25 - Meandri perduti - «Morimondo» di Paolo Rumiz

19 gen 2024 · 9 min. 30 sec.
25 - Meandri perduti - «Morimondo» di Paolo Rumiz
Descrizione

La mappa al 100 mila diceva che dopo il Tanaro sarebbe iniziato un letto più largo e ingovernabile, e che qui meandri fossili si sarebbero fatti ancora più visibili con...

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La mappa al 100 mila diceva che dopo il Tanaro sarebbe iniziato un letto più largo e ingovernabile, e che qui meandri fossili si sarebbero fatti ancora più visibili con la confluenza del Ticino, il più potente dei fiumi del nord, e poi verso l'isola Serafini, alle porte di Cremona.
Ecco dunque: l'ampiezza del Po non era negli ottanta metri del suo corso e nemmeno nei trecento del suo letto di ghiaie, ma i sette-otto chilometri tra quelle sinuose, che a nord e sud chiudevano il corso del fiume con una linea armonica e perfetta.
Nessuna mano di architetto del paesaggio o di giardiniere avrebbe potuto disegnarla meglio.
Quell'ampia zona inondabile era la garanzia della naturalità del fiume: su quell’autostrada larga come tre aeroporti, il Po correva libero e decollava sfolgorante verso il sole in ascesa.
La potenza di quella pazzesca macchina d'acqua non poteva essere capita né da una barca, né da un ponte e nemmeno da un argine, ma proprio da quella linea di paesini sconosciuti e prudentemente arroccati.
Qui dovrei dirvi la storia del fiume, e per farlo, scavare in quegli strati di ghiaie fin dove Persefone spinge e comanda gli oscuri movimenti della terra, frugare nelle enciclopedie, nelle mappe di oggi e i manoscritti di antichi abbazie.
Dovrei, se questo fosse un viaggio per capire, ma se la storia è una stratificazione coerente, regolare, fatta per essere consumata in silenzio da disciplinati amanuensi nel chiuso di polverose biblioteche, la leggenda è altra cosa: è nata per essere evocata, ripetuta mille volte, passata in segreto di bocca in bocca, declamata da nonno a nipote senza mai essere scritta.
È la leggenda che qui mi interessa, quella che sento ascoltando il canto del fiume tra gli argini o le voci di coloro che vi si affacciano.
Il fiume andava, era lì davanti ai miei occhi, carico di forza battesimale e rigeneratrice, in mezzo a tutto si faceva carico dei nostri velini e della nostra imbecillità.
Era insieme pazienza e furia vendicatrice.
Rinasceva dopo ogni magra e ogni catastrofica piena.
Sui suoi argini sentivo ancora fisarmoniche e vedevo nonni prendere i nipoti per mano e dir loro: ecco, questo è il tuo fiume.
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Autore Giuseppe Cocco
Organizzazione Giuseppe Cocco
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