Claudio Ambrosini "Ma la scuola non insegna a scrivere"

3 feb 2018 · 26 min. 11 sec.
Claudio Ambrosini "Ma la scuola non insegna a scrivere"
Descrizione

Claudio Ambrosini terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva. Lavora a Milano presso il Centro Ricerca e terapia psicomotoria (Rtp). da un articolo del Corriere della Sera 30.01.18 Smartphone in...

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Claudio Ambrosini
terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva.
Lavora a Milano presso il Centro Ricerca e terapia psicomotoria (Rtp).

da un articolo del Corriere della Sera 30.01.18

Smartphone in classe
Ma la scuola non insegna a scrivere
Nella Primaria manca una programmazione didattica adeguata. Il corsivo cede
a stampatello e smartphone, con gravi ricadute sui processi di apprendimento




Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, di recente ha pubblicato sul «Corriere della Sera» un articolo dal titolo La scuola maltratta l’italiano. L’articolo si muove dalla considerazione che gli studenti nelle fasi avanzate del loro percorso formativo evidenziano una «...difficoltà a comprendere con buone capacità il linguaggio complesso della lingua italiana nella sua forma più strutturata, prima che nelle sue specificità settoriali... assente una cognizione scientifica del ruolo che ha la lingua prima nello sviluppo generale cognitivo del bambino».
La lingua prima, dichiara Sabatini, è alimento per il cervello la cui funzione è quella di «conoscere nella maniera più ravvicinata e stabile il mondo: le cose e i fenomeni, e sviluppare su di essi i ragionamenti, da quelli elementari a quelli più complessi, che si sono formati in tutti i campi del sapere, specialmente attraverso la scrittura… la quale… nella scuola primaria “modernizzata” viene insegnata in maniera sempre più approssimativa, per la mancata considerazione del complicato processo cerebrale che consente il suo apprendimento, attraverso l’attivazione, a fini linguistici, di un nuovo canale sensoriale, la vista, in aggiunta all’udito, con l’apporto fondamentale delle operazioni della mano».


