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L'etica ci aiuta a comprendere la distinzione tra bene e male in modo da fare buon uso della libertà

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20 MAG 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8169
BAMBINI SCHIAVI DELLO SCHERMO, GENITORI COMPLICI di Fabio Piemonte
L'iperdigitalizzazione dei minori è sempre più fuori controllo. Gli ultimi dati che arrivano dagli USA sono infatti tutt'altro che rassicuranti: già all'età di 2 anni la maggior parte dei bambini trascorre circa cinque ore al giorno davanti a uno schermo; stesse ore anch pr i bambini da 5 a 8 anni. E ancora - secondo un sondaggio condotto nell'autunno 2024 dal Pew Research Center su adolescenti tra 13 e 17 anni -, la maggior parte dei ragazzi possiede uno smartphone e utilizza i social; di questi circa il 50% afferma di essere online costantemente.
LE CONSEGUENZE SUGLI ADOLESCENTI
Riguardo alle cinque piattaforme social più diffuse - YouTube, TikTok, Instagram, Snapchat e Facebook - un terzo degli adolescenti ne usa almeno una quasi costantemente. L'85% degli stessi afferma di giocare ai videogiochi e circa 4 su 10 lo fanno ogni giorno. Il gioco in rete isola i più giovani, li scherma dalla realtà e ne compromette pesantemente la costruzione di legami stretti anche con i propri stessi familiari, rendendoli maggiormente vulnerabili rispetto ad ansia e depressione. Questo spiega anche il tragico incremento dei tassi di suicidio anche tra minori di appena 11 anni, come rilevato da The Washington Stand. Tra l'altro il gioco in rete ha un altro effetto particolarmente deleterio su bambini e adolescenti, come rilevato da diversi esperti, nella misura in cui li desensibilizza gradualmente a scene di sangue, violenza e pornografia, per cui talvolta costoro possono giungere anche a mettere tragicamente in pratica ciò che sperimentano online. Di qui «come genitori, dobbiamo fare tutto il possibile per garantire che le menti dei nostri figli non siano contaminate da spazzatura, violenza e sangue. Parte di questo lavoro include fare tutto il possibile per far chiudere l'industria pornografica e quei siti web che mirano a sfruttare i bambini. Infatti, una volta che la mente dei bambini è stata esposta a certe immagini, è impossibile riparare il danno. Dovremmo lavorare tutti insieme per fermare questo male prima che inizi», ha denunciato Mary Szoch, direttrice del Centro per la Dignità Umana del Family Research Council (FRC), evidenziando anzitutto la necessità da parte di mamma e papà di vigilare sui comportamenti online dei loro figli.
IL CASO LIMITE: TERRORISTA A 12 ANNI PER COLPA DEI SOCIAL
Vigilanza e prudenza non sono mai sufficienti, tanto più se ci si illude che gli adolescenti siano al sicuro nel segreto della loro stanza. Recentemente l'Associated Press ha infatti raccontato il caso limite di un ragazzo francese di 12 anni radicalizzato online e diventato un islamista estremista, condannato per due capi d'accusa legati al terrorismo. Sua madre pensava stesse semplicemente giocando ai videogiochi e facendo i compiti, mentre - invece- egli stava imparando a uccidere, guardando video di decapitazioni e torture così orribili da far distogliere lo sguardo persino ai funzionari giudiziari francesi esperti che l'hanno scovato. Tutto è cominciato da ricerche in rete sull'Islam e terrorismo; poi «algoritmi automatizzati, che guidano le esperienze online degli utenti e la curiosità del ragazzo, lo hanno condotto a chat criptate e propaganda ultraviolenta diffusa dai militanti dello Stato Islamico e da altri gruppi estremisti che si stanno insinuando nelle menti dei più giovani tramite app, videogiochi e social media», osserva Tony Parkins, presidente del FRC. E non si tratta purtroppo neanche di un caso tanto sporadico se si considera che solo in Francia nel 2022 i pubblici ministeri avevano incriminato solo due minori con accuse preliminari legate al terrorismo; nel 2023 ne hanno incriminati 15 e nel 2024 ben 19.
Insomma dal momento che «il medium è il messaggio» - come insegna il celebre sociologo canadese Marshall McLuhan - e che i social non sono solo banali strumenti di socializzazione, è fondamentale che genitori, docenti ed educatori non si limitino ad attuare strategie di controllo e di 'uso consapevole', ma al contrario testimonino col proprio buon esempio prima che con le parole l'importanza di ricercare e vivere relazioni autentiche con gli altri e l'esigenza vitale di guardarsi negli occhi, giocare e anche litigare concretamente, ossia 'corpo a corpo' e non a colpi di tasti, cominciando a partire da sé a distogliere lo sguardo dallo smartphone.
15 APR 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8136
RE MENTONE DEI FRATELLI GRIMM FA CAPIRE CHE NON PUOI RIFUGIARTI NEL TUO MONDO, PERCHE' IL MONDO E' UNO SOLO
Il cattolico Tolkien, famoso autore della trilogia de Il Signore degli anelli, scrive nel suo Le fiabe: "Il compositore della fiaba si dimostra un sub-creatore riuscito. Egli costruisce un Mondo Secondario in cui la nostra mente può introdursi. In esso, ciò che egli riferisce è vero: in quanto in accordo con le leggi del mondo". Tolkien ha ragione. La fantasia non è surrealismo. Questo nasce dalla pretesa folle di riscrivere il reale, rifiutandone le sue costitutive leggi. La fantasia, invece, è passione per il vero e per il reale. È una passione di tale portata che arriva ad offrire di questo vero e di questa realtà una chiave di lettura che possa meglio evidenziarne il mistero. Quale mistero? Il miracolo che rende la realtà un codice con cui cogliere la presenza continua di Dio e la bellezza della sua Verità. Ecco dunque che si può fare apologetica anche attraverso le fiabe.
RE MENTONE (FRATELLI GRIMM)
C'era una volta un Re che aveva una figlia immensamente bella, ma allo stesso tempo così superba ed arrogante che nessun pretendente le andava bene. Prima li sbeffeggiava, infine li scartava miseramente.
Una volta il Re diede una grande festa alla quale furono invitati pretendenti da ogni dove. Li fece mettere tutti in fila, e in ordine di rango: prima i sovrani, poi i granduchi, dopo i principi, poi i conti, poi i baroni, infine gli aristocratici; uno per uno, furono presentati alla principessa, ma ella trovò in ognuno di loro qualcosa da obiettare. Qualcuno era troppo grasso: "Assomiglia tanto a una botticella" disse; un altro era troppo alto: "alto e smilzo, sembra un manico di scopa". Naturalmente, il terzo era troppo basso: "basso come un tappo e pure tracagnotto". Il quarto era per lei troppo pallido: "smunto come la morte". Il quinto era troppo rosso: "gallo da primo premio." Mentre il sesto era addirittura troppo poco dritto: "Legna verde fa fumo nel camino".
E così via; furono ridicolizzati e bocciati tutti senza appello, in modo particolare un giovane e buon re che si trovava in prima fila, il cui mento era leggermente sporgente. "Ma guardatelo!" esclamò, ridendo, "ha un mento che sembra il becco di un tordo!". E da quel momento lo battezzò «Re Mentone». A quel punto, il vecchio Re, stufo di vedere la figlia che non faceva altro che schernire la gente e offendere tutti i pretendenti alla sua mano, andò su tutte le furie e le giurò che il primo straccione che avesse varcato la soglia del palazzo, l'avrebbe avuta in moglie.
Qualche giorno dopo giunse sotto le finestre del palazzo un suonatore ambulante venuto da chissà dove per guadagnare qualche soldo. Il Re se ne accorse e lo fece salire, e così, il vecchio cantore, vestito di stracci lerci e consunti, fu ammesso a cantare per il Re e la Principessa; a fine esibizione domandò una piccola offerta, e il Re, disse: "La tua canzone mi è piaciuta tanto, che voglio concederti la mano di mia figlia". A quelle parole la principessa inorridì, ma il Re disse: "Ho giurato che ti avrei fatta sposare al primo mendicante che si fosse presentato, e intendo mantenere la parola". La fanciulla protestò, ma inutilmente: il Re convocò immediatamente un sacerdote ed ella fu unita in matrimonio al menestrello in seduta stante.
