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L'etica ci aiuta a comprendere la distinzione tra bene e male in modo da fare buon uso della libertà
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Morale - BastaBugie.it
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La fede non va in vacanza
24 LUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7860
LA FEDE NON VA IN VACANZA di Don Stefano Bimbi
Come ogni anno eccoci alle "agognate" vacanze. Molti sembrano andare a lavorare al solo scopo di potersi poi permettere le mete estive desiderate. Eppure non è sempre stato così. I nostri bisnonni non andavano mai in vacanza. Chi lavorava nei campi non poteva certo andare via d'estate quando anzi il lavoro aumentava. In Italia fu il fascismo a inculcare l'idea che bisognava andare al mare. E indovinate! Il motivo era la salute. Quanto ci tiene lo Stato alla salute dei cittadini, oggi come ieri! I medici iniziarono a dire che per la salute dei figli occorreva portarli al mare perché l'aria che si respira cura tutte le malattie. E allora frotte di gente si precipitavano sulle spiagge con costumoni che oggi ci fanno ridere, (ma vedendo come si sono assottigliati soprattutto quelli delle donne al giorno d'oggi, viene solo da piangere per quanto il pudore è dimenticato e il corpo profanato).
Ma facciamo alcune considerazioni su come l'uomo di fede può e deve vivere questo "rito" collettivo. Il cattolico si distingue non solo nella vita ordinaria, ma anche dal modo in cui si riposa e si diverte: anche sotto l'ombrellone o in cima a un monte, lo scopo della vita non è un pacchetto turistico, ma il paradiso. Ovviamente non stiamo a valutare se sia meglio il mare o la montagna. Qui interessano alcuni punti fermi per una vacanza degna di un figlio di Dio.
PUNTI FERMI PER IL CRISTIANO
Innanzitutto il cristiano non spende cifre sproporzionate al suo tenore di vita. Chi esagera al solo scopo di ostentare uno stile di vita al di sopra delle proprie possibilità, dimostra un'esistenza triste.
Inoltre il cristiano deve ricordarsi che è tale anche in estate. Non si va mai in vacanza da Dio, dalla fede e dalla morale. Si può andare anche in capo al mondo, ma, ad esempio, non si può dimenticare il precetto della domenica e delle altre feste comandate. Andare alla Messa è sempre possibile e il precetto non si sospende perché "non c'è tempo" o "non so dov'è la chiesa". Nemmeno la distanza da una chiesa officiata da un sacerdote cattolico può valere come scusa. Quando si programma il viaggio bisogna informarsi anche su dove poter andare alla Messa. E non bisogna dimenticare che il rispetto dei luoghi sacri e delle celebrazioni liturgiche vale anche fuori casa. Non ci si presenta alla Messa in ciabatte e pantaloncini perché il sacerdote celebra la Messa sul sagrato o in pineta (oppure, Dio non voglia, direttamente in spiaggia). Non ci si può adeguare a quello che fanno gli altri se questo non rispetta Dio. E non bisogna nemmeno dimenticare che andare a Messa in vacanza è necessario, ma non sufficiente. Occorre, ad esempio, anche la preghiera quotidiana per cui difenderemo la regolarità della vita spirituale anche in vacanza senza vergognarci di appartarci dall'eventuale compagnia in alcuni momenti della giornata.
Inoltre non va dimenticato che l'ozio è il padre dei vizi. La vacanza non può trasformarsi in un "dolce far nulla". Riposare in vacanza è il primo obiettivo, mentre l'ozio va rifuggito sempre impegnandosi ad avere un programma nel quale non manchino sia il riposo che il divertimento, ma anche la preghiera e l'amore del prossimo a cominciare dai suoi familiari a cui dedicare più tempo e attenzione.
NON UNA SCUSA PER PECCARE
A proposito del divertimento bisogna ricordare che non deve essere una scusa per poter peccare. Se questo è ovvio in quanto dobbiamo fuggire e non cercare le occasioni prossime di peccato, meno evidente è che il divertimento non deve farci dimenticare il primo obiettivo, cioè il riposo. Se i posti frequentati, la folla e il rumore caratterizzano la nostra vacanza, allora ben possiamo dire che torneremo a casa più stanchi di prima e allora... perché siamo partiti? Potevamo stancarci gratis continuando con le normali attività a casa.
Non va dimenticato inoltre che in vacanza possiamo dedicare del tempo alle letture edificanti che magari non siamo riusciti a coltivare durante l'anno: gli scritti dei santi o le loro vite, i romanzi storici di Louis de Wohl oppure i libri consigliati proprio in questo numero della nostra rivista e, perché no, anche la stessa Bussola Mensile. Per chi può permetterselo sarebbe bello trascorrere un po' di tempo nel silenzio di un monastero per ritemprare lo spirito, ma per chi ha famiglia è pressoché impossibile e allora perché non visitare almeno un santuario, una cattedrale o un luogo dove è avvenuto un miracolo o un'apparizione? E perché non approfittare per la confessione e la direzione spirituale?
Parlando di vacanze e di famiglia non si può infine tacere la leggerezza con cui quasi tutti i genitori lasciano fare ai figli vacanze assolutamente immorali come quelle, ad esempio, fatte in gruppo da ragazzi e ragazze insieme o addirittura il fidanzato con la fidanzata come fossero già sposati. Incoraggiare o anche solo permettere simili vacanze di maschi con femmine è favorire situazioni prossime di peccato, mentre le vacanze dei fidanzati sono istigazione al peccato. Il genitore deve essere tassativo sul rispetto della morale cristiana e, finché il figlio abita nella sua casa, non può giustificarsi dicendo che "ormai è grande". Fino a quando il figlio non diventa autonomo, con una casa e un reddito propri, è obbligato dal quarto comandamento all'ubbidienza verso i genitori e quindi questi ultimi rispondono davanti a Dio delle occasioni di peccato da loro permesse o anche solo tollerate. San Paolo ammoniva: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). A volte si ha l'impressione che i genitori si siano perfettamente conformati alla «mentalità di questo secolo». E le conseguenze per le nuove generazioni sono sotto gli occhi di tutti.
Dieci cose sulla pornografia che non sai
9 LUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7849
DIECI COSE SULLA PORNOGRAFIA CHE NON SAI di Manuela Antonacci
La pornografia e i suoi effetti negativi sulle persone sono ampiamente denunciati nella comunità scientifica e, tuttavia, non se ne parla o non se ne parla abbastanza. Eppure ci sono elementi sufficienti per denunciare questo business. Solo per citarne due: il traffico di esseri umani e gli abusi sui minori. Ma ci sono tanti aspetti su cui si riflette poco, altrettanto nocivi. Riprendendo quanto riportato dal sito ReligionenLibertad, analizziamo 10 solo per indicarne alcuni.
1. LA PORNOGRAFIA È LEGATA AL TRAFFICO SESSUALE
Nel caso del traffico di esseri umani, questo può riguardare molte situazioni: pensiamo per esempio, ai bambini tailandesi venduti come schiavi sessuali o i casi di giovani donne attirate in un bordello con la promessa di un lavoro. Spesso, nonostante le vittime abbiano la libertà fisica di muoversi, tuttavia, il trafficante le mantiene in schiavitù attraverso la frode, la violenza fisica e l'intimidazione psicologica.
2. LA PORNOGRAFIA È COLLEGATA ALLO SFRUTTAMENTO MINORILE
Pensiamo solo al genere "teen porno", uno dei termini più ricercati, negli ultimi cinque anni, sui principali siti che offrono questi contenuti. I filmati mirano a normalizzare gli abusi sui minori. Infatti, un cliché ricorrente, in questa categoria, è la storia dell'adolescente che viene sfruttata da un uomo più anziano. Una fantasia tossica che alimenta l'abuso fino a normalizzarlo.
3. GLI ABUSI SUGLI ATTORI
L'industria del porno non si prende esattamente cura dei suoi attori. Infatti, non tutto ciò che accade sul set è consensuale. Una famosa attrice porno, Nikki Benz, è stata una delle prime artiste a parlare degli abusi subiti e a denunciarli nel 2016, e lo ha fatto descrivendo l'aggressione improvvisa, subita durante le riprese di una scena, in cui il protagonista le ha calpestato la testa e l'ha strangolata.
