14. La signorina a vapore: Firenze - Siena - Monte Amiata e ritorno da «L'Italia in seconda classe» di Paolo Rumiz
15 ott 2023 ·
10 min. 22 sec.
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Descrizione
Firenze-Deposito, notte fonda. Passiamo i binari nella pioggia come curdi in fuga. Siamo anche vestiti da clandestini, con roba acquistata da vucumprà. Il mio compagno è in calore, vuole la...
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Firenze-Deposito, notte fonda.
Passiamo i binari nella pioggia come curdi in fuga.
Siamo anche vestiti da clandestini, con roba acquistata da vucumprà.
Il mio compagno è in calore, vuole la nera 640, numero 148 di serie, che lo aspetto ansimando piano sotto la pioggia, come Lili Marlene accanto al lampione.
Albeggia, si passa davanti alla cabina-apparati, la torre di controllo delle Ferrovie.
Urlo nel vento umido a 740: com’è l’alba?
Lui: “Lattiginosa!.
E la locomotiva? “Corrusca e fumida!”
E il cuore? “Vola oltre l’ostacolo!”
Adesso si stantuffa bene, ma prendere appunti in bilico fra la locomotiva che ti sbatte e il tender che si agita è una scommessa: dopo cinque minuti il mio taccuino è un impasto di pioggia e fuliggine.
E siamo già a Prato, dove ci si aggancia a un convoglio di gitanti su sei vagoni Belle Epoque con sedili di legno.
Una scampagnata romantica, come ad Arbatax sui monti della Sardegna.
Ma che delusione.
Siamo nel paesaggio più straordinariamente italiano d’Italia e l’altoparlante, invece di spiegarcelo, ci propina un’atroce musica americana anni cinquanta.
Risultato, i gitanti chiacchierano, i bambini digitano sui telefonini, altri fanno merenda, tutti sono indifferenti al paesaggio.
Ecco, l’Italia è anche questo.Gente simpatica e bambini grassi che viaggiano senza sapere dove sono, a bordo di un treno caciarone, dove la musica è scritta da altri.
Ma che posso farci, this land is my land.Nel bene e nel male, è la mia patria.
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Passiamo i binari nella pioggia come curdi in fuga.
Siamo anche vestiti da clandestini, con roba acquistata da vucumprà.
Il mio compagno è in calore, vuole la nera 640, numero 148 di serie, che lo aspetto ansimando piano sotto la pioggia, come Lili Marlene accanto al lampione.
Albeggia, si passa davanti alla cabina-apparati, la torre di controllo delle Ferrovie.
Urlo nel vento umido a 740: com’è l’alba?
Lui: “Lattiginosa!.
E la locomotiva? “Corrusca e fumida!”
E il cuore? “Vola oltre l’ostacolo!”
Adesso si stantuffa bene, ma prendere appunti in bilico fra la locomotiva che ti sbatte e il tender che si agita è una scommessa: dopo cinque minuti il mio taccuino è un impasto di pioggia e fuliggine.
E siamo già a Prato, dove ci si aggancia a un convoglio di gitanti su sei vagoni Belle Epoque con sedili di legno.
Una scampagnata romantica, come ad Arbatax sui monti della Sardegna.
Ma che delusione.
Siamo nel paesaggio più straordinariamente italiano d’Italia e l’altoparlante, invece di spiegarcelo, ci propina un’atroce musica americana anni cinquanta.
Risultato, i gitanti chiacchierano, i bambini digitano sui telefonini, altri fanno merenda, tutti sono indifferenti al paesaggio.
Ecco, l’Italia è anche questo.Gente simpatica e bambini grassi che viaggiano senza sapere dove sono, a bordo di un treno caciarone, dove la musica è scritta da altri.
Ma che posso farci, this land is my land.Nel bene e nel male, è la mia patria.
Informazioni
| Autore | Giuseppe Cocco |
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