Ma non basta: appena le nozze furono celebrate, il Re disse: "Non sta bene che la moglie di un mendicante soggiorni nel mio palazzo. Ti invito, quindi, ad andartene via subito con tuo marito". Il mendicante prese sua moglie per mano, ed ella dovette andar via con lui, a piedi; arrivarono a una grande foresta, ed ella chiese al marito: "A chi appartiene questo bel bosco?". "è di Re Mentone. Se l'avessi sposato, oggi tutto questo sarebbe tuo." "Oh, me misera! Se solo avessi accettato di sposare Re Mentone..." Dopo un po', attraversarono una prateria, ed ella chiese ancora: "Di chi è questa bella e verde prateria?" "Appartiene a Re Mentone. Se tu l'avessi accettato come marito, oggi sarebbe tua". "Oh, me misera! Se solo avessi accettato di sposare Re Mentone..." "Senti, non mi va che tu stia sempre a lagnarti che hai sposato me e non un altro" disse il menestrello, "non ti vado bene, io?".
Finalmente giunsero a una misera capanna, e la moglie chiese al marito: "Oh, buon Dio... com'è minuscola questa casa... a chi appartiene questo misero tugurio?" Il vecchio rispose: "A me. Questa è casa mia, e da oggi è anche la tua. Ci vivremo insieme." Tanto era basso l'ingresso, che la ragazza dovette chinarsi per entrare. "Dov'è la servitù?" chiese al marito. "Quale servitù?" rispose il mendicante, "d'ora in poi dovrai arrangiarti da sola. Su, forza, adesso: accendi subito il fuoco e metti a bollire dell'acqua, e preparami qualcosa da mangiare, che sono molto stanco." Ma la principessa non ne sapeva nulla di come si accende un fuoco e di come si cucina, e quindi il mendicante dovette aiutarla a fare tutto, poiché lei non sapeva fare niente. Quando ebbero finito di consumare il loro misero pasto se ne andarono a letto, e la mattina dopo la fece alzare di buon'ora per fare i mestieri di casa.
Per alcuni giorni, i due poterono tiare avanti così, come potevano, ma ben presto esaurirono le poche provviste. Il vecchio mendicante disse allora alla moglie: "Moglie, se vogliamo continuare a mangiare e a bere, dobbiamo guadagnare dei soldi. Da oggi intreccerai dei cesti." E andò fuori a tagliare dei salici, e li portò in casa; cominciò allora ad intrecciare, mai giunchi duri le rovinavano le mani delicate. "Vedo che non fa per te" disse il menestrello. "Forse è meglio che provi a filare: magari ti riesce meglio." La fanciulla sedette all'arcolaio e cominciò a filare, ma il filo duro e grezzo le tagliava le dita delicate fino a fargliele sanguinare. "Povero me! Sei proprio una buona a nulla! Non ho fatto un grande affare con te. Proverò ad intraprendere un commercio di vasi di terracotta. Tu dovrai solo portarli al mercato e venderli." Ed ella pensò, ' Oh, me misera! Se dovessero vedermi i servi di mio padre, si prenderebbero gioco di me.. una principessa che vende terraglia all'angolo di una strada!" Protestò, invano, e alla fine dovette fare come il marito ordinava, se non voleva morir di fame.
All'inizio andò tutto bene; la gente comprava volentieri da lei perché era una bella donna, e pagava senza lamentarsi: c'era persino chi le regalava il denaro senza portarsi via la merce, e con il ricavato di quelle vendite tirarono a campare, fino a quando i soldi finirono, e il marito dovette acquistare altra terracotta; la principessa si mise all'angolo del mercato ed espose la merce, ma improvvisamente un ussaro ubriaco galoppò proprio in mezzo alle terraglie, frantumandole in mille pezzi. La poveretta si mise a piangere, e si disperò tanto che non sapeva più che cosa fare. "Oh, buon Dio! Che ne sarà di me? Che cosa dirà, adesso, mio marito?" Corse a casa a raccontargli la disgrazia. "Chi è così sciocco da piazzarsi sull'angolo della strada con tutta la merce?" disse il marito. "È palese che non sei capace di lavorare, comunque, adesso smettila di piangere e ascoltami: oggi sono capitato per caso al palazzo del re, e ho chiesto se per caso avessero bisogno di una lavapiatti; mi hanno promesso di prenderti: in cambio avrai vitto gratuito." Così, la figlia del re diventò una sguattera; dovette dare una mano a cucinare e da quel momento tutti i lavori più pesanti toccarono a lei. S'allacciò una brocchetta alle tasche, e lì nascondeva gli avanzi di cibo da portare a casa, e vissero di quello.
Accadde poi un giorno che furono annunciate le nozze del figlio minore del re, e la poveretta andò a sbirciare attraverso la porta del salone. Quando furono accese tutte le luci e vide la sala addobbata in pompa magna per l'avvenimento, nel vedere sfilare una ad una donne bellissime, vestite da gran dame, pensò allora alla sua scarna condizione con il cuore gonfio di tristezza, e in quel mentre maledì l'orgoglio e la boria che l'avevano condannata a tanta miseria. Un odorino prelibato usciva dalle pietanze luculliane che passavano in rassegna, stuzzicando le sue narici; di tanto in tanto qualche cameriere le lanciava un boccone, che prontamente acchiappava per infilarlo nella brocchetta per portarselo a casa.
Improvvisamente il promesso sposo varcò la soglia, indossando abiti eleganti di seta e velluto, portando al collo tante catenine d'oro; quando vide quella bella donna che stava ferma davanti alla porta, la prese per mano e la invitò a ballare, ma ella rifiutò, spaventata, poiché vide che era Re Mentone, il pretendente che aveva respinto e deriso. Cercò di divincolarsi, ma lui la spinse nel salone, ed ecco che la cintura che le teneva allacciata la brocca alla vita, si slacciò, finendo per rovesciarsi in terra con tutto il suo contenuto: la minestra colava e gli avanzi si sparsero dappertutto. A quella scena, gli ospiti risero e si presero gioco di lei, e lei si sentì sprofondare dalla vergogna. Con un balzo raggiunse la porta, decisa a fuggire, ma un uomo l'afferrò per un braccio e la ricondusse nella sala, e quand'ella volse lo sguardo vide che era ancora Re Mentone, che le disse affettuosamente: "Non avere paura. Sono io il povero menestrello che ha vissuto con te nella miserabile capanna nel bosco. Mi sono travestito per amor tuo, e fui ancora io l'ussaro che quel giorno ti distrusse tutti i vasi di terracotta. Ho fatto tutto questo per domare il tuo orgoglio e per punirti dell'arroganza con la quale mi avevi trattato." La principessa pianse amaramente e disse
4 MAR 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8062
LA VERA DIFFERENZA TRA PSICOLOGO E CONFESSORE di Mauro Piacenza
È fuori dubbio che, nel recente passato, si sia vista un'esplosione del ricorso alla psicologia - e segnatamente all'aiuto degli psicologi - in tutto l'Occidente. Le vicende storiche della pandemia e dell'esplosione clamorosa e, in parte, inattesa dei conflitti bellici hanno, se possibile, ulteriormente aggravato la situazione, al punto da indurre non pochi Governi a offrire ai cittadini un "bonus psicologo" per poter così ricevere l'aiuto di specialisti capaci di ascoltare e di dare un nome al diffuso disagio delle persone.
Si potrebbe quasi dire che lo psicologo sta all'epoca moderna come il confessore stava all'epoca cristiana! Ma è davvero così? È sufficiente il ricorso allo psicologo per "risolvere" il problema umano? Colloquio con lo psicologo e dialogo della Confessione si equivalgono?
La risposta a queste domande è, senza ombra di dubbio, negativa. Pur riconoscendo il legittimo valore della scienza umana detta "psicologia", è evidente come essa non possa, in alcun caso, essere confusa con il sacramento della Riconciliazione. I due "dialoghi"- quello con lo psicologo e quello con il confessore - possono avere alcune analogie, che proveremo a indicare, ma hanno certamente radici diverse e, soprattutto, esiti differenti.
UN GRANDE PARADOSSO
Il grande teologo ambrosiano, prematuramente scomparso, Giovanni Moioli, nel suo saggio Il quarto sacramento (Ed. Glossa), descriveva la Riconciliazione come il «sacramento difficile», proprio per l'esigenza imprescindibile del dialogo verace, intimo e personale tra penitente e confessore, necessario perché ci sia la materia prossima del sacramento e perché esso sia valido.
È fuori dubbio che l'apparente sostituzione della Riconciliazione sacramentale con il dialogo terapeutico affondi le proprie radici nella diffusa secolarizzazione del mondo occidentale; secolarizzazione che - è quasi un paradosso! - è anche la causa di tanto disagio sociale e personale dell'uomo contemporaneo.