4. I CONSUMATORI FRUISCONO DI IMMAGINI FRUTTO DI VIOLENZE
Molte persone credono che se una persona recita in un film porno, il consenso sia scontato. Ma si tratta solo di un'ipotesi che non trova sempre conferma. In realtà, poi, di fronte alla telecamera, gli attori accetteranno gli atti a cui verrà detto loro di partecipare e, una volta completate le riprese, saranno costretti a dire che tutto era secondo il loro consenso, altrimenti il filmato della giornata verrà distrutto. E, inoltre, solo affermando che le riprese siano state effettuate in piena consapevolezza, sarà sicuro che verranno pagati per il "lavoro" svolto.
5. IL PORNO COME DIPENDENZA E OSSESSIONE
La pornografia colpisce il cervello: quando una persona guarda un contenuto pornografico inganna il proprio cervello inducendolo a pompare dopamina come se stesse guardando un potenziale partner. Questo, bombardamento forte e continuo, tuttavia, porta ad una graduale desensibilizzazione e, dunque, a ricercare quella sensazione sempre di più. Per cui da semplice abitudine questa ricerca, si trasforma in una dipendenza.
6. IL CONSUMO DEL PORNO SFOCIA NELLA VIOLENZA
La pornografia non è solo dipendenza, che sottrae tempo e attenzione alla vita quotidiana, ma può portare anche alla ricerca spasmodica di materiale più violento, di qualcosa che, prima di iniziare la discesa all'inferno nel mondo a luci rosse, sarebbe stato considerato inaccettabile o "disgustoso", come la pornografia infantile.
7. IL PORNO TI CAMBIA LO SGUARDO
La fruizione di materiale a luci rosse non rimane solo all'interno di uno schermo, ma entra in ogni aspetto della vita dei consumatori, fino a cambiare lo sguardo verso gli altri. La pornografia può persino alterare le preferenze sessuali di un consumatore, al punto che una persona può non rispondere più sessualmente allo stesso modo al proprio partner. E' stato scoperto anche che la visione della pornografia influenza gli atteggiamenti e le convinzioni nei confronti delle donne e delle relazioni. Da uno di questi studi è emerso che «le persone che consumano materiale pornografico, più frequentemente, hanno maggiori probabilità di arrivare ad approvare la violenza sessuale, fino ad impegnarvici di persona». Ovviamente, non tutti coloro che guardano il porno diventeranno violentatori o stupratori, ma questi risultati dovrebbero portarci a mettere in discussione la fruizione di materiale pornografico.
8. LA PORNOGRAFIA CORRODE LA FIDUCIA IN SE STESSI
Il consumo di pornografia è stato correlato a livelli più elevati di insoddisfazione fisica. In uno studio condotto su un gruppo di studenti universitari che consumavano materiale pornografico si è cercato di valutare il modo in cui si percepivano, in termini di soddisfazione corporea, soddisfazione relazionale e benessere emotivo generale. Si è scoperto che i ragazzi che guardano film a luci rosse hanno un minore senso di sicurezza emotiva. Hanno maggiori probabilità di provare ansia relazionale e di isolarsi maggiormente, rispetto ai loro pari che non consumano porno. Le donne riferiscono anche una mancanza di fiducia in se stesse e persino odio verso il proprio corpo dopo aver visto il porno.
9. LA PORNOGRAFIA AVVELENA LE RELAZIONI SENTIMENTALI
Circola da sempre la bufala secondo cui guardare la pornografia in coppia, sia utile per le relazioni sentimentali. In realtà è esattamente l'opposto. I ricercatori hanno scoperto che il consumo di pornografia fa sì che molte persone siano meno soddisfatte dell'aspetto fisico, delle prestazioni sessuali, della curiosità sessuale e dell'affetto del proprio partner. Nel corso del tempo, i consumatori tendono a diventare meno impegnati nelle loro relazioni, ad entrare meno in intimità con i loro partner e ad essere meno soddisfatti della loro vita romantica e sessuale. In altre parole: guardare contenuti sessualmente espliciti può danneggiare la vita sessuale reale.
10. IL PORNO NON ESISTE NELLA REALTÀ
Il porno costruisce fantasie e racconta palesi bugie sull'amore, sul corpo umano e sul sesso, e le sue conseguenze possono essere drammatiche. Secondo la pornografia, le donne sono desiderose di fare sesso sempre, ovunque e con chiunque. Secondo il porno, tutto ciò che gli uomini vogliono in una relazione è il sesso, e ne hanno il diritto, anche se è necessaria la forza. Il porno promette soddisfazione immediata, eccitazione infinita e intimità facile, ma alla fine nessuna delle tre cose è vera.
Come combattere gli scrupoli
9 LUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7846
COME COMBATTERE GLI SCRUPOLI (CHE NON SONO LA VOCE DI DIO, MA DEL DIAVOLO) di Roberto Marchesini
Oggi ci occupiamo degli scrupoli. La parola «scrupolo» deriva dal latino scrupulus, cioè sassolino. È il proverbiale "sassolino nella scarpa", ossia qualcosa di microscopico che però è fastidiosissimo e sembra enorme, gigantesco. È un problema spirituale che consiste nel sentirsi perennemente e gravemente inadempiente nei confronti delle leggi morali e religiose, dei propri doveri di cristiano. È un grosso problema psicologico che procura enormi sofferenze: ansia, inquietudine, continuo esame su pensieri, azioni e omissioni, momenti di profondo sconforto. Vediamo quindi di analizzare il problema e di proporre qualche aiuto per chi ne soffre.
Il primo e fondamentale scoglio da affrontare è la consapevolezza di avere un problema. Bisogna accettare l’idea che non si è obiettivi nel valutare se stessi, non si è in grado di fare una valutazione realistica e serena della propria persona. In una parola: si manca di umiltà. Per fare un esempio, è come se io facessi un viaggio in automobile e indossassi un paio di occhiali da sole; se mi dimentico di averli indossati, entrando in una galleria non vedrò più niente. Se, invece, sarò consapevole di indossare un paio di lenti scurenti, all’ingresso in galleria solleverò gli occhiali e potrò vedere la strada. La persona scrupolotica indossa, nel valutare se stesso, le proprie azioni e i propri pensieri, delle lenti scurenti: vede tutto più nero di come le cose sono in realtà. Se si rende conto che il mondo non è buio e oscuro, ma è il suo modo di vedere le cose, può «fare la tara», ossia prendere le distanze dalla sua opinione viziata dagli scrupoli.
Bisogna poi considerare che gli scrupoli non sono nostri amici, un aiuto per vivere cristianamente, tutt’altro: sono il nostro peggior nemico. Consideriamo le conseguenze degli scrupoli: isolamento, tristezza, sfiducia in Dio e nella Sua promessa di salvezza, omissione dei doveri di stato e, infine ma non ultimo, il peccato. Perché spesso, l’unico rimedio alla tristezza o, addirittura alla disperazione indotta dagli scrupoli, è il peccato mortale. Si capisce immediatamente, quindi, che gli scrupoli non sono la voce di Dio che parla alla nostra coscienza, ma uno strumento del diavolo che ci inganna, ci allontana dall’amore di Dio e ci conduce al peccato. Come scrive sant’Ignazio di Loyola negli Esercizi Spirituali: «Il demonio osserva bene se un’anima è grossolana o delicata. Se è delicata, cerca di renderla ancor più delicata fino all’eccesso, per turbarla e confonderla maggiormente; per esempio, se vede che uno non consente né a peccato mortale né a peccato veniale, né ad alcuna ombra di peccato volontario, allora il demonio, quando non può farlo cadere in qualche cosa che sembri peccato, cerca di fargli credere peccato quello che peccato non è, come una parola o un pensiero senza importanza» (349). Restando sempre agli Esercizi, sant’Ignazio spiega (nelle regole per il discernimento degli spiriti) che gli spiriti buoni, con le loro ispirazioni, serenità e gioia; mentre inquietudine e tristezza sono gli effetti delle ispirazioni degli spiriti malvagi. Dunque, chi decidiamo di ascoltare? Il nostro angelo custode o il nostro diavolo custode?
