Chi moriva era morto, e il lavoro continuava da «Il mondo dei vinti» di Nuto Revelli
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Descrizione
Il dialogo con la gente contadina di Revelli incomincia con la primavera del 1941. Testimonianze di cultura contadina, la pianura, la collina, la montagna, le Langhe: la fame, il lavoro...
mostra di piùTestimonianze di cultura contadina, la pianura, la collina, la montagna, le Langhe: la fame, il lavoro infantile, l'immigrazione, la convivenza tra partigiani e nazi fascisti.
E poi l'abbandono delle montagne, l'avvento di un nuovo mondo: l'industria, i grandi allevamenti, il turismo che figura il paesaggio, nei racconti dei 270 intervistati da Revelli.
La Collina: Testimonianze di vita contadina
Giovanni Allinio, detto Gianot, nato a San Michele di Cervasca, classe e 1895, contadino.
Appena ho avuto 13 anni allora giù dai Mansuè, giù in pianura a tagliare il grano.
Ne avrò fatto 20 campagne del grano.
Il lavoro?
Si lavorava da crepare, dalle cinque del mattino alle otto di sera, da quando il sole spuntava a quando il sole si nascondeva.
Tutte le sere avevamo l'infiammazione in mezzo alle chiappe, un male che ci faceva camminare con le gambe larghe.
Nel fazzoletto da naso mettevamo due o tre manciate di polvere presa dalle strade: andavamo al fosso, ci lavavamo il culo, ci asciugavamo un po', e poi giù giù la polvere in mezzo alle chiappe come se fosse il borotalco.
E l'indomani stavamo benissimo, ma ogni sera era la stessa storia.
Un giorno trattiamo cinque giornate.
A Bota non si scherzava, si doveva lavorare tutto il giorno a tagliare e poi la notte a legare i piccoli fasci di spighe segati dai mietitori, unendo questi fasci si ottenevano i covoni.
Cerchiamo in piazza due garzoni, incominciamo.
Ma dopo 5 o 6 ore, saranno state le undici, uno dei nostri garzoni, il più giovane, si sente male. Cade lungo e disteso, tira calci, alla schiuma la bocca, e quasi muore.
Un po' di acqua sulla faccia, poi il padrone del ciabot lo accompagna alla stazione, lo mette sul treno che se ne torni a casa, a Bernezzo.
Arriva il cognato del padrone, un uomo grosso, a darci una mano.Lavora tre o quattro ore, poi cade fulminato, la faccia tutta nera come un cappello, nera come una scarpa, morto. Io grido, chiamo soccorso.
Arrivano con un birroccio, il birroccio parte con il morto corre corre attraverso i campi ma non c'è rimedio.
L'indomani sento la campana che suona a morto e dico a Miciu: «Miciu, un altro ...».
Chi moriva era morto, non se ne parlava più. E il lavoro continuava.
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Informazioni
Autore | Giuseppe Cocco |
Organizzazione | Giuseppe Cocco |
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