In un contesto culturale nel quale Dio è espulso dalla storia o dalla società e, nel migliore dei casi, è relegato al sentimento soggettivo, la risposta alle domande fondamentali dell'esistenza diviene per lo meno ardua, se non impossibile. Se Dio non c'è, l'uomo si riduce a essere l'esito dei propri antecedenti biologici, materia un po' più sviluppata del resto della natura, ma nulla di più, solo materia. Nel contempo, anche la dimensione teleologica, la dimensione del fine della vita e del senso delle azioni umane, perde il proprio significato. Da questo contesto generale è solo possibile immaginare quale mole di frustrazione, anche psicologica, possa derivare, poiché tutte le azioni umane, anche le più nobili e alte, perdono di significato o, nel migliore dei casi, gratificano l'ego, in un cortocircuito nel quale la domanda mai sopita del cuore umano cerca sempre nuove gratificazioni e mai da nulla si ritiene appagata.
UNA SOFFERENZA SVUOTATA
Se a questo si somma la quasi totale censura di un possibile senso della sofferenza umana e della morte, il quadro appare drammaticamente completo. Se la sofferenza umana non ha senso, allora essa è da evitare accuratamente, senza eccezioni, a qualunque livello della coscienza e in qualunque stagione della vita. La contraddizione deflagrante è, tuttavia, che la sofferenza esiste e, semplicemente, non può essere evitata! Da qui l'ulteriore profonda frustrazione di una vita necessariamente frammista anche a momenti di sofferenza, che paiono non avere significato, inficiando così il senso stesso dell'intera esistenza. Al vertice di tale crisi di senso si pone, ovviamente, il mistero della morte, il quale, in un contesto radicalmente secolarizzato, viene sistematicamente censurato e, perfino, de-ritualizzato (basti pensare a tutte le agenzie laiche che si occupano di riti esequiali e, soprattutto, di cremazione), impedendo così quella ordinata e psicologicamente sana elaborazione del lutto, della quale la ritualizzazione è momento essenziale.
LA CONFESSIONE È LUOGO DELLA RISPOSTA
Il sacramento della Riconciliazione, invece, si celebra non solo in un orizzonte valoriale, nel quale è riconosciuta l'esistenza di un Dio personale, creatore e provvidente, di un Dio Padre capace di un sempre continuo perdono nei confronti dei Suoi figli, ma anche nell'accoglienza del mistero dell'Incarnazione, per il quale il potere di Dio di perdonare i peccati, in Gesù di Nazareth, Signore e Cristo, è sceso sulla terra («Perché crediate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati...», Mt 9,6; Mc 2,10; Lc 5,24).
Il sacramento della Riconciliazione, dunque, è da comprendere e celebrare in un orizzonte soprannaturale, che certamente abbraccia tutte le istanze naturali presenti nell'umana esistenza, ma le supera e le risolve come nessun psicologo potrà mai fare. La fede esplicita in Dio - e non in un "dio" generico a cui tutti possono indifferentemente fare rifermento, ma nel "Dio di Gesù Cristo", nel Dio-Amore trinitario, capace non solo di incarnarsi, assumendo un'integra natura umana, ma addirittura di scegliere di morire per amore della Sua creatura e per salvarla dal limite e dal peccato - diviene risposta piena di senso sull'origine e sul fine dell'umana esistenza, donando uno straordinario, eterno valore alla libertà umana e alle azioni che con essa, illuminata dall'intelligenza e sostenuta dalla volontà, l'uomo compie.
Nulla è più liberante della fede in Gesù Cristo e del riconoscimento umile e grato del Dio-Amore dal quale tutti gli uomini provengono e al quale sono chiamati a rispondere, anche con le proprie croci.
L'elemento "difficile" della sofferenza umana trova, non nello sterile ego soggettivo, ma nell'infinito oceano dell'Amore divino, un'unica possibile risposta; il mistero di un Dio-Amore, incarnato e crocifisso, di un Dio-Misericordia che continua a riversare, attraverso il sacramento della Riconciliazione, la sua Misericordia e il suo Amore sull'umanità, è l'unica reale risposta a ogni domanda che fiorisce dall'ineluttabile sofferenza umana, soprattutto quella innocente, e dall'inevitabile disagio che l'uomo prova di fronte a essa.
L'amore della Croce è la risposta a ogni possibile sofferenza umana e, per quanto la scienza psicologica possa certamente, in alcuni casi, essere di grande aiuto, il migliore degli psicologi (se molto bravo) potrà individuare il problema, ma non lo risolverà e, soprattutto, non salverà l'umano. Gesù Cristo è, infatti, l'unico Salvatore.
15 GEN 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8043
L'ABUSO DEL RICORSO AL PARTO CESAREO di Giano Colli
In Italia, il parto cesareo è diventato una pratica comune, tanto da posizionare il nostro paese al primo posto nel mondo per percentuale di interventi chirurgici durante il parto. Secondo i dati, il 38% dei parti in Italia avviene tramite cesareo, una cifra ben al di sopra del 15% raccomandato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Questo dato, che ci pone davanti agli Stati Uniti (27%) e alla Germania (25%), solleva importanti interrogativi sul perché si ricorra così frequentemente a questa procedura e sulle sue implicazioni a lungo termine.
Il parto cesareo è un intervento chirurgico fondamentale in situazioni di emergenza o quando il parto naturale comporta rischi significativi per la madre o il bambino. Tuttavia, l'OMS scoraggia un uso eccessivo e potenzialmente non necessario della procedura. In Italia, i numeri suggeriscono che spesso il cesareo non viene scelto per necessità reali, ma per altri motivi.
Uno dei principali fattori che spingono molte donne italiane a optare per il cesareo è la paura del dolore durante il parto naturale. Il parto è indubbiamente un'esperienza intensa, ma è anche un processo naturale che il corpo femminile è biologicamente predisposto a sostenere. Tuttavia il fatto che la gravidanza sia trattata da personale medico come fosse una malattia contribuisce ad alimentare ansie che potrebbero essere gestite con maggiore tranquillità.
Inoltre il cesareo viene percepito come una scelta più "sicura" o addirittura più comoda, sia dai medici sia dalle mamme. In alcuni casi, l'idea di poter "programmare" il parto con una data certa spinge verso questa decisione. Il parto naturale richiede un'assistenza più prolungata e attenta rispetto a un cesareo programmato, portando alcuni ospedali a preferire quest'ultimo per ragioni organizzative. Ma imporre al bambino quando uscire dal grembo materno è una forzatura visto che da sempre i bambini sanno quando è il momento giusto. Siamo noi che dobbiamo adattarci a loro, non il contrario.
Infine non bisogna dimenticare che il cesareo è una procedura sicura, ma non è privo di rischi. Gli interventi chirurgici comportano tempi di recupero più lunghi, un maggiore rischio di infezioni e complicazioni future, come difficoltà nelle gravidanze successive. Per i neonati, il parto naturale offre benefici importanti, come un maggiore supporto al sistema immunitario grazie al passaggio nel canale del parto.
Oggi si dimentica che il parto è un evento naturale che da millenni accompagna l'umanità. Negli ultimi decenni, la tecnologia ha migliorato la sicurezza del parto e questo è un bene, ma ha anche contribuito a distanziarci da questa esperienza come parte normale della vita. L'ospedalizzazione dell'inizio come anche della fine della vita ha contribuito a rendere meno umano sia il venire al mondo che l'ultima fase dell'esistenza. Per quanto riguarda il parto naturale è fondamentale che le mamme lo affrontino senza paure eccessive visto che, ripetiamo ancora una volta, partorire è la cosa più naturale al mondo. Per tutto quanto detto non bisogna nemmeno dimenticare che ci sono oggi in Italia mamme che preferiscono partorire a casa con l'aiuto di una ostetrica. Questa possibilità non va scartata a priori soprattutto da parte di chi abita a distanza di un quarto d'ora, mezz'ora al massimo, da una struttura ospedaliera a cui ricorrere solo in caso di pericolo di vita della madre o del bambino.
La posizione dell’Italia come leader mondiale nei parti cesarei evidenzia la necessità di un cambiamento di mentalità. Il parto, sebbene doloroso e impegnativo, può essere affrontato con serenità soprattutto se si riceve il giusto supporto dai familiari e dal personale medico. Ridurre il tasso di cesarei non significa negare l’accesso a questa procedura quando necessaria, ma promuovere un approccio più consapevole alla nascita, che valorizzi la salute della madre e del bambino.