Una volta che lo scrupolotico ha sviluppato un atteggiamento diffidente nei confronti dei propri tormenti, si può procedere limitando o eliminando i continui rimuginamenti. Non possiamo perdere intere giornate a interrogarci accanitamente su ogni pensiero, azione o omissione: abbiamo delle cose da fare, abbiamo i nostri doveri di stato, ci sono persone che hanno bisogno di noi. Anche in questo caso, è una questione di umiltà: si tratta di accettare che, in questa vita, non tutto è chiaro, definito, prima di ombre. Fa parte della condizione umana: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa» (1 Cor 13,12). Procediamo a tentoni, sforzandoci di vivere meglio possibile, ma dobbiamo accettare la nostra limitatezza. Certi che, dopo questo esilio, sempre per seguire san Paolo, «vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (ibidem). Si tratta solo di aspettare.
Occorre chiarire un punto: la tentazione non è un peccato. Sì, perché lo scrupolotico considera peccato anche le tentazioni. Bene: Gesù non ha mai commesso un solo peccato, nemmeno veniale; eppure è stato tentato (Mt 4). La tentazione è una occasione, permessa da Dio perché possiamo guadagnarci il Paradiso; se superiamo la tentazione non abbiamo peccato ma, al contrario, abbiamo guadagnato dei meriti. Dunque il punto non è se siamo stati tentati o meno, ma come ci siamo comportati nella tentazione: l’abbiamo superata oppure no?
Altro punto: il Catechismo insegna che, perché ci sia un peccato mortale, devono essere soddisfatte contemporaneamente tre condizioni: materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso (CCC 1857). La materia grave è definita dai Dieci Comandamenti; la piena avvertenza consiste nella consapevolezza che quella cosa sia un peccato; il deliberato consenso è la piena e libera adesione della volontà al compimento di un atto malvagio conosciuto come tale. Se non c’è questa libera adesione al male, non c’è peccato mortale. Giovanni Paolo II, nella sua purtroppo dimenticata Teologia del corpo, insegna che il peccato non consiste (soltanto) nell’atto ma, soprattutto, nell’intenzione. «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla [cioè con l’intenzione di desiderarla], ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,27-28). Se, dunque, ho il dubbio di aver mancato di rispetto a Dio o alle cose sante, di aver indugiato in pensieri sconvenienti o peggio, posso chiedermi: avevo l’intenzione piena e deliberata di compiere un peccato mortale?
È fondamentale avere un confessore o un direttore spirituale (cosa, quest’ultima, sempre più difficile); ma è ancora più importante affidarsi a un confessore o a un direttore spirituale. Spiego. Molti scrupoli riguardano proprio la confessione: mi sarò spiegato bene? Avrò confessato proprio tutto? Avrò omesso qualcosa? Avrà capito bene la gravità di ciò che ho fatto? La penitenza sarà adeguata? L’assoluzione sarà valida? Eccetera eccetera. Ora: il buon Dio ha stabilito il mondo in modo ordinato; il che significa che ognuno ha il suo ruolo e le sue responsabilità. Il ruolo del confessore è confessare; quello del direttore, dirigere. È il loro compito, non il nostro. La responsabilità di chiedere delucidazioni, chiarimenti, di valutare la gravità dei peccati e di comminare una penitenza adeguata è del confessore; la valutazione dello stato spirituale e morale del diretto è del direttore. Quindi, se ci affidiamo a loro, facciamolo davvero. Lasciamo a loro la responsabilità: se sbagliano, ne risponderanno loro. O vogliamo forse saperne più di loro? E torna nuovamente il tema dell’umiltà...
Ed ecco, infine, la regola aurea: nel dubbio, non è peccato. Il bene e il male non generano dubbi: sono chiari. Se io voglio liberamente compiere una azione malvagia sapendo che è un male, non ho dubbi; se io voglio fare del bene, non ho dubbi. Se ho dei dubbi, è uno scrupolo. Quindi devo rigettarlo.
I RIMEDI
I rimedi agli scrupoli secondo il Compendio di teologia ascetica e mistica di padre Adolphe Tanquerey (1854-1932):
944. Bisogna combattere lo scrupolo subito da principio, prima che si sia profondamente radicato nell’anima. Ora il grande, anzi, a dir vero, l’unico rimedio è la piena e assoluta obbedienza a un savio direttore: oscuratasi la luce della coscienza, bisogna ricorrere ad altra luce; lo scrupoloso è come una nave senza timone e senza bussola: bisogna rimorchiarlo. (...)
945. (...) Ora con lo scrupoloso, non si deve discutere ma parlare con autorità, dicendogli nettamente quel che deve fare. Per ispirare questa confidenza, il direttore deve meritarla per competenza e premura.
946. Guadagnata la confidenza, bisogna esercitare l’autorità ed esigere obbedienza, dicendo allo scrupoloso: se volete guarire, dovete ubbidire ciecamente: obbedendo, siete pienamente al sicuro, quand’anche il direttore sbagli, perché Dio in questo momento a voi non chiede altro che di obbedire. La cosa è talmente così, che se voi non vi sentiste di obbedirmi, bisogna che vi cerchiate un altro direttore: la sola ubbidienza cieca vi potrà guarire e vi guarirà certamente.
947. Venuto il tempo, il direttore inculca il principio generale, che darà modo allo scrupoloso di disprezzar tutti i dubbi; occorrendo, lo può anche dettare in questa o altra simile forma: "Per me, in fatto di obbligo di coscienza, non c’è che l’evidenza che conta, ossia certezza tale che escluda ogni dubbio, certezza calma e piena, chiara come due e due fanno quattro; (...) fuori di questo caso, per me nessun peccato". Quando lo scrupoloso si presenterà affermando di aver commesso un peccato veniale o mortale, il confessore gli dirà: Potete giurare di aver chiaramente visto, prima di operare, che quell’azione era peccato e che, avendolo chiaramente visto, pure ci avete dato pieno consenso? Questa interrogazione chiarirà la regola e la farà capir meglio.
RICORDA
Sconfiggere gli scrupoli in 7 mosse:
1) Fai la tara a quello che pensi (non sei obiettivo).
2) Gli scrupoli sono il tuo nemico (non un tuo amico).
3) Evita i rimuginamenti.
4) La tentazione non è un peccato.
5) Se non avevi l’intenzione di fare il male, non è un peccato.
6) Affidati (ciecamente) al confessore o al
In Ucraina la guerra ferma tutto, eccetto l'utero in affitto che aumenta
9 MAG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7790
IN UCRAINA LA GUERRA FERMA TUTTO, ECCETTO L'UTERO IN AFFITTO CHE AUMENTA di Fabio Piemonte
La guerra in Ucraina non ferma il business dell'utero in affitto nel Paese. Per il conflitto, ovviamente, si è fermato praticamente (o quasi) tutto: economia, vita sociale, lavoro, vita quotidiana. È, purtroppo, normale che sia così, come tutte le guerre. Quello che però è assurdo è ciò che non si è fermato: la maternità surrogata.
Tale giro d'affari - nella seconda destinazione al mondo dopo gli Stati Uniti per le coppie che desiderino ricorrere a tale barbara pratica legalmente riconosciuta - non solo continua ma è persino aumentato, nonostante la guerra in corso. Sono infatti diverse le agenzie e cliniche che hanno raddoppiato il numero di pratiche prese in carico e quindi i loro introiti.
Di qui più di 1.000 bambini sono nati da maternità surrogata dall'inizio della guerra alla fine del 2023, di cui 600 solo nella clinica di BioTexCom a Kiev. Le accuse di traffico di minori, riciclaggio di denaro ed evasione fiscale contro il suo direttore, Albert Tochilovsky, risalenti agli anni 2018 e 2019, sono state inspiegabilmente archiviate.
Desta scandalo anche il fatto che in Ucraina sia previsto per le madri gestanti un compenso che si aggira intorno ai 20.000 dollari netti (il costo complessivo da sostenere per i genitori committenti è invece compreso tra i 30.000 e i 50.000 dollari), in un contesto sociale in cui la retribuzione media annuale è di circa 5.000 dollari.
Nonostante sussista tale appetibile e lauto incentivo allo sfruttamento delle donne - che chiaramente si prestano solo per ragioni economiche - diritti e doveri di "genitori" committenti e madri gestanti non sono definiti in modo chiaro né garantiti. Anche per questo motivo diverse cliniche hanno dichiarato di star incontrando parecchie difficoltà nella ricerca di nuove donne disponibili a entrare a far parte quali gestanti in questo circolo vizioso della maternità surrogata.
