prostituzione è divenuta presto una «tratta delle schiave sessuali». Con cui «le mafie di tutto il mondo fanno affari con la carne femminile».
Possibile che il nostro avanguardista, sempre in prima linea proprio contro la criminalità organizzata, non se ne accorga? La stessa Monica Sergentini, firma proprio del Corriere della Sera, ha dichiarato con un tweet (poi rimosso) il suo stupore nel leggere sul suo giornale le proposte regressive di Saviano.
Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo seguente dal titolo "Prostituzione legale: Saviano scivola e legittima il male" spiega che la prostituzione è un male che intacca il bene comune e quindi lo Stato non può legalizzarla. Tra l'altro le mafie farebbero affari d'oro, proprio come accade nei settori leciti dell'edilizia o dei rifiuti.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 2 aprile 2022:
Uno dei refrain del pensiero liberale e radicale è la legalizzazione della prostituzione. Il chiodo fisso dei progressisti è sostanzialmente rendere legittimo il male, qualificare come diritto qualsiasi delitto. Ecco allora che Roberto Saviano, uno dei sacerdoti più noti della Chiesa liberal, torna sul tema e chiede, dalle colonne di Sette del Corriere della Sera, di "Regolarizzare i sex workers per evitare abusi (e la deriva nel narcotraffico)", questo il titolo dell'articolo.
Veniamo al nocciolo della questione. Il primo punto, un classico dei radicali già visto con cannabis, aborto, eutanasia, è il seguente: legalizzare toglie mercato al malaffare. La mancanza di regolamentazione «dà vita a sfruttamento, dolore, alimenta criminalità e illegalità», scrive il Nostro.
Il secondo punto stigmatizza un approccio da Stato etico: l'ordinamento giuridico non dovrebbe esprimere giudizi morali, ma solo regolamentare le libertà altrui: «L'approccio è sempre paternalistico, come se l'attenzione fosse tutta focalizzata su come si dovrebbe vivere, con annesso giudizio morale, piuttosto che sul provare - e magari riuscirci - a regolamentare una professione che ancora oggi non può essere riconosciuta ma solo stigmatizzata». Dunque la prostituzione è un lavoro come un altro e come tale ha bisogno di regole.
Rispondiamo ai due punti di cui sopra, partendo dal secondo. Innanzitutto mai è lecito legittimare il male, ossia riconoscere come diritto ciò che è moralmente riprovevole. Vendere il proprio corpo, liberamente o peggio per costrizione, è sempre un'azione intrinsecamente malvagia perché l'esercizio delle proprie facoltà sessuali esprimono la donazione totale della persona e laddove c'è donazione, c'è gratuità, non compravendita. La donna vende la totalità della propria persona, non solo il proprio corpo.
A differenza dell'approccio materialista e antipersonalista di Saviano, avere rapporti sessuali non è come tinteggiare casa. Pagare una donna per aver rapporti sessuali non è come pagare un imbianchino per dare una rinfrescata al soffitto del soggiorno, perché la sessualità coinvolge tutta la persona, corpo e anima, e quei gesti, chiamati guarda caso "intimi" perché riguardano la parte più recondita della persona, sono connaturati ad un rapporto di amore e procreazione. Quindi hanno ragione di esistere solo con chi si ama volendo con lui o lei costruire una famiglia. Non si dà sesso senza amore e vita e non si dà amore e vita senza matrimonio.
Non è una convenzione, come pensa il veteromarxista Saviano, una sovrastruttura clericale e borghese, un lascito stantio della storia, ma un dato antropologico, ossia connesso ontologicamente e dunque metafisicamente con la persona stessa. Pensare che la prostituzione sia un lavoro come un altro significa perciò avallare uno sguardo empirista sulla persona che porta alla reificazione della donna, vuol dire dunque avallare la prostituzione, la tratta delle donne.
La prostituzione, poi, non è uno di quei mali morali che non intaccano gravemente il bene comune - come una menzogna detta ad un amico - bensì lo aggrediscono in modo significativo perché svilisce la persona che fa commercio di sé, contribuisce ad una visione edonistica e ludica del sesso, corrompe le famiglie minando i vincoli di fedeltà, espone a seri rischi la salute pubblica (non esiste solo il Coronavirus ma anche tanti altri virus venerei).
Di fronte ad una condotta che lede gravemente il bene comune l'ordinamento giuridico può vietarla e quindi sanzionarla oppure tollerarla. La tolleranza è da preferire ogni qual volta il divieto e la sanzione provocherebbero più danni di quelli che si vogliono evitare. È proprio il caso della prostituzione che nel nostro Paese non è qualificata come reato perché il più delle volte le prostitute sono schiave di individui senza scrupoli. Mettere in carcere una persona che non è già libera non avrebbe senso. Corretto invece perseguire, come fa il nostro ordinamento, chi induce e sfrutta la prostituzione.
È un approccio da Stato etico? Tutti gli Stati sono inevitabilmente etici perché laddove c'è una norma c'è una scelta e laddove c'è una scelta questa è orientata verso alcuni fini, cioè verso alcuni beni. Anche la proposta di Saviano di legalizzare la prostituzione è etica - poi occorre verificare se è una buona o cattiva etica - perché crede che sia bene (ecco l'elemento morale) togliere questo commercio alla malavita. E se passasse la sua proposta, questo modo di vedere la prostituzione sarebbe imposto ai dissenzienti. Tutte le discipline normative sono coercitive, nel senso che impongono ai cittadini la visione dello Stato come migliore soluzione per la collettività.
Passiamo al secondo punto: legalizzare la prostituzione toglierebbe mercato alla malavita. In primo luogo anche se fosse così comunque lo Stato non potrebbe legittimare ciò che è illegittimo perché sarebbe azione intrinsecamente malvagia e mai si può compiere il male anche a fin di bene, anche in vista di grandi utilità. Ma poi in realtà questo bene è fittizio, illusorio. Rendendo legittimo il meretricio questo si diffonderebbe, il giro di affari aumenterebbe e dunque farebbe ancor più gola proprio a quelle mafie di cui parla Saviano. Così capita in quei Paesi dove la prostituzione è legale. Il male per eliminarlo deve essere combattuto non favorito: legalizzare significherebbe consegnare in mano ai delinquenti strumenti giuridici per continuare i loro sporchi traffici.
È poi sotto gli occhi di tutti che le mafie si infiltrano nei negozi leciti: pensiamo al pizzo per i commercianti, al giro di appalti, all'edilizia, allo smaltimento di rifiuti, etc. in realtà non c'è attività lucrosa legittima indenne dalle loro attenzioni. Ciò che è legale non fa paura alle mafie, anzi. È il caso del contrabbando di sigarette (giusto l'altro giorno sono stati sequestrati a Napoli 117 Kg di sigarette di contrabbando) che continua a essere praticato nonostante la vendita legale di tabacchi. Il clandestino, il nero si somma sempre al legale.
E dunque la prostituzione clandestina
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Autore | BastaBugie |
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