Per i cristiani, infine, il parto è un momento speciale che si intreccia con il mistero della vita e della fede. Affrontare questa esperienza affidandosi alla Provvidenza e alla protezione della Madre di Dio offre forza e serenità. Maria, che ha vissuto l’esperienza della maternità con umiltà e coraggio, è un esempio potente per le donne che si preparano a diventare madri. Accettare il parto naturale come parte del disegno divino significa riconoscere la bellezza e la sacralità di questo evento, confidando in Dio che sostiene ogni madre nel dono della vita.
15 GEN 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8042
I RISCHI E L'INGANNO DELLA PSICANALISI di Benoît-Marie Simon
Recentemente, di fronte a un gruppo di persone, un padre di famiglia giustificava il comportamento aggressivo del figlio, che picchiava i compagni di scuola, con la scusa che quest'ultimo non sapeva come incanalare il suo eccesso di energia. Ebbene, nessuno ha reagito! Segno di una tendenza generale a scusare a ogni costo ciò che una volta si chiamava cattiveria, cioè peccato. Sarebbe disonesto vedere in questo cambiamento di mentalità la semplice reazione a un presunto rifiuto di prendere in considerazione i condizionamenti che sminuiscono la nostra libertà. Da tempo, i manuali di morale hanno moltiplicato le distinzioni a questo riguardo. Detto ciò, la tentazione di non rispettare tutta la complessità delle situazioni umane esisterà sempre, ma per combatterla non è necessario sbarazzarsi di una saggezza che si basa su principi veri e onora la dignità umana fino al punto di riconoscere all'uomo la capacità di scegliere il male.
Gesù, è vero, ci ammonisce di non giudicare, perché solo Dio legge nel segreto dei cuori. Ma questo non significa che si debba assolvere tutti. Non confondiamo il determinare fin dove una persona è colpevole e il giudicare che un determinato atto è oggettivamente un peccato.
In questo senso il Vangelo ci esorta a correggere il fratello che pecca. E non confondiamo neppure il non condannare con l'assolvere. Insomma, non abbiamo l'autorità e la scienza necessarie né per condannare né per sentenziare che qualcuno non è colpevole. Eppure la psicanalisi decreta che le nostre scelte profonde sono frutto di meccanismi inconsci indipendenti dalla nostra volontà. E lo fa in nome di una teoria che non ammette contestazioni; ogni obiezione sarebbe, in realtà, una "resistenza" che conferma la validità della diagnosi. Non c'è via di scampo: il paziente deve convincersi che il terapeuta conosce meglio di lui il motivo delle sue scelte, sempre che non ne riscriva la storia. Insomma, le categorie della psicanalisi permettono di ignorare gli argomenti razionali di un contraddittore, anzi consentono di non prendere in considerazione ciò che dice.
LIBERI DAVVERO
Come spiegare il dominio quasi incontrastato di una teoria così opposta al buon senso? Di sicuro non sarebbe possibile se non fossimo così allergici a riconoscerci peccatori. Quando siamo fieri di ciò che abbiamo fatto, la nostra responsabilità ci esalta, ma quando ci sentiamo in colpa, ci pesa. Allora se una teoria "scientifica" pretende di liberarci da questi sensi di colpa, siamo pronti ad accettarla in modo acritico, anche se nega la trascendenza dello spirito sulla materia. Ebbene, solo lo spirito scopre ciò che è vero e buono in sé, mentre la sensibilità è strutturalmente interessata al proprio benessere materiale. In un caso, la vita è un susseguirsi di piaceri passeggeri; nell'altro, si cerca la vera felicità, cioè il bene che dà un senso assoluto alla nostra vita. Ecco perché i doveri morali che la nostra coscienza ci ricorda non ammettono eccezioni. Pertanto, obbedire alla propria coscienza è necessariamente un atto spirituale che non ha niente a che vedere con processi
fisici deterministici, come vorrebbe far credere la psicanalisi. In questo senso, trovare la felicità dipende dalle nostre scelte profonde, le quali non sono mai la semplice risultanza delle condizioni materiali nelle quali ci troviamo e che spesso subiamo. Infatti, si può essere ricchi e infelici, poveri ma in una pace profonda. Ma, secondo la psicanalisi, bisogna rinunciare definitivamente all'idea di poter raggiungere una pace vera e accontentarsi, invece, di compromessi instabili tra forze contrastanti. In fin dei conti rifiutando di chiamare peccato ciò che lo è, si incoraggia il peccatore a rimanere nel suo stato, mentre combattendo potrebbe, con l'aiuto degli altri e soprattutto di Dio, vincerlo. Con la conseguenza che le nostre società diventano sempre più violente.
PECCATO E MISERICORDIA
C'è da stupirsi che un'intelligenza sana possa cadere in una tale assurdità, ma risulta davvero incredibile che ci caschi un cristiano. Come potrebbe Cristo rivolgere ai farisei le accuse durissime che leggiamo nel Vangelo, se non fossero colpevoli? Sarebbe assurdo e mostruosamente ingiusto. La Buona Novella è un invito a seguire Gesù Cristo rivolto alla nostra libertà. E alla fine della nostra vita verremo giudicati da Dio. Cosa scandalosa, se non siamo liberi. Impossibile, quindi, negare la realtà del peccato, anche perché è il corollario della preziosità dell'atto nel quale un cuore si dona liberamente, coscientemente e per sempre nell'amore. Sminuire la libertà e la gravità del peccato conduce inevitabilmente a eliminare la possibilità di un tale amore. Non c'è da stupirsi, per esempio, che la nozione di fedeltà, che pure è legata alla verità dell'amore, sia in crisi profonda. Rimane il problema di distinguere il pentimento liberatore dal senso di colpa paralizzante. Così come non si possono non stigmatizzare i danni provocati da certe immagini di un Dio giudice implacabile. Ma, ancora una volta, basta correggere queste rappresentazioni, mentre di sicuro nascondere la colpevolezza quando c'è non apre alla pace vera. Sforzarsi di dimenticare ciò che non si può negare produce, che lo vogliamo o no, la paura e il rimorso che avvelenano la vita. E poi cosa succederà il giorno in cui non sarà più possibile guardare altrove? In verità, solo il perdono offerto dal Signore ci libera da questo peso. Si pensi allo stupore del figliol prodigo nella parabola evangelica quando scopre il modo in cui il Padre l'accoglie allorché riconosce di avere peccato contro di lui! Questo perdono fa nuove tutte le cose - perché Dio è creatore - ma senza nascondere niente. Si sperimenta allora come la verità libera, mentre le cose non chiarite e non accettate imprigionano l'anima.
Ora, se il figliol prodigo si fosse lasciato convincere dalla psicanalisi, non si sarebbe mai inginocchiato di fronte a suo Padre chiedendogli perdono e non avrebbe scoperto la potenza di risurrezione della sua misericordia.
SVELARE I PRINCIPI
Nonostante questo e i numerosissimi gravi danni occasionati dalla psicanalisi ampiamente documentati: suicidi, vite distrutte, guarigioni illusorie, eccetera, non la si rimette seriamente in discussione; tutt'al più si cerca di correggerla, come se fosse possibile correggere questa teoria senza rimettere in discussione i principi sui quali si fonda. Dire questo non significa, beninteso, ignorare le problematiche che essa ha messo in evidenza, ma occorre interpretarle in una luce diversa.
Sembra davvero che si aderisca alla psicanalisi in modo cieco, quasi religioso, come ci si lascia accecare da una ideologia. Gli psicanalisti si difendono sostenendo che la loro è una scienza, e quindi un sapere oggettivo e indiscutibile, mentre la filosofia e la religione che difendono la libertà sarebbero semplici opinioni. In queste condizioni non basta denunciare gli effetti disastrosi della psicanalisi per liberarci dal suo giogo e per smascherare l'illusione che, così come è concepita, possa essere utilizzata come mezzo terapeutico ignorando la teoria che sta dietro.
È necessario mostrare che si basa su principi falsi - dal momento che, per esempio, confonde uno slancio affettivo con una pulsione, cioè un mero fenomeno fisico o organico - e che, in ogni caso, non è e non può essere una scienza. È questo un esame filosofico e teologico, inevitabilmente austero, che ho sviluppato nel modo più approfondito e rigoroso possibile nel mio libro: La psicoanalisi al vaglio della filosofia e della teologia.
7 GEN 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8033
LA DOMENICA, IL LAVORO E LO SVAGO di Don Stefano Bimbi
Sono una mamma e ho una domanda che vorrei rivolgere a don Stefano Bimbi.