Inoltre, a seguito dell'invasione russa, la condizione di tali "madri surrogate" si è ulteriormente aggravata. «Alcune cliniche hanno chiuso, per cui molte gestanti sono state trasferite in altre cliniche; una clinica ha consigliato alle stesse di abortire», ha rilevato al quotidiano Domani Susan Kersch-Kibler, fondatrice e direttrice del Delivering Dreams International Surragacy Agency.
Alla luce di queste affermazioni risulta evidente come a chi sovrintenda alla gestione della maternità surrogata interessino soltanto i soldi dei genitori committenti. In nome dei loro profitti sono pronti a calpestare senza alcuno scrupolo sia i diritti delle gestanti (nel caso di specie, delle donne ucraine), sia il diritto alla vita del bambino in grembo in maniera ancor più tragica, il quale può essere abortito senza problemi se non dovesse soddisfare i desideri degli acquirenti.
C'è infine da sottolineare un altro elemento significativo, ossia mentre da un lato l'Ucraina preme per entrare nell'Ue, dall'altro continua di fatto a contravvenire sistematicamente alla direttiva sul reato di sfruttamento della maternità surrogata che recentemente i Paesi membri hanno approvato.
Insomma [...] c'è chi si sforza di trovare argomenti per ammantare di "eticità" una pratica assolutamente immorale, in quanto disumanizzante (quasi sia sufficiente una regolamentazione più stringente sul piano legale per renderla conseguentemente accettabile sul piano morale). [...]
Tutto questo, ovviamente, tocca anche l'Italia. Ancora di più, infatti - proprio a seguito di queste oscene derive - sembra urgente, da parte del Senato, l'approvazione del disegno di legge (che è stato già approvato alla Camera) per rendere proprio l'utero in affitto reato universale, ovvero perseguibile anche se commesso all'estero da cittadini italiani. Ma non solo. La questione maternità surrogata-Ucraina riguarda anche le prossime elezioni europee di giugno. Soltanto una forte maggioranza contraria a questa pratica disumana potrà davvero impedire ulteriori derive e mettere un definitivo freno.
La donna libera e indipendente un mito che fu creato a tavolino
7 MAG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7786
LA DONNA LIBERA E INDIPENDENTE: UN MITO CHE FU CREATO A TAVOLINO di Marcello FoaCom'è strana e paradossale la società. Siamo persuasi di essere padroni delle nostre azioni, dei nostri gusti, dei modi di comportarci. Di essere liberi e indipendenti! La realtà però è più complessa e per molti versi inquietante. Come ha osservato brillantemente e con straordinaria preveggenza un grandissimo sociologo francese, Jaques Ellul, la tendenza all'individualizzazione crea una dissonanza cognitiva permanente. Mi spiego. La civiltà dei consumi e della grande urbanizzazione induce i cittadini a recidere i propri legami culturali, religiosi, familiari, da qualche tempo perfino l'identità sessuale, e a perdere il senso della comunità. Viviamo nel mito del superuomo e della superdonna, che spinge a sublimare esclusivamente il proprio io e induce a credere di compiere scelte consapevoli e molto intelligenti. «Io so quel che voglio e lo ottengo».
È il trionfo dell'ego, che genera un'illusione. L'individuo ritiene di essere forte, in realtà è molto debole, perché isolato, quindi fragile, quindi facilmente influenzabile nelle sue scelte e nei suoi valori; alla fine i suoi costumi, i suoi valori (o presunti tali), i suoi smarrimenti esistenziali sono la risultanza della dissonanza fra quel che si crede di essere e quel che si è in realtà. Jacques Ellul era un pensatore cristiano, scomparve nel 1944, e non ha vissuto l'era digitale, ma viveva già in un Occidente dove attraverso la pubblicità, lo spettacolo, il cinema, la televisione, più in genere attraverso lo show biz si orientano i comportamenti delle masse attraverso tecniche che sono sconosciute ai più, ma che furono inventate dal nipote di Freud, Edward Bernays, poco meno di cento anni fa. Nel 1928, nel suo celebre saggio l'ingegneria del consenso, scriveva: «se capisci meccanismi e le logiche che regolano il comportamento di un gruppo, puoi controllare e irreggimentare le masse a tuo piacimento e a loro insaputa». Bernays, i cui studi peraltro ispirarono il capo della propaganda nazista Joseph Goebbels, operò soprattutto nel campo delle public relations industriali, con risultati indubbiamente spettacolari. Il suo primo "colpo" è passato alla storia.
FILM E SETTIMANALI
Qual è uno dei simboli più forti dell'emancipazione femminile? La donna che fuma. Non certo nell' Occidente di oggi dove, semmai, il tabacco viene giustamente osteggiato, ma fino a pochi anni fa indubbiamente sì. Chi ha i capelli grigi ricorda molto bene le copertine dei settimanali con le attrici famose che fumano una sigaretta sfoggiando uno sguardo intrigante, adornate da titoli di questo tenore: «Sì, io sono una donna libera». I cinefili possono evocare i tantissimi film in cui la protagonista fuma per vincere le proprie insicurezze (Bridget Jones), o per reggere lo stress di una battaglia morale (Erin Brockovich), o per liberarsi da un marito oppressivo e violento (Thelma & Louise). Fino a pochi anni fa anche le pellicole o le fiction dedicate agli adolescenti contenevano continui ammiccamenti per rendere mitologica e premiante la sigaretta. Per gran parte del secolo scorso fumare ha rappresentato un gesto di sfida e di affermazione della propria indipendenza in una società tradizionale, benpensante e restia a riconoscere la parità dei diritti. E io a lungo sono rimasto convinto che si trattasse di un fenomeno sociale spontaneo, solo in un secondo tempo recepito e rilanciato dal cinema, ma quando vent'anni fa ho iniziato i miei studi sulle tecniche di condizionamento mediatico sono stato costretto a ricredermi. Oggi quasi nessuno sa che il fumo come simbolo di ribellione femminile non fu affatto spontaneo, bensì fu inventato da Bernays. Naturalmente su commissione. Era il 1929 e per contrastare i frequenti attacchi all'industria del tabacco Bernays organizzò a New York, durante una partita pubblica, la “Fiaccolata della Brigata della Libertà", durante la quale fece sfilare decine di ragazze in modalità anticonformista. E che ragazze: modelle alte che indossavano i pantaloni (mentre all'epoca le donne portavano solo gonne), una camicia bianca, grandi bretelle nere e portavano sul capo un basco reclinato. Quelle ragazze fumavano ostentatamente.
L'IDEA HA FATTO SCUOLA
Quella provocazione per le vie della Grande Mela suscitò enorme clamore nell'opinione pubblica. Era un'America tendenzialmente puritana e a fare opinione erano i giornali, che naturalmente si scatenarono, innestando polemiche anche feroci. Lo scandalo fu clamoroso e accolto euforicamente da Bernays, che centrò il suo obiettivo. Il simbolismo era perfetto, per quanto subliminale. La liberà evocava un valore essenziale per la cultura americana, la brigata è una forma di ribellione che ha un'accezione positiva, la torcia evoca la sigaretta ed emette fumo. Le polemiche in realtà ebbero l'effetto opposto rispetto a quello auspicato dagli indignati editorialisti statunitensi, poiché indussero centinaia di migliaia di donne a emulare le suffragette newyorchesi e dunque a sublimare un messaggio capace di cambiare i costumi di intere generazioni: chi vuole essere anticonformista e indipendente non può non fumare. Grazie al nipote di Freud il produttore di sigarette che aveva commissionato quella campagna triplicò in breve tempo le vendite. E da allora il simbolo non ha smesso di diffondersi in tutto il mondo. Anche negli anni Duemila la sigaretta continua a essere nei Paesi in via di sviluppo l'emblema dell' emancipazione femminile. Il punto è che quell'iniziativa di Bernays non è rimasta isolata, ma ha fatto scuola.