Pochi giorni dopo, sempre sul «Corriere», Giovanni Belardelli in Smartphone in classe. Deriva da contrastare discute sull’insediamento di una commissione da parte del ministro Valeria Fedeli sull’uso degli smartphone in classe. Teme, Belardelli, che «il titolare della Pubblica istruzione — ma anche… il nostro intero ceto politico — abbiano smarrito l’idea di quali dovrebbero essere i compiti e la funzione della scuola. Il punto non sta, evidentemente, nel fatto che la Rete rappresenta una fonte di informazioni ormai irrinunciabili, ma nella mancata consapevolezza che il processo di apprendimento è una cosa diversa, che non può essere sostituita dal ricorso a Internet». Un’ulteriore conseguenza negativa, prosegue Belardelli, non dello Smartphone in sé, «ma della mitizzazione della sua funzione didattica» ricade sulla scrittura corsiva, in via di estinzione nonostante «pedagogisti e neuroscienziati osservano che la scrittura a mano, a differenza della scrittura su tastiera, coinvolge e mette in relazione più parti del cervello, stimola la memoria, aiuta a sviluppare le capacità percettive e di organizzazione del pensiero».
Eccoci dunque alla scrittura corsiva per la quale, data la mia professione ultradecennale di terapista della neuro e psicomotricità, ho un interesse personale e professionale essendo quotidianamente a contatto con bambini «disgrafici» i quali, così come coloro appesantiti dal Disturbo specifico di apprendimento, sono aumentati progressivamente e considerevolmente con il nuovo millennio.
Sia Sabatini che Belardelli sollevano, a pochi giorni di distanza, la stessa questione, scrittura corsiva e sua funzione attorno alla quale pongo alcune riflessioni.
Sgombriamo immediatamente il campo dagli equivoci: la scrittura corsiva intesa unicamente nella sua funzione esecutivo-motoria non è uno strumento del pensiero è essa stessa, nella sua fase di apprendimento, pensiero. Non scomodo qui i lavori neuroscientifici sul rapporto azione-cervello, piuttosto invito a riflettere sulle modalità e il tempo necessario a costruire il grafema in rapporto sia ai processi organizzativo-motori, sia alla loro contemporaneità nei processi di significazione della singola lettera e della successiva fusione sillabica quando il bambino costruisce i primi legami grafo-motori tra consonante e vocale pa, ta, ma, ecc. Il dito sulla tastiera annulla questo processo e può essere che ne favorisca di altri, ma allo stato attuale ciò non è ancora avvenuto o non si è ancora stati in grado di verificarlo.
La realtà scolastica ci pone a confronto con una grande quantità di bambini certificati come Dsa (Disturbo specifico di apprendimento) e Bes (Bisogni educativi speciali). Le ragioni sono diverse e non tutte riconducibili alla scuola, ma è indubbio che sono completamente assenti linee guida del ministero dell’Istruzione sugli strumenti necessari e indispensabili affinché gli scolari della scuola primaria apprendano in funzione della costruzioni delle basi, linguaggio e movimento, su cui si costruirà il sapere futuro.
Non essendo un logopedista non entro in merito al linguaggio, ma esprimo la più evidente mancanza di programmazione nell’insegnamento della scrittura: nella stragrande maggioranza delle situazioni si insegnano contemporaneamente a inizio del percorso scolastico primario i caratteri stampato, maiuscolo, minuscolo, corsivo e talvolta si introduce anche il corsivo maiuscolo. Si prosegue poi, in molti casi, nel lasciare «libero» il bambino di usare quello che vuole. È evidente a tutti la confusione in cui può trovarsi il bambino, quello abile, forse, ne uscirà indenne, quello più piccolo (vi sono bambini che accedono alla scuola a 6 anni non ancora compiuti) o quello con debolezze nell’ambito motorio ne verrà sicuramente penalizzato.
A fine del primo ciclo, cioè a fine secondaria di primo grado, ecco che vengono dichiarati disgrafici e lo sono indubbiamente, ma alcuni o molti di loro, potrebbero esserlo proprio per una assenza di una didattica corretta. Si ritiene, allora, che il passaggio automatico allo stampato maiuscolo o alla tastiera risolva la questione dimenticando che il tratto dello stampato maiuscolo e ancor più quello del minuscolo, completamente inutile anche per l’apprendimento della lettura, complicano la dimensione motoria e spaziale dello scrivere in quanto il tratto deve essere continuamente interrotto. I bambini disgrafici nel corsivo, spesso e non tutti, lo sono anche con gli altri caratteri, nel senso che la scrittura risulta illeggibile (i test usati in Italia valutano la scrittura corsiva e non quella in stampatello). Inoltre l’atto grafico si estende dal quaderno di italiano a quello a quadretti di matematica dove il problema, mancando i riferimenti spaziali del rigo, si complica ulteriormente.
Altri sarebbero gli argomenti da affrontare, quello visuo-spaziale e quello dell’uso dello strumento che porterebbe ancor più al centro del problema la questione motoria dello scrivere, ma mi avvio a concludere dichiarando che la scrittura corsiva, perfettamente funzionale ai movimenti fluidi e curvilinei umani, non così gli altri caratteri segmentati e i prevalenza rettilinei, è invece con grande probabilità destinata a soccombere, a sparire sotto il dominio della tecnica. Se così è sarebbe opportuno che il passaggio, già in atto, venisse calibrato in modo tale che a soccombere fosse solo la scrittura corsiva e non il bambino, anche questo, purtroppo, già in atto, ma credo sarebbe più utile per il nostro Paese che organismi ministeriali, insegnanti, terapisti, medici, psicologi e neuroscienziati riflettessero con attenzione sul rapporto scrittura corsiva/apprendimento/sviluppo del bambino senza assoggettarsi passivamente al dominio della tecnica che, come afferma Umberto Galimberti negli stessi giorni su «D» de «la Repubblica», ha prodotto nell’individuo un secondo inconscio «che potremmo chiamare tecnologico, con riferimento alla razionalità della tecnica che prevede il conseguimento del massimo degli scopi con il minimo impiego di mezzi».
Facciamo, quindi, attenzione che anche lo sviluppo infantile non divenga funzionale alla tecnica.
Potenzialità e rischi del cellulare in classe.



Claudio Ambrosini (Milano, 1950) è terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva. Lavora a Milano presso il Centro Ricerca e terapia psicomotoria (Rtp) di cui è socio fondatore. Svolge attività di formazione e terapia con bambini con disturbi della coordinazione motoria e disprassie, disgrafie, disturbi non verbali. Professore a contratto all’Università di Milano, ha ideato progetti per lo sviluppo delle autonomie per adulti con sindrome di Down.


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