Prendo spunto da un fatto accaduto in famiglia per chiedere alcuni chiarimenti relativi al rispetto del terzo comandamento: «Ricordati di santificare le feste».
Mia figlia è andata di domenica con le amiche a un fast food e al cinema, con grande stupore della sorella perché io di solito non permetto a nessuno di entrare in un qualunque negozio la domenica. In realtà io non ho fatto mente locale, ho solo pensato di chiederle di organizzarsi per non saltare Messa e ho acconsentito all’uscita domenicale, purché studiasse il sabato e si riposasse la domenica.
Solo dopo mi è tornata in mente l’immagine della Madonna di La Salette, che si lamentava per come veniva disatteso (già allora, figurarsi oggi) il terzo comandamento. Mi chiedo quindi, in generale, come ci si debba regolare: io sono dell’idea che se nessuno andasse nei locali, centri commerciali, eccetera, la domenica, nel giro di poco nessuno sarebbe costretto a lavorare la domenica, potendo quindi riposare e stare con la famiglia.
Ma l’aver dato a mia figlia questa concessione, mi ha fatto compiere peccato grave? Quali sono i limiti dentro i quali possiamo muoverci?
Voglio agire bene, in futuro, e soprattutto insegnare bene ai miei figli.
Lettera firmata
***
Risposta
Innanzitutto va detto che la Madonna a La Salette lamentava non solo che la gente lavorasse di domenica, ma soprattutto che non andasse a Messa. Ma se fosse venuto un temporale, sarebbe stato lecito per i contadini, che vivevano di quello che raccoglievano, portare a casa il foraggio tagliato perché non marcisse? Certamente sì.
Per restare al suo esempio, occorre distinguere tra "fast food e cinema" e "supermercati e negozi". Nel secondo caso è bene starne alla larga, anche perché si può andare nei supermercati e negozi tutta la settimana, mentre la domenica va santificata, come dice il comandamento. Come santificarla? Con il riposo, lo stare in famiglia, l'approfondimento della Parola di Dio e della Dottrina della Chiesa, atti di carità, lo svago. Appunto per quest'ultimo punto si possono frequentare "fast food e cinema", ma anche vedere partite di calcio, fare visite nei musei, passeggiate con le amiche, ecc.
Del resto l'astensione dal lavoro non è assoluta. Infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2185 dice: «Durante la domenica e gli altri giorni festivi di precetto, i fedeli si asterranno dal dedicarsi a lavori o attività che impediscano il culto dovuto a Dio, la letizia propria del giorno del Signore, la pratica delle opere di misericordia e la necessaria distensione della mente e del corpo. Le necessità familiari o una grande utilità sociale costituiscono giustificazioni legittime di fronte al precetto del riposo domenicale. [...]».
È necessario quindi che lavorino i poliziotti (altrimenti la domenica sarebbe il giorno della delinquenza libera), gli infermieri (per assistere i pazienti negli ospedali), i medici (per operazioni non rimandabili, tipo trasfusioni di chi sta per morire dissanguato, operazione al cuore di chi ha un infarto, ecc.) e tutti quelli che devono garantire dei servizi ai cittadini, come i trasporti in treno, in autobus, taxi. Ma anche chi opera nel settore divertimento e svago può esercitare la sua professione di domenica: calciatori, ristoratori, ecc.
In questo senso il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2187 afferma, tra l'altro: «[...] Ogni cristiano deve evitare di imporre, senza necessità, ad altri ciò che impedirebbe loro di osservare il giorno del Signore. Quando i costumi (sport, ristoranti, ecc.) e le necessità sociali (servizi pubblici, ecc.) richiedono a certuni un lavoro domenicale, ognuno si senta responsabile di riservarsi un tempo sufficiente di libertà. [...]». Come si vede, la Chiesa prevede che i ristoranti possano rimanere aperti. E questo proprio per un servizio sociale. Basti pensare a chi volesse festeggiare un Battesimo, la prima Comunione, il matrimonio, ma anche il semplice stare insieme tra parenti e amici.
Ultima precisazione: le attività di svago come cinema, partite di calcio, musei si fanno nel giorno che siamo liberi dal lavoro perché c'è più tempo. Infatti, mentre l'acquisto di vestiti o cibo, eccetera, sono necessità da poter fare tutti i giorni, lo svago (ristorante, musei, sport, cinema, ecc.) non è una necessità, quindi va bene averlo la domenica quando si è liberi dal lavoro.
Ci sarebbe molto da aggiungere, ma spero di aver dato una risposta sintetica e chiara.
Per approfondimenti, si può leggere la lettera apostolica Dies Domini di Giovanni Paolo II.
24 DIC 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8028
AMARE I NEMICI E PORGERE L'ALTRA GUANCIA... COSA VUOL DIRE IN CONCRETO? di Giacomo Samek Lodovici
«Avete inteso che fu detto: "Occhio per occhio dente per dente", ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra»; addirittura, «Avete inteso che fu detto: "Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico"; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori»: così dice Gesù, realizzando una grandissima rivoluzione morale. Se infatti in Platone c'è un cenno, peraltro da interpretare, sul porgere l'altra guancia, il mondo greco-romano non ha mai concepito l'amore per il nemico. Ma che cosa significa il dovere di amare i propri nemici? In primo luogo vuol dire non odiarli. Ma vuol dire anche augurare loro ogni successo? E in guerra vuol dire abbracciare il pacifismo, rinunciare a combattere i nemici e lasciarsi sopraffare? Era questa una delle accuse mosse dai pagani ai cristiani, come riporta sant'Agostino nella Lettera 138. Ora, anzitutto, che cosa significa amare? Significa varie cose, ma, per quel che riguarda il nostro discorso, significa volere-desiderare del bene a qualcuno.
Dopodiché l'amore, di solito, si prodiga anche fattivamente per procurare il bene della persona amata, cerca concretamente di agire nel modo bene-volente che concretizza il desiderio di bene per qualcuno. Quindi, come si comprende anche dall'analisi dei termini usati per formulare questo dovere nel vangelo in greco e in latino (cfr. Giovanni Gobber, Ama il tuo nemico. Dilectio, «Vita e Pensiero», 30.12.2023, reperibile online), il dovere verso il nemico non è un obbligo di provare verso di lui slancio, trasporto, simpatia, eccetera.
LEGITTIMA DIFESA
Quanto al pacifismo, già sant'Agostino lo rigetta dicendo che «Se la dottrina cristiana condannasse ogni specie di guerre, ai soldati che nel Vangelo chiedono [a Gesù, n.d.a.] il consiglio per salvarsi, [egli, n.d.a.] prescriverebbe di gettar via le armi e di sottrarsi completamente agli obblighi del servizio militare. Invece [da Gesù, n.d.a.] è stato loro detto: "Non fate violenza a nessuno e non accusate falsamente nessuno; siate contenti della vostra paga" (Lc, 3,14)», perciò, conclude sant'Agostino, nel vangelo «evidentemente non si vieta di svolgere il servizio militare a coloro cui è comandato di accontentarsi della propria paga» (se essa è giusta). Il cristianesimo non è pacifista e giustifica l'uso della forza per legittima e proporzionata difesa. Del resto, anche Gesù ha usato la forza contro i mercanti del Tempio di Gerusalemme, per difendere i "diritti" di Dio e di coloro che al Tempio volevano esercitare il culto. Anche il Catechismo della Chiesa cattolica dice, al n. 2308, che, «una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa». E aggiunge al n. 2310 una serie di condizioni da rispettare per rendere lecito combattere una guerra, che deve avere solo una finalità difensiva. Una singola persona può sì anche decidere di non reagire a un'aggressione rivolta solo a lei, ma ha il dovere di reagire, anche con le armi, quando sono in pericolo coloro verso cui ha una responsabilità: è il dovere di un genitore verso i figli, di un soldato verso i cittadini, di un governante verso il suo popolo, eccetera. Così il Catechismo al n. 2265: «La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell'autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile».
BENE MORALE, ETERNO, CONCRETO
Quanto all'amore per i nemici, le interpretazioni in venti secoli di cristianesimo sono state moltissime.