La nostra società, è bombardata continuamente da mode, messaggi, iniziative che mirano non solo a un ritorno commerciale ma a favorire un cambiamento permanente nei costumi, che diventa estremamente proficuo per ragioni facilmente intuibili. Lo scopo può essere economico: se i ragazzi iniziano a portare un certo tipo di maglietta, l'industria ne beneficerà. Ma può essere anche politico e valoriale. La società globalizzata prosegue lo sradicamento delle tradizioni, delle identità, dei valori per rendere sempre più uniformi gli stili di vita delle popolazioni nei diversi continenti. E non potendo indurre il cambiamento con la forza, come avviene nelle dittature, lo promuove attraverso le tecniche di persuasione psicologiche, e sociologiche, che da tempi di Bernays sono stati ulteriormente affinati e che hanno trovato nel mondo digitale un mezzo straordinariamente efficace. Oggi le sigarette non vengono più spinte dall'industria dell'intrattenimento ma i sociologi più smaliziati possono cogliere molti ambiti in cui il messaggio è palesemente distonico. Il più sconcertante è quello delle droghe. I governi e le forze dell'ordine sono impegnati in una battaglia contro il traffico e la diffusione degli stupefacenti ma nei film e nelle fiction si tira continuamente di cocaina, mentre nelle interviste attori di grido non perdono occasione di ricordarci quante droghe hanno consumato. Messaggio subliminale: la droga fa figo o perlomeno così fanno quelli "giusti". E tanti, troppi giovani si lasciano tentare. Come ai tempi delle sigarette, anche oggi il vero condizionamento è invisibile. E per questo davvero pericoloso.
I cellulari favoriscono il ricorso al sexting
20 FEB 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7700
I CELLULARI FAVORISCONO IL RICORSO AL SEXTING di Alessia Battini
Sono sempre di più e sempre più sconvolgenti le minacce e le insidie del web, soprattutto per i ragazzi più giovani, che ormai lo vivono come qualcosa di completamente normale, senza riuscire a comprenderne i rischi e i pericoli. Un pericolo tanto più da denunciare in occasione del Safer Internet Day (SID), la giornata mondiale per la sicurezza in Rete, che si è celebrata ieri - 6 febbraio 2024 - in contemporanea in oltre 100 nazioni in tutto il mondo. Di recente sono aumentati i casi, riportati dai media, di ricatti e minacce compiuti per lo più nei confronti di ragazzine da parte dei loro coetanei, che hanno per oggetto la diffusione di foto senza vestiti, sia reali sia create tramite l'intelligenza artificiale.
I cellulari favoriscono il ricorso al sexting, ovvero lo scambio di immagini intime, in alcuni casi anche tra minorenni, e a causa di questo stanno aumentando anche i casi di ricatti agli stessi adolescenti che le inviano in momenti di debolezza. In Canada la polizia ha dichiarato che le immagini vengono inviate anche da ragazzini di soli undici anni, il che significa che si tratta a tutti gli effetti di pornografia minorile.
Si cominciano già a contare le vittime di questa terribile pratica. Proprio pochi anni fa, nel marzo del 2021, Mia, una ragazzina inglese di soli quattordici anni, si è suicidata nella sua abitazione situata nella zona nord-est di Londra. All'udienza tenutasi lo scorso gennaio, si è poi scoperto che nella scuola di Mia erano diversi i bambini che subivano bullismo sui social media come Tik Tok e Snapchat, e che alcuni ragazzi avevano creato una chat di gruppo per condividere scatti intimi delle compagne, in alcuni casi incollando i loro volti sui corpi delle pornostar per infastidirle.
Sebbene non ci fossero prove che questa esperienza fosse stata vissuta anche da Mia, sicuramente l'atmosfera iper-sessualizzata e l'ossessione per l'aspetto fisico che pervadevano l'ambiente scolastico che lei stessa frequentava l'avrebbe immersa in un profondo disprezzo di sé. Lo dimostra anche una nota, scritta da Mia, letta in aula durante l'udienza: "Mi guardo. Sono così brutta. Non mi merito di vivere."
Pare che situazioni di questo tipo siano più comuni di quanto pensiamo, infatti, secondo la giornalista di Vanity Fair Jo Sales, autrice del libro American Girls: Social Media and the Secret Lives of Teenagers, gruppi di questo tipo, dove si condividono scatti intimi, reali o creati tramite l'intelligenza artificiale, esistono in quasi tutte le scuole americane. Ovviamente questo causa un tormento non indifferente nelle vittime, che vivono questa vergogna nello stesso momento in cui sono costrette ad affrontare tutte le altre difficoltà tipiche della pubertà e dell'adolescenza.
Il mondo in cui stanno crescendo questi ragazzi però, è stato creato dagli adulti, che quindi hanno la responsabilità di affrontarlo. I genitori di oggi non riescono a comprendere che i loro figli abitano in un mondo completamente digitalizzato, e quindi le difficoltà che incontrano sono molto diverse da quelle che ricordano della loro stessa infanzia. È necessario intervenire, impedendo ai bambini e agli adolescenti di utilizzare i cellulari ed educandoli all'utilizzo della tecnologia e ai pericoli della pornografia. Il sexting, che oggi viene vissuto come qualcosa di assolutamente normale, dovrebbe essere combattuto, così come le applicazioni che lo agevolano che andrebbero eliminate quando possibile. [...]
Il male non è frutto della troppa libertà
20 FEB 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7701
IL MALE NON E' FRUTTO DELLA TROPPA LIBERTA' di Roberto Marchesini
C'è una tendenza chiara in questi ultimi anni: regole, divieti, sorveglianza scrupolosa anche grazie a volonterosi delatori. Togliamo la patente, vietiamo il barbecue, l'uso dell'automobile, censura contro le fake-news e i "discorsi di odio", denunciamo pubblicamente gli eserciti che non emettono lo scontrino, ci vogliono più leggi, regole più severe e applicazione più stringente.
Eppure, più leggi ci sono, più la società sembra andare a rotoli: violenze, stupri, aggressioni, rapine, città sporche e sempre meno sicure. La soluzione proposta è come omeopatica: più leggi, più severità, più divieti! Questo atteggiamento mette d'accordo tutti: destra e sinistra.
A tutti sarà capitato di sentire, a conclusione di un discorso sul degrado della società moderna, la frase :"C'è troppa libertà!". Sarà vero? Dubito fortemente e credo che questa tendenza indichi una progressiva "protestantizzazione" della nostra società tradizionalmente cattolica. Protestantizzazione che preluda alla sua dissoluzione, ovviamente. Mi spiego.
Il punto di divaricazione tra cattolicesimo e protestantesimo è teologo, ma anche antropologico. Il ritiene che, dopo il peccato originale, l'uomo sia irrimediabilmente corrotto; che non possa fare il bene, ma solo il male. L'unico modo per fargli fare i bene è costringerlo con una serie di regole a fare il bene; limitare quindi sua libertà (di fare il male).
Il cattolicesimo, invece, insegna che, l'uomo, dopo il peccato originale, è semplicemente inclinato al male. Cosa significa? Significa che "io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio" (Rm 7,19). Compio il male, ma non voglio: io voglio il bene. Il problema è che (a causa del peccato originale) è più facile fare il male che il bene; non è però impossibile fare il bene e, soprattutto, io voglio il bene, tendo al bene, sono orientato al bene.
Cosa mi impedisce di fare il bene che voglio? Il peccato. Il peccato non è dunque, come ritengono i protestanti, il frutto della libertà; ma al contrario, di una libertà limitata dal peccato. Infatti "chi fa il peccato è schiavo", non libero. Se fossimo liberi dal peccato non faremmo tanto male, ma tanto bene; più libertà, meno male.
Quindi "c'è troppa libertà" lasciamolo ai protestanti; semmai, ce n'è troppo poca, di vera libertà.
Un'altra riflessione: senza libertà le nostre azioni non hanno un valore morale, sia nel male che nel bene.
Partiamo dal male. Perché sia un peccato grave, occorrono tre condizioni:
1) materia grave (violazione dei dieci comandamenti);
2) piena avvertenza (cioè devo sapere che sto per fare un azione moralmente malvagia);
3) deliberato consenso (cioè devo dare la mia libera adesione al male).
La gravità di un peccato mortale dipende dal grado di libertà: più sono libero, più sono responsabile, e, quindi, colpevole. Meno sono libero (a causa di vizi, compulsioni o altri problemi psicologici) e meno sono responsabile e, quindi, colpevole. Un po' come la differenza tra un omicidio colposo (non voluto) e doloroso (cioè liberamente voluto): la pena è molto diversa.