Per san Tommaso (citiamo di seguito dalla Summa Theologiae e dal De caritate) i nemici vanno amati sempre con quell'espressione dell'amore che è la carità, cioè a motivo dell'amore verso Dio, e solo in certi frangenti particolari vanno amati anche con la sopra menzionata concretizzazione fattiva dell'amore. Precisiamo. La carità è un amore di amicizia tra l'uomo e Dio: Dio ne è l'oggetto principale, mentre il prossimo viene amato dalla carità per amore di Dio, nel senso che quando noi amiamo qualcuno dobbiamo cominciare ad amare, in un certo qual modo, anche i suoi famigliari, amici, in quanto sono congiunti a lui; pertanto, l'uomo deve amare Dio con la carità e, inoltre, siccome Dio ama ogni essere umano, l'uomo deve anche amare ogni altro essere umano «perché in lui c'è [la comunione con Dio, n.d.a.] o affinché in lui ci sia [la comunione con, n.d.a.] Dio». E ciò, prosegue Tommaso, vale anche nei confronti dei nemici: l'amicizia della carità «si estende anche ai nemici, i quali devono essere amati per carità in ordine a Dio», e dunque «è stretto dovere non escludere i nemici dalle preghiere generali che facciamo per gli altri» (riguardo alle preghiere particolari per loro torniamo alla fine). E (come spiega il sopra menzionato Gobber) la benevolenza verso il nemico è frutto di una scelta, «Non è [...] un atteggiamento [...] che rinuncia a giudicare i comportamenti» e «non è disarmo; è disponibilità a farci carico anche del destino di chi ci vuole annientare». Ciò detto, san Tommaso specifica che in generale ci è comandato di amare ogni altro essere umano «come noi stessi, non però quanto noi stessi. Non [...] allo stesso modo»: dobbiamo desiderare per il prossimo, nemico incluso, solo alcune delle "cose" che vogliamo per noi stessi, cioè «a tutti [nemici inclusi, n.d.a.] dobbiamo volere lo stesso bene, ossia la vita eterna», e inoltre ai nemici dobbiamo volere quel bene che è vivere in modo moralmente buono, ma non dobbiamo volere per loro queste "cose" quanto a noi stessi: «Se anche a tutti vogliamo [dobbiamo volere, n.d.a.] lo stesso bene, ossia la vita eterna, non amiamo [non dobbiamo amare, n.d.a.] però tutti allo stesso grado». Inoltre, provvedere fattivamente alle necessità del prossimo è sì a volte doveroso, ma non in ogni circostanza: tranne in certi speciali frangenti, compiere degli atti concreti di benevolenza verso il prossimo e verso i nemici, procurare loro fattivamente dei beni concreti, non è moralmente doveroso e piuttosto costituisce la perfezione della carità. Il raggiungimento di tale perfezione non è moralmente obbligatorio, è uno dei cosiddetti "consigli" evangelici, non un precetto morale da adempiere, tranne appunto in certi speciali frangenti, cioè in casi di grave necessità (per esempio l'imminente morte per fame di un'altra persona, se siamo in grado direttamente di scongiurarla).
Nelle parole di san Tommaso, «non siamo tenuti [...] a dare particolari segni e gesti di affetto a colui che non ci è congiunto da nessun altro legame, a meno che [...] egli, secondo il tempo e il luogo non si trovi in una necessità nella quale possa essere soccorso solo da noi». Nel dovere dell'amore al prossimo come se stessi il «come se stessi» non va inteso per san Tommaso in termini egualitari. Così, per chi ne ha la possibilità, c'è sì un dovere generale di fare beneficenza, ma non verso tutti gli indigenti e in ogni situazione. Per Tommaso è in questo modo che dobbiamo amare anche i nemici, cioè sempre volendo per loro la vita moralmente buona e la vita eterna con Dio (cosa molto ardua da volere, ma questo è un altro discorso) e in certe situazioni volendo e realizzando per loro anche dei beni concreti. E anche pregare Dio perché procuri loro certi altri beni «è di consiglio e non di precetto, salvo casi particolari», che riguardano condizioni gravi.
5 NOV 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7965
IL RELATIVISMO CHE NON GUASTEREBBE, OGGI di Roberto Marchesini
Ve la ricordate la «dittatura del relativismo»? Era l'aprile del 2005, durante il conclave, quando il cardinale Joseph Ratzinger tenne una splendida omelia per la Missa pro eligendo Romano Pontifice (che poi fu lui stesso). A un certo punto, come una bomba, esplose una frase destinata a segnare il discorso pubblico: «Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». E proseguiva: «Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È Lui la misura del vero umanesimo». Divenne, quello, un grido di battaglia che fu subito colto da ampie parti del mondo cattolico: combattere la «dittatura del relativismo» affermare Cristo come Via, Verità e Vita dell'uomo. Bei tempi, quelli in cui c'era ancora una battaglia da combattere; quelli in cui c'era la dittatura del relativismo.
ASCOLTARE ANCHE L'ALTRA CAMPANA
La cultura moderna metteva in discussione l'egemonia culturale cattolica, chiedeva un ascolto rispettoso per culture altre, diverse dal cattolicesimo. La sola idea che l'errore non avesse diritti, compresi quelli costituzionali di espressione, era rifiutata come medievale, oscurantista eccetera eccetera. Erano anni che si tentava di scardinare quel punto, persino a scuola. Quanti di noi si sono sentiti ammonire: «Bisogna ascoltare anche l'altra campana»? In fondo, ognuno ha le sue ragioni, no? Bei tempi, quelli dell'altra campana...
E poi: come dimenticare il falso aforismo attribuito a Voltaire che recita: «Non sono d'accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire»? Che levatura morale, questi illuministi: tengono così tanto alla libertà d'espressione da dare la vita per garantirla anche a coloro che non la pensano come loro... E che grettezza, questi cattolici, intolleranti e illiberali, che hanno bruciato libri, liberi pensatori, fior di scienziati, eccetera, eccetera, eccetera. Bei tempi, quelli del «Non sono d'accordo ma...», buttato qua e là, a proposito e sproposito, come il prezzemolo.
Insomma: il mondo moderno, occidentale, liberale si è sempre posto in cattedra per quanto riguarda la libertà di parola, di espressione, di pensiero. Del resto, non si chiamavano liberali? Non chiedevano più libertà? Per tutti, ovvio. Per quasi tutti... Bei tempi, bei tempi. Purtroppo finiti. Già, perché adesso il mondo occidentale, il mondo libero, non è più molto intenzionato a sentire l'altra campana. Darebbero volentieri la vita... di chi non la pensa come loro. E il relativismo si è rivelato la dittatura più breve della storia dell'umanità.
UNA MANFRINA ACCHIAPPA GONZI
Adesso, nel mondo libero, se qualcuno osa esprimersi in modo non gradito subisce dei trattamenti sanitari obbligatori, perde il lavoro, finisce in galera. Magari per aver pregato (in silenzio) davanti a una clinica abortista. C'è chi finisce in galera per dei commenti sui social media, persino per dei «like». Imprenditori vengono arrestati perché, sui mezzi di comunicazione da loro creati, c'è troppa libertà d'espressione. Chi si illude che in Occidente ci sia libertà di parola rischia di venire additato come un agente al soldo di potenze straniere. Ci stupiamo? Del resto, sono anni, decenni che nel mondo libero esistono leggi che puniscono chi la pensa in un modo o nell'altro; che, se i cittadini votano in modo non gradito, devono rivotare o subiscono delle «sanzioni». La libertà d'espressione in Occidente è così sacra che si possono imbrattare impunemente capolavori d'arte e monumenti; ma basta manifestare per la parte sbagliata e si finisce manganellati, colpiti da cannoni d'acqua, ci si vede comminato un Daspo, nato come divieto di accedere a manifestazioni sportive e finito come limitazione del diritto di circolazione e soggiorno in qualsiasi parte del territorio nazionale.
Insomma, i casi sono due: o il mondo occidentale ha perso i suoi riferimenti filosofici, culturali e politici; oppure non li ha mai avuti e quella del «Non sono d'accordo ma...» era la solita manfrina acchiappa gonzi. Insomma: adesso un pochino di tolleranza e relativismo, cioè di rispetto per le mie opinioni, mi farebbe anche comodo...
22 OTT 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7953
NUDA IN STRADA PER VOLERE DEL GURU di Raffaella Frullone
"Depurare il corpo" e "purificare l'anima" attraverso digiuni estremi, pratiche ascetiche durissime e distacco completo non solo dal mondo, ma da tutto quello che è stato il proprio passato e naturalmente relativi legami, che devono essere recisi. Il caso della presunta setta di Miggiano, nel leccese, guidata dal sedicente "guru Khadir" ha lo stesso copione che emerge - con sfumature e forme diverse - quando diventa cronaca. Normalmente nera. Come nel caso di Alex Marangon, 25enne veneto morto in circostanze ancora non del tutto chiare quest'estate mentre si trovava ad un non precisato raduno New Age a base di ayahuasca, guidato da uno sciamano che, sempre come da copione, nega qualunque coinvolgimento.
Questa volta sui giornali è finita una 36enne siciliana che si è trasferita a Miggiano, 3.000 abitanti in provincia di Lecce, per vivere in una sorta di comune gestita da tale Khadir, da cui la donna sarebbe stata psicologicamente dipendente, un santone, un maestro di vita, un guru che la teneva in pugno, tanto da convincerla a girare per strada completamente nuda. Sul caso lavora la procura di Foggia, le indagini sono scattate a partire dalla denuncia del padre di un 47enne, a sua volta ex membro della presunta setta, che lo scorso anno si sarebbe trasferito nella comunità e ne avrebbe sperimentato le imposizioni, cibo razionato, controllo sui movimenti, le attività, le relazioni. Incoraggiate quelle interne, riferiscono i giornali anche intime, vietate quelle con i non adepti.
Secondo un rapporto del Codacons stilato un paio d'anni fa, nel nostro Paese sono circa due milioni i cittadini sono coinvolti in più o meno costante nel fenomeno delle cosiddette "sette", ovvero organizzazioni spesso segrete dedite a culti e dottrine esoteriche, guidate da leader carismatici e alla continua caccia di adepti. Il dato tuttavia non tiene conto di tutte quelle realtà che si presentano in un modo che l'immaginario collettivo non assimila al concetto di setta, ovvero tutte quelle realtà che si presentano come pura avanguardia spirituale: la mindfulness, la cristalloterapia, le costellazioni, gong tibetano, la meditazione buddhista, i chakra, e chi più ne ha più ne metta.
Un esercito di adepti inconsapevoli che apparentemente svolgono una vita normale ma che probabilmente sono implicate in pratiche nella migliore delle ipotesi nebulose quando non proprio occulte. Nell'epoca dell'emotività imperante, del benessere individuale psicofisico come unica bussola, è facile cadere preda di imbonitori che fanno leva sulla fragilità, ma soprattutto che hanno chiaro che c'è un vuoto d'amore che viene riempito con il fenomeno del "love bombing", letteralmente un bombardamento d'amore che conquista la vittima fino a renderla dipendente psicologicamente.
Certo dovrebbe essere lampante che "purificare il corpo e l'anima" non può significare correre nuda per strada, allontanarsi dai legami di sempre, arrivare quasi a non mangiare, mortificare il corpo e o donarlo a sedicenti appartenenti alla comunità. Eppure la fragilità di oggi è tale, se ci si pensa, che trovarsi dentro una setta non è poi così improbabile. Perché quando si smette di credere in Dio, inevitabilmente si finisce col credere in qualunque altra cosa. O persona.
Nota di BastaBugie: l'autrice del precedente articolo, Raffaella Frullone, nell'articolo seguente dal titolo "Alex Marangon, gli sciamani e l'illusione della magia che cura" racconta nel dettaglio quello che è stato accennato nel precedente articolo.
Ecco l'articolo completo pubblicato sul sito del Timone il 10 luglio 2024:
La vicenda tiene banco da giorni su tutti i giornali. Gli elementi per il giallo dell'estate ci sono tutti: un ragazzo ucciso in modo violento, due sedicenti guaritori in fuga forse in Sud America, un'abbazia sconsacrata, decotti magici e riti sciamanici. Solo che questo non è un giallo da leggere sotto l'ombrellone, ma la storia vera di una vita prematuramente spezzata in un modo atroce. Riavvolgiamo il nastro.
Alex Marangon aveva 26 anni e chissà quali sogni nel cassetto e desideri nel cuore. Lavorava in un bar sul lago, aveva iniziato la stagione poco meno di un mese fa, e una troupe televisiva lo aveva intervistato per quei servizi di rito sulla stagione estiva che si apre: «Ci aspetta una grande estate, aveva detto sorridente». E invece lo scorso due luglio il suo corpo è stato trovato arenato su un isolotto del fiume Piave, in provincia di Treviso. Si chiamava «Sol del Putymayo» e tecnicamente era descritto come «un rituale di cura con la forza della Foreza» che si sarebbe svolto in un luogo «davvero speciale e protetto». Il Luogo era un'abbazia sconsacrata di Vidor ed è qui che ha inizio la tragedia.
Non è chiarissimo in cosa consistesse effettivamente la serata, le ricostruzioni parlano di riti esoterici innaffiati da sostanze allucinogene tra cui l'ayahuasca, un decotto con effetti psichedelici a base di piante amazzoniche. Si sa che all'evento ha preso parte tale Jhonni Daniel Benavides, nonché il musicista Andrea Zuin, identificato come l'organizzatore della serata e fondatore del progetto ZuMusic Project, che su Instagram dice di fare «medicina musicale» insieme alla sua compagna ispirandosi ai rituali degli sciamani. Fatto sta che Alex attorno alle tre di notte si allontana dalla struttura e verrà ritrovato morto pochi giorni dopo.
Gli esiti dei primi esami autoptici hanno rilevato che l'uomo è stato ucciso in modo brutale, un pestaggio forse, aveva diverse costole rotte. Ma per avere un quadro completo, relativo anche a quello che il ragazzo aveva assunto, bisognerà aspettare l'esito degli esami tossicologici. Aveva paura Alex, così riporta Quotidiano Nazionale citando le confidenze del ragazzo ad un amico. Era la terza volta che partecipava a queste "feste" ma aveva paura. Era stato attratto probabilmente dalla possibilità di guarire dai suoi stati asmatici ma aveva timore. Così pare. Così sembra. Il condizionale è d'obbligo. La procura indaga per omicidio volontario, intanto ha dato il nulla osta per il funerale che sarà celebrato sabato nella chiesa SS. Patroni d'Europa di Marcon (Venezia).
Non pretendiamo certo di trovare né indicare il colpevole. E nemmeno siamo in grado di sondare le ragioni che hanno portato Alex nel luogo in cui ha trovato la morte. Sono troppo intime e certamente a noi sconosciute. Quel che possiamo fotografare però è l'immagine di una società che ha fatto di tutto per buttare fuori Dio dal discorso pubblico e dalla vita di ciascuno. Dire di credere oggi, in Occidente, nel 2024 fa guadagnare al massimo un sorriso compassionevole, dire di essere cattolici è aver diritto d'ufficio ad uno sguardo tra il pietoso e il sorpreso.
Eppure la stessa società normalizza riti sciamanici, incoraggia le pratiche New Age, ammette i decotti magici allucinogeni, i bagni di luce, i rituali con la Forza della Foresta, i sedicenti medium che ti mettono in contatto con non specificati spiriti che emanano energie quando non addirittura guariscono. Il problema è che a volte funzionano, non sono fake, ma la matrice puzza spesso di zolfo anche se questo è non si dice, perché chiamare satana col suo nome significherebbe chiamare col suo nome anche quel Dio che il padre della menzogna vuole combattere facendo credere che non esista. Invece esiste, ed è l'alternativa reale, luminosa e vera che il nostro cuore cerca. E sì, può anche guarire. Perché cercare altrove?
2 OTT 2024 · VIDEO IRONICO: Lo Stato, il tuo socio nascosto ➜ https://www.youtube.com/watch?v=AcKgPI2HMSw&list=PLolpIV2TSebVSarVSJS-Gy5hJo3_40bhI
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7938
QUANDO E' LECITO EVADERE LE TASSE?
Secondo San Tommaso è lecito disobbedire a leggi dannose ed è doveroso se sono immorali
di Don Stefano Bimbi
Un artigiano aveva completato dei lavori nella casa di un uomo che insegnava catechismo in parrocchia. Aveva chiesto al cliente se preferisse pagare senza fattura in modo da potergli fare uno sconto, ma la risposta fu che non esistono solo i peccati di natura sessuale, ma anche quelli legati alla violazione delle norme fiscali. Il catechista era convinto di aver fatto il proprio dovere di cristiano. Ma chi aveva ragione: l'artigiano o il catechista?