Questa cosa vale anche per il bene. Se io esco di casa e incontro una persona bisognosa, gli do qualche euro perché possa sostenersi; faccio, cioè, un'opera di misericordia corporale e ne guadagno un merito che spero di poter far valere nel giorno del giudizio particolare. Mettiamo invece il caso che quel bisognoso mi punti un coltello alla gola; io farei lo stesso gesto: aprirei il portafogli e gli darei qualche euro. Ma in quel caso non sarebbe un gesto di carità, perché io non sarei libero. Non avrei avuto la libertà di scegliere se compiere o meno quel gesto. Venendo meno la libertà, non avrei guadagnato alcun merito. La libertà, dunque, è necessaria per la vita morale. Infine: se Gesù stesso si è presentato come liberatore ("se il Figlio vi farà liberi, siete liberi davvero",Gv 8,36), può essere la libertà un male? Può il Figlio, il Logos incarnato, volere il nostro male?
Impariamo, quindi, ad apprezzare la libertà che, in fondo, è il fine della nostra vita; e cerchiamo di fare attenzione, che la superficialità dei discorsi non ci faccia perdere di vista i fondamenti della nostra esistenza. "libertà va cercando, chè si cara, come sa chi per lei la vita rifiuta", ha scritto Dante, non solo poeta ma profondo teologo: cerchiamo di ricordarcene.
Lo sport fa bene... basta che non sia fitness
2 GEN 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7653
LO SPORT FA BENE... BASTA CHE NON SIA FITNESS di Roberto Marchesini
Ai miei pazienti maschi consiglio spesso di trovare del tempo, in settimana, per dedicarsi a uno sport; non importa quale, basta che non sia fitness. Perché? Qual è la differenza tra queste due attività, in apparenza così simili? Partiamo dall'etimologia. Sport è la parola inglese per l'italiano "diporto", cioè divertimento. E il divertimento, ci ricorda san Tommaso, è necessario all'anima come il riposo è necessario al corpo (summa theolologiae, II-II, q.168,a.2). Anche fitness è una parola inglese e ha, almeno per me, uno strano sapore. In italiano si può tradurre con "idoneità", che significa l'essere in possesso dei requisiti richiesti per una certa attività. Quale attività? L'attività fisica stessa? Ovviamente no. Sono i requisiti necessari per sopravvivere e riprodursi. In questo senso, infatti, Darwin usava questa parola: la lotta per la sopravvivenza porta alla sopravvivenza del più idoneo; a far che? A sopravvivere e riprodursi, appunto. In sostanza, chi pratica il fitness (cioè che è magro, muscoloso, allenato...) avrebbe i requisiti per lasciare un'impronta ecologica su questa terra e perpetuare il proprio patrimonio genetico. E gli altri? Eh...
ORIGINI NELL'ANTICA GRECIA
Quando e dove nasce lo sport? Beh, è facile. Nasce nella culla della nostra civiltà, in Grecia, con lo scopo di preservare e migliorare l'attitudine al combattimento degli uomini. Corsa, lancio del peso o del giavellotto... tutte queste cose che si mettevano in pratica, fuori dallo stadio, in guerra. Lo sport nasce quindi come preparazione a morire nel modo allora considerato più nobile: in guerra. La stessa cosa vale per gli sport medievali, che erano una riproposizione incruenta (e va bene meno cruenta) della guerra: il calcio fiorentino, il palio di Siena, la giostra del saracino, la quintana...
E gli sport moderni? Il rugby nacque nelle isole britanniche nel 1823; il calcio nello stesso luogo qualche anno più tardi, nel 1848; il polo idem, a cavallo tra Ottocento e Novecento, e via dicendo. Insomma gli sport inglesi nacquero nel periodo della cosiddetta pax britannica, quando cioè l'impero era stabilizzato e il problema era non far perdere ai giovani lo spirito guerresco che portato l'Inghilterra a dominare il mondo. Ecco, dunque, la nascita dello sport, un combattimento simulato che permette di tenere in allenamento il corpo e, soprattutto, le virtù guerresche.
Stessa cosa negli Usa: baseball 1846, football 1861, basket1891, pallavolo 1895.
Anche questi sport nacquero in un Paese guerriero in un periodo di pace.
IL FITNESS È UN'AMERICANATA
E il fitness? Quando nasce il fitness?
Gli storici della disciplina fanno risalire anche il fitness ai Greci, come per lo sport, ma credo non sia corretto: lo sport non aveva come scopo la "forma fisica", ma era funzionale ad altro (come abbiamo visto). Diciamo che il proto-fitness nasce durante l'epoca dei nazionalisti, quando la salute e l'aspetto estetico della popolazione era l'indice di superiorità raziale rispetto agli altri popoli.
Tuttavia, il fitness vero e proprio, che conosciamo noi, nasce negli Stati Uniti negli anni Settanta. Perché nasce, con quale scopo? Negli anni Settanta, in quella nazione, i medici cominciarono a riscontrare una serie di gravi problemi di salute legati al sovrappeso e all'obesità, in poche parole alla pessima alimentazione. Cosi, nel febbraio 1977, il governo pubblicò un documento intitolato Dietary goals for the United State (obbiettivi dietistici per gli Stati Uniti), nel quale i medici raccomandavano di mangiare meno e di ridurre le calorie individuando come responsabile del problema le soft drinks, le bevande zuccherate e gasate che gli americani consumavano in quantità spropositate.
Il documento suscitò aspre proteste da parte dell'industria alimentare nazionale e venne pubblicato nel dicembre dello stesso anno; tuttavia, la raccomandazione di rinunciare alle bevande zuccherate e gasate restò.
Quale fu la reazione delle industrie produttrici di fronte a queste accuse? Misero in etichetta immagini disgustose sulle conseguenze del consumo eccessivo di tali prodotti? Adottarono un codice di regolamentazione? Cambiarono ricetta? Nemmeno per idea. Idearono una strategia geniale: l'obesità non è causata dalle nostre bevande. Essa è data da un rapporto errato tra le calorie introdotte e quelle consumate. Gli americani non consumano troppe bevande gasate: sono pigri e si muovono poco. Vogliono dimagrire? Si muovano, consumino calorie, diventino fit, idonei.
IL CASO DEL DOTTOR COOPER
Ecco, quindi, nascere una nuova industria - quella del fitness - per riparare ai danni causati da un'altra industria - quella delle bevande gassate. Sarà un caso, ma è curioso che l'inventore dell'aerobica (cioè la forma più pura di fitness, movimento senza alcuno scopo se non bruciare calorie) sia il dottor Kenneth Cooper, collaboratore di pepsiCo. E come negare che la concorrente principale della pepsi sia lo sponsor principale delle olimpiadi moderne? In questo modo le bevande zuccherate, da principale pericolo contro la salute e la forma fisica, hanno associato indelebilmente la loro immagine a corpi scolpiti a ragazzi giovani, sorridenti e attivi. Voilà.
Le conferme non mancano. Nel 2012 la Soda industry (il cartello delle aziende delle bevande gassate) ha pubblicato un documento sul New England journal of medicine, in risposta alla marea di ricerche che associavano questo prodotto a obesità e a problemi di salute, nel quale viene ripetuto il loro slogan preferito: l'obesità è un problema molto grave di salute pubblica; non c'è nessuna causa diretta tra il consumo di bevande zuccherate e l'obesità; è colpa degli americani perché non fanno attività fisica. Questa posizione è stata confermata da un'altra ricerca condotta nel 2018 in Spagna: i ricercatori hanno scoperto che la Coca Cola, nel paese iberico, tra il 2010 e il 2016 ha speso più di sei milioni di euro per finanziare direttamente o indirettamente (tramite fondazioni) medici e, in particolare, cardiologi. Lo scopo, ormai, lo abbiamo capito.
DIFFERENZE TRA SPORT E FITNESS
Un'ultima considerazione, di natura morale, sulle differenze tra sport e fitness.