Prima di affrontare direttamente il dilemma, è necessario distinguere tra due tipi di leggi: quelle naturali e quelle positive. Le prime sono insite nella natura umana, cioè scritte da Dio nel cuore di ogni uomo, credente o non credente che sia. Le troviamo riassunte nei dieci comandamenti e sono valide per tutti gli uomini. Rappresentano le fondamenta della convivenza civile, senza le quali si cadrebbe nella legge del più forte. Tuttavia, le leggi naturali forniscono solo linee guida generali, senza regolamentare dettagliatamente le questioni pratiche. Ad esempio, è ovvio che per utilizzare veicoli nelle strade occorre una regolamentazione, altrimenti si violerebbe il principio del "non uccidere". La legge naturale non prescrive se bisogna usare la corsia di destra o di sinistra, arrestarsi al semaforo quando è rosso o verde. Questo è compito della legge positiva, ossia posta dall'autorità civile, per garantire nella pratica i principi della legge naturale. Di conseguenza, gli individui non sono obbligati sotto pena di peccato a rispettare solo la legge naturale, ma anche quella positiva, altrimenti regnerebbe il caos. Questo perché ogni forma di autorità deriva da Dio e pertanto merita rispetto. Come afferma san Paolo: «Infatti non c'è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio» (Rm 13, 1b-2a).
Ma siamo sempre tenuti ad obbedire alla legge? Alla legge naturale, sì. Non si può mai uccidere un innocente, ad esempio un bambino concepito, nemmeno se la mamma è stata stuprata o se il bambino presenta malformazioni. Invece per quanto riguarda le leggi positive, dipende. Quando Hitler ordinò l'olocausto degli ebrei, le sue leggi erano state promulgate in modo legittimo, da un parlamento democraticamente eletto. Tuttavia, ciò non significa che le sue leggi dovessero essere rispettate in quanto contrarie alla legge naturale. Stessa cosa vale per le leggi attuali sull'aborto. Risulta dunque evidente che l'autorità civile deve essere rispettata, ma non in ogni caso.
QUANDO SI PUÒ VIOLARE UNA NORMA GIURIDICA?
Esaminiamo i due casi in cui è lecito violare una legge positiva, secondo gli insegnamenti di san Tommaso d'Aquino.
Il primo caso riguarda le leggi positive emanate dall'autorità civile che sono contrarie alla legge morale naturale, alla legge divina o a quella ecclesiastica (come, ad esempio, se uno Stato imponesse il divieto di partecipare alla Messa la domenica). In questo caso non si deve obbedire ad esse. Poiché lo Stato è subordinato sia a Dio che alla Chiesa, non è lecito disobbedire all'ordine di un superiore per seguire quello di un inferiore. Nei casi in cui vi sia conflitto tra la legge dello Stato e quella naturale (o divina o ecclesiastica), la legge statale non solo perde la sua forza vincolante, ma è addirittura obbligatorio trasgredirla. Se uno Stato costringesse i medici a prescrivere contraccettivi o a praticare aborti, essi non solo avrebbero la facoltà, ma il dovere morale di violare tali leggi. Chi non lo facesse commetterebbe peccato.
Se adesso è chiaro che bisogna disobbedire all'autorità quando impartisce comandi ingiusti, meno diffusa è la consapevolezza che esiste un'altra categoria di leggi che è lecito disobbedire senza incorrere nel peccato. Si tratta delle norme dannose. Rientrano in questa categoria tutte quelle norme che non perseguono il fine della legge positiva, che è il bene comune, imponendo ai sudditi oneri eccessivi o non necessari. San Tommaso afferma che queste norme sono piuttosto violenze che leggi e quindi si ha il diritto alla legittima difesa nei confronti di esse. Anche lo Stato può essere, e a volte lo è, un aggressore contro cui difendersi. La differenza tra le norme immorali e quelle dannose è che nel primo caso è obbligatorio violarle, mentre nel secondo è lecito farlo, ma non è un obbligo. Ad esempio, è un'ingiustizia che lo Stato imponga la raccolta differenziata per lucrare su questo commercio oppure abbassi eccessivamente i limiti di velocità per scoraggiare l'uso delle auto. In questi casi, un cittadino, se ne ha la possibilità, è libero di obbedire o disobbedire, e in entrambi i casi non pecca. Peccato sarebbe invece per chi, potendo evadere tasse ingiuste, abbassasse invece il tenore di vita della propria famiglia.
DUNQUE COSA FARE OGGI?
In Italia la pressione fiscale supera il 60%. Di fatto, chi lavora fino a luglio lo fa gratuitamente per lo Stato, e solo da agosto in poi comincia a guadagnare per sé. È evidente a chiunque che si tratta di un vero e proprio saccheggio, perpetrato con il suadente slogan di "pagare tutti per pagare meno". L'idea che l'evasione fiscale sia il principale problema della società odierna e che vada perseguita con ogni mezzo, nonché con la riprovazione sociale, è una grossa menzogna, alimentata da decenni di tassazione esosa senza alcun cambiamento significativo, nonostante le promesse dei politici di abbassare le tasse. Per ridurre le imposte non serve perseguire gli evasori, ma è necessario ridurre drasticamente i servizi forniti dallo Stato. In Italia lo Stato interviene in ogni ambito: istruzione, sanità, infrastrutture, gestione dei rifiuti, sussidi per chi non lavora e per la maternità. Il problema è che lo Stato è un pessimo imprenditore, privo dell'incentivo costituito dalla competitività sul mercato. Questo è il motivo per cui i dipendenti pubblici sono spesso accusati di essere negligenti e svogliati. Questo è dovuto al fatto che i dipendenti pubblici rischiano meno essendo meno a rischio di perdere il lavoro rispetto a chi lavora nel settore privato. Ognuno di noi conosce casi di dipendenti pubblici che passano le giornate facendo poco o nulla, ma che continuano a ricevere lo stipendio, a differenza di chi, nel settore privato, deve realmente meritarselo. Ovviamente non si può generalizzare e ci sono dipendenti pubblici bravissimi che fanno il loro dovere, ma il problema è che ricevono lo stesso stipendio di chi invece non lavora con la stessa dedizione.
Infine bisogna notare che in passato ci sono stati Paesi con livelli di tassazione ancora più elevati di quelli attuali. Sono i Paesi comunisti, dove lo Stato si appropriava quasi del 100% della ricchezza dei cittadini per ridistribuirla a suo piacimento. Si diceva che questo sistema avrebbe garantito una maggiore giustizia sociale e così "eliminare la povertà" (anche questo un ricorrente slogan di oggi). Qual è stato il risultato? Gli stati comunisti erano caratterizzati da povertà diffusa. Se tutto appartiene allo Stato, perché impegnarsi per produrre di più visto che la ricchezza verrà redistribuita a chi non si impegna altrettanto? Inoltre, per rendere i cittadini tutti uguali, si privano della libertà. Non si può essere contemporaneamente liberi e uguali. Liberté ed égalité erano l'utopia rivoluzionaria. O scegli di rispettare la libertà e quindi ci sarà di conseguenza diseguaglianza, oppure l'unica alternativa è privare della libertà per costringere una forzata ed innaturale uguaglianza.
RIPARTIRE DALLA SUSSIDIARIETÀ
Dovremmo a questo punto renderci conto che con un prelievo fiscale del 60% siamo un Paese che ha applicato l'ideologia comunista, magari senza che i cittadini se ne siano accorti in quanto non ci sono stati espropri forzati brutali. I moralisti che seguono la dottrina di San Tommaso ritengono che un'equa tassazione dovrebbe essere intorno al 10-15%. Se lo Stato prelevasse solo questa percentuale del reddito dei cittadini potrebbe limitarsi a fornire servizi essenziali come difesa dei confini e ordine pubblico, mentre alla società civile sarebbe restituita la gestione di scuole e strutture sanitarie, come avveniva nel medioevo quando scuole e ospedali nascevano, non a caso, per l'iniziativa dei cristiani e con l'aiuto della Chiesa nel rispetto di quel principio di dottrina sociale della Chiesa oggi così dimenticato che è la sussidiarietà: «Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare» (Quadragesimo anno, Papa Pio XI, 15 maggio 1931).
In conclusione, applicando questi principi si rilancerebbe l'iniziativa della società civile. Ad esempio i genitori sarebbero stimolati ad occuparsi dell'educazione dei propri figli costituendo scuole parentali anche grazie alle risorse economiche che una giusta tassazione lascerebbe nelle loro tasche. Si avrebbe anche la conseguenza che i disoccupati non avrebbero diritto a sussidi provenienti dai soldi di chi lavora, ma dovrebbero cercarsi un lavoro o, se anziani, basarsi sui risparmi di quando il lavoro ce l'avevano. Questo stimolerebbe anche il rilancio della famiglia per farsi carico di chi non fosse a
L'etica ci aiuta a comprendere la distinzione tra bene e male in modo da fare buon uso della libertà
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