Lo sport, lo abbiamo visto opera per migliorare la persona: accanto all'allenamento fisico propone una sfida, il rispetto delle regole e dell'avversario, la lealtà. Quello, cioè, che è stato chiamato "spirito sportivo" o fair play. Oltre al corpo, allena lo spirito, stimolando lo sviluppo delle virtù cavalleresche: onore, lealtà cameratismo e coraggio in primis.
Il fitness, ha, invece, solo l'obbiettivo di produrre un corpo allenato ed esteticamente gradevole. Non ha alcun effetto sull'anima? Non è il suo obbiettivo, ma probabilmente qualche ricaduta morale ce l'ha. Ad esempio, identifica l'idoneità con l'estetica, tralasciando l'anima (la parte più importante dell'uomo); sviluppa il narcisismo, considerando che le palestre di fitness sono tappezzate di specchi.
Infine: chi pratica fitness vuole un corpo muscoloso, tonico e magari abbronzato... senza meritarselo. Cosa significa?
Guardiamo le fotografie del mare e confrontiamo le nostre con quelle dei nostri genitori e dei nostri nonni. Nelle nostre vediamo o persone obese o in sovrappeso; oppure (ben poche) fit, palestrate.
Nelle foto dei nostri nonni, invece, erano poche le persone in sovrappeso: la maggior parte erano in splendida forma, toniche, se non muscolose, abbronzate. Si allenavano in modo diverso? Non si allenavano: vivevano (e si nutrivano) in modo diverso. Senza schermi elettronici, con una vita sociale vivace, all'aria aperta, pieni di energia e di voglia di fare, avevano un corpo molto gradevole che era il risultato del loro stile di vita sano, gioioso, vivace. Non facevano attività fisica? Certo: giocavano a calcio, sciavano, camminavano in montagna; ma con lo scopo di divertirsi, di stare in compagnia con amici e familiari, non di bruciare calorie in eccesso e di dare una immagine fit di se stessi. Quello che vuole la maggior parte delle persone oggi è avere quel corpo senza una vita sana e attiva. Fare una cosa non per il suo fine naturale, ma per il vantaggio che essa porta: non è questa la radice del peccato? Mi spiego: come insegna san Tommaso, "la natura ha legato il piacere alle funzione necessarie per la vita dell'uomo"(II-II, q.142, a.1).
Pensiamo al cibo, il cui fine è il sostenimento; o al sesso, il cui fine è il bene del coniuge (significato unitivo) o della prole (significato procreativo). Quando l'uso del cibo e del sesso diventano peccato? Quando li cerchiamo non per il loro fine, ma per il piacere che danno in sovrappiù.
Non è così per il fitness?
Bambini morti in palestina, aborti e cuori prelevati per il trapianto da persone vive
28 NOV 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7606
BAMBINI MORTI IN PALESTINA, ABORTI E CUORI PRELEVATI PER IL TRAPIANTO DA PERSONE VIVE di Roberto De Mattei
Il mondo si commuove per i bambini che muoiono sotto le bombe in Palestina ma non versa lacrime per la piccola Indi, condannata a morte in Gran Bretagna dalle autorità dello Stato contro la volontà dei genitori. Ma perché questo può accadere? Perché la vita è considerata solo sotto l'aspetto materiale ed utilitaristico. Ci si dimentica che ogni uomo, anche un cerebroleso, vive perché ha un'anima e in quanto ha un'anima, ha una insopprimibile dignità, che comporta il diritto alla vita.
Una delle ragioni per cui oggi un essere umano innocente può essere condannato a morte, va ricercata nel concetto di morte cerebrale, nato nel 1968, quando un'Università americana, quella di Harvard, propose una vera e propria rivoluzione antropologica.
Fino a quella data al medico spettava accertare che la morte fosse avvenuta, individuarne le cause, ma non definirne l'esatto momento. L'accertamento avveniva attraverso il riscontro della definitiva cessazione delle funzioni vitali: la respirazione, la circolazione, l'attività del sistema nervoso.
Nell'agosto del 1968 la Harvard Medical School, propose un nuovo criterio di accertamento della morte fondato su di un riscontro strettamente neurologico: la definitiva cessazione delle funzioni del cervello, definita "coma irreversibile".
C'è uno stretto rapporto tra la definizione della morte cerebrale proposta dalla Harvard Medical School, nell'estate del 1968, e il primo trapianto di cuore di Chris Barnard del dicembre 1967.
COSA PREVEDEVANO I TRAPIANTI DI CUORE
I trapianti di cuore prevedevano che il cuore dell'espiantato battesse ancora, ovvero che, secondo i canoni della medicina tradizionale, egli fosse ancora vivo. L'espianto, in questo caso, equivaleva alla soppressione di una vita umana, sia pure compiuto "a fin di bene". La scienza poneva la morale di fronte a un drammatico quesito: è lecito sopprimere un malato, sia pure condannato a morte, o irreversibilmente leso, per salvare un'altra vita umana di "qualità" superiore?
Di fronte a questo bivio, che avrebbe dovuto imporre un serrato confronto tra opposte teorie morali, quella tradizionale e quella neo-utilitaristica, l'Università di Harvard si assunse la responsabilità di una "ridefinizione" del concetto di morte che permettesse di aprire la strada ai trapianti, aggirando il problema etico.
Per superare il problema, per proseguire sulla via dei trapianti, una strada che avrebbe salvato la vita a molti uomini, ma che si presentava anche come estremamente lucrosa per l'industria medica e farmaceutica, c'erano due possibilità: o si modificava la legge morale, rendendo lecita l'uccisione dell'innocente, o si modificava il criterio di accertamento della morte, definendo morto chi, fino a quel momento, era considerato dalla scienza vivo.
La prima strada era quella di modificare la morale tradizionale, secondo cui non si può uccidere l'innocente, in nome di una nuova etica utilitaristica. La seconda strada, è quella della ridefinizione del concetto di vita, affermando che l'essere che si sopprime non è un essere umano . E' quanto accadde con la definizione di Harvard del 1968.
DIFFUSIONE A MACCHIA D'OLIO
La ridefinizione della morte di Harvard venne accettata in quasi tutti gli Stati americani e, in seguito, anche nella maggior parte dei Paesi cosiddetti sviluppati. In Italia, la "svolta" fu segnata dalla legge 29 dicembre 1993 n. 578 che all'art. 1 recita: «La morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni del cervello».
Si trattava di una Rivoluzione antropologica perché l'identificazione della morte con la cessazione di tutte le funzioni del cervello equivale a negare l'esistenza di un'anima spirituale, come principio vitale del corpo e identificare la vita con l'attività fisiologica del cervello. L'uomo viene ridotto ad organismo corporeo e il principio vitale di quest'organismo è situato nell'attività cerebrale. Si tratta di quella concezione filosofica che riduce il pensiero, la coscienza ed ogni attività spirituale a "prodotti del cervello umano".
Oggi quindi per giustificare la soppressione di un cerebroleso o si fa ricorso ad un'etica utilitaristica, per cui, si può sopprimere l'essere umano, se ciò conviene alla società: oppure si nega la coesistenza tra individuo biologico e individuo umano, affermando che poiché l'uomo è un animale razionale, ossia un essere animato di natura razionale, quando manca la razionalità, come è il caso degli embrioni, dei feti non ancora autocoscienti, ma anche dei bambini anancefalici o dei morti cerebrali, la soppressione del vivente è lecita, perché si tratta appunto di un vivente privo di razionalità.
In realtà, sia la scienza che la filosofia dimostrano che l'irreversibilità della perdita delle funzioni cerebrali, accertata dall'"encefalogramma piatto", non dimostra la morte dell'individuo. Chi vuole approfondire questa importante questione può ricorrere aI volume "Finis Vitae. La morte cerebrale è ancora vita?", pubblicato in coedizione dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e da Rubbettino (Soveria Mannelli 2008), con il contributo di diciotto studiosi internazionali.
La vita e la morte non si costruiscono a tavolino, e neppure in laboratorio. La vita inizia quando Dio infonde l'anima nel corpo, e finisce quando il corpo si separa dall'anima. Il principio vitale del corpo non è il cervello, destinato a corrompersi con il corpo, ma l'anima, che è una realtà incorporea, immateriale, spirituale, e in quanto tale incorruttibile ed eterna. L'uomo ha un'anima. Quest'anima è destinata all'eternità. Ricordiamolo sempre.
Chi farebbe giocare i bambini con la dinamite?
28 NOV 2023 · VIDEO: The Social Dilemma ➜ https://www.youtube.com/watch?v=Ko2YcD0iYpc
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7612
CHI FAREBBE GIOCARE I BAMBINI CON LA DINAMITE? di Francesca Romana Poleggi
Chi metterebbe in mano ad un bambino del materiale esplosivo? Noi, in realtà, facciamo di peggio ogni volta che mettiamo in mano ad un bambino uno smartphone o un tablet.
I Lettori che pensano che questa affermazione sia l'esagerazione di una vecchia bacchettona all'antica, abbiano la compiacenza di leggere fino in fondo questo articolo.
Tanto per cominciare, la Federazione Italiana Medici Pediatri ha pubblicato una guida per "Bambini e adolescenti in un mondo digitale", dove si spiega il rischio di comprometterne la crescita e creare loro problemi durante lo sviluppo, anche se sembra che i piccoli sappiano padroneggiare abilmente dispositivi che noi adulti abbiamo fatto fatica ad imparare ad usare. Spiegano i pediatri che prima dei tre anni i bambini devono imparare a costruire i loro riferimenti spazio-temporali, e lo schermo che è solo a due dimensioni potrebbe rallentare la loro crescita. Dai 3 ai 6 anni, poi, per i bambini è essenziale il rapporto con il mondo fisico, reale: con le cose che si toccano e che si rompono, con le persone con cui si creano relazioni e contatti "fisici": anche le baruffe tra bambini servono per crescere (certamente con la mediazione di educatori che insegnino a non essere maneschi) e si imparano le regole sociali stando con gli altri bambini e giocando. Secondo i medici, quindi, prima dei 9 anni niente "touch-screen".
Poi, dice la guida, i ragazzini iniziano ad affacciarsi sul mondo e possono farlo anche attraverso il web. Ma sotto controllo degli adulti e senza social network.
Ma non è finita qui. Ancor più severi dlla FIMP, molti esperti di igiene digitale sono dell'avviso che uno smartphone collegato a internet con la libertà di aprire degli account sui vari social media sia assolutamente sconsigliato prima del 18 anni. Del resto, si vietano le automobili (e per quelle di grossa cilindrata non bastano 18 anni) perché sono oggetti estremamente pericolosi per la vita propria e altrui: internet e i social sono la stessa cosa.
È un'esagerazione anche questa?
THE SOCIAL DILEMMA
Prima di pensarlo, tutti guardino (e facciano vedere ai ragazzi) il docufilm "The Social Dilemma" in cui ingegneri ed esperti ex dipendenti del "GAFAM" (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) e delle altre grandi imprese "Big Tech" raccontano di aver lasciato i loro lucrosissimi impieghi per motivi etici. Si sono resi conto di aver contribuito a creare un mostro.
Il sistema di cervelli elettronici e di algoritmi che si trovano dall'altra parte dello schermo registra tutte le nostre azioni, registra il tempo in cui ci soffermiamo su un determinato filmato o su un determinato post. Attraverso la "sentiment analysis", cioè lo studio delle parole che digitiamo, registra i nostri stati d'animo: in poco tempo la macchina ci conosce meglio di quanto conosciamo noi stessi. Trova il modo di tenerci attaccati allo schermo più tempo possibile - rubandoci la vita, perché il nostro tempo è la nostra vita - in modo da "venderci" alle imprese che si fanno pubblicità sui loro canali: il nostro cervello e il nostro tempo si traducono in profitti a nove zeri per Big Tech.
E non basta ancora. Non solo rubano il nostro tempo (e i nostri dati, età, gusti, preferenze ecc.), ma sono in grado di modificare la nostra personalità e le nostre scelte secondo quello che è l'interesse dei loro clienti. Per raggiungere il massimo profitto, non usano alcuno scrupolo e non hanno alcuna remora. Frances Haugen (ex dipendente di Facebook) ha portato davanti al Parlamento americano, francese ed europeo le prove scritte: quando hanno fatto presente a Zuckemberg che da quando è di moda Istagram il numero di adolescenti femmine che compiono atti di autolesionismo fino al suicidio si è impennato vertiginosamente, il proprietario di Facebook-Meta, che è anche proprietario di Istagram, ha risposto che cambiare il sistema e gli algoritmi avrebbe comportato un decremento dei profitti, e perciò non hanno fatto alcuna modifica - che pure sarebbe stata possibile.
L'ESEMPIO DI INSTAGRAM
È ovvio che questo potere di persuasione e manipolazione è tanto più efficace quanto più l'utente del dispositivo è fragile, quindi giovane. L'esempio di Instagram è probante: le ragazzine, più che i maschi, sono molto sensibili all'apprezzamento sulle foto che esse pubblicano. Diventano dipendenti dai "like" come dalla droga (infatti i "like" sono stati studiati per scatenare a livello cerebrale un rilascio di dopamina). Quando i "like" non arrivano, o peggio quando si perdono i "follower", in un'adolescente è facile scatenare la depressione, con tutte le conseguenze.
Ecco perché leggiamo di bambini e di giovani adulti che arrivano al suicidio, per colpa dei social.
Guardate "The Social Dilemma". Cercate su internet la testimonianza della Haugen, se non credete a quanto state leggendo.
Un'ultima considerazione sociale: Alison Beard, nell'articolo "È ora di reinquadrare Big Tech?" ("Time to Rein In Big Tech?") apparso su Harvard Business Review (numero di novembre-dicembre 2021), scrive che i GAFAM «nel 2020 hanno guadagnato collettivamente quasi 200 miliardi di dollari su ricavi di oltre 1 trilione di dollari». Ma al successo di tali aziende e ai ricchi stipendi dei loro dipendenti non è corrisposto un maggiore benessere per i cittadini, utenti dai quali esse hanno estratto dati personali e intimi fonte primaria dei loro profitti. «I salari della classe media e bassa ristagnano, le piccole imprese stanno lottando per sopravvivere, le infrastrutture, l'istruzione e l'assistenza sanitaria rimangono sotto-finanziate, la criminalità informatica è in aumento, e la società è sempre più polarizzata a causa della disinformazione e del vetriolo on line» (perché le fake news e i conflitti servono anch'essi a tenere attaccate le persone agli schermi).
PORNOGRAFIA
E infine, come tutti ormai sanno, con un telefonino in mano si viene esposti alla pornografia, al rischio di adescamento da parte di pedofili o di predatori sessuali, al rischio di lavaggio del cervello da parte di sette o di gruppi LGBT che convincono i nostri adolescenti - che naturalmente vivono un periodo di disagio rispetto al corpo che cambia - d'essere nati in un corpo sbagliato e li avviano verso il baratro del cambiamento di sesso. Per non parlare del rischio di truffe, di "challange", cioè di sfide e giochi pericolosi per sé e per gli altri...
E più in generale, c'è il rischio di rimanere invischiati e avviluppati in un mondo virtuale, finto, senza più rapporti con il reale: sono almeno 100.000 in Italia gli hikikomori, cioè giovani tra i 14 e i 30 che si rinchiudono nella propria stanza con il computer per anni, senza alcun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta nemmeno con i propri genitori.
Dobbiamo acquisire consapevolezza noi adulti che non siamo più i padroni dei nostri telefonini, ma ne siamo posseduti.
Per i bambini e i ragazzi che stanno crescendo è sicuramente peggio.
Impariamo a compiere gesti di libertà: per esempio, spegniamo il telefonino per un certo numero di ore al giorno, specie durante i pasti. Cancelliamo i nostri account dai social: non si può vivere "disconnessi"? Va bene. Ma non serve avere diversi profili su diverse piattaforme: ce ne possiamo far bastare una?
Diamo il buon esempio ai nostri ragazzi.
E lottiamo con le unghie e con i denti in modo da rimandare al più tardi possibile il momento in cui mettiamo nelle loro tasche dispositivi molto più pericolosi - perché molto più insidiosi - della dinamite: gli esplosivi tutti sanno che devono essere maneggiati con cura.
L'etica ci aiuta a comprendere la distinzione tra bene e male in modo da fare buon uso della libertà
Informazioni
Autore | BastaBugie |
Organizzazione | BastaBugie |
Categorie | Religione e spiritualità |
Sito | www.bastabugie.it |
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