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Il professore Tommaso Scandroglio, autore di diversi libri sulla legge naturale, sulla morale e sulla bioetica, sviluppa riflessioni interessanti sui temi più caldi del dibattito contemporaneo

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29 APR 2025 · VIDEO: Un uomo non è donna ➜ https://m.youtube.com/watch?v=4HTKUcyVjgA
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8147
I SESSI SONO DUE, LA CORTE SUPREMA BRITANNICA RICONOSCE L'OVVIO di Tommaso Scandroglio
In principio ci fu Donald Trump: «La politica degli Stati Uniti è quella di riconoscere due sessi, maschile e femminile». Questo sentenziò in un ordine esecutivo del gennaio scorso. Poi ieri è arrivata anche una sentenza della Corte Suprema del Regno Unito: «Il concetto di sesso è binario: una persona è o donna o uomo».
La questione riguardava la corretta interpretazione di una legge, l'Equality Act del 2010, norma che tutela, da condotte discriminatorie, diverse categorie di persone socialmente fragili. Tra queste categorie anche le donne e i transessuali. Nel giudizio incardinatosi davanti ai giudici, da una parte c'era l'associazione femminista For Women Scotland e dall'altra il governo scozzese. Le femministe, in buona sostanza, sostenevano che un transessuale non può fregiarsi del titolo di "donna". Su fronte opposto il governo, che considerava i transessuali donne a tutti gli effetti. La Corte Suprema ha dato ragione alle femministe.
«Secondo la decisione unanime di questa corte - ha letto il giudice relatore e vicepresidente, lord Patrick Hodge - i termini donna e sesso dell'Equality Act del 2010 si riferiscono alla donna biologica e al sesso biologico». Insomma il termine "donna" in ambito legale coincide con il concetto di "donna" in ambito biologico. E dunque per definire una donna sotto la prospettiva giuridica occorre far riferimento al solo sesso biologico e non alla cosiddetta identità di genere. La realtà vince sulla percezione, il fatto sulla volontà, la materialità sul sogno o sull'incubo. La verità sull'ideologia.
LA CORTE NON VA A FONDO E CADE IN CONTRADDIZIONE
Sotto il profilo pratico ciò significa che gli spazi riservati alle donne come bagni, spogliatoi, carceri femminili saranno interdetti ai transessuali. Parimenti alcuni servizi sociali, ad esempio i gruppi di sostegno per donne abusate, o medici. In modo analogo alcune attività, vedi ad esempio la partecipazione a competizioni sportive riservate alle donne. Già con l'Equality Act le donne potevano godere di propri spazi «per ragioni di privacy, decenza, per prevenire traumi o per garantire salute e sicurezza». Ora il divieto di intromissione nella sfera femminile da parte dei trans diviene più stringente, ma non totale. Le persone e gli enti, infatti, dovranno dimostrare che escludere le persone trans da servizi, luoghi, opportunità, attività, eccetera, è una misura proporzionata a tutelare le donne.
Però, come sempre accade quando non si va alla radice del problema - e la radice del problema è dichiarare che la transessualità è condizione disordinata - i cortocircuiti sono inevitabili. La Corte infatti si è premurata di riaffermare che le persone transessuali non devono comunque essere discriminate, perché sempre categoria tutelata dall'Equality Act. E qui sta la contraddizione in termini, proprio perché da una parte i giudici stanno dicendo ad un uomo che si sente donna che non è donna e su altro fronte vietano che venga discriminato. Ma la persona transessuale che si sente donna giudica discriminatorio soprattutto il fatto di non essere considerata donna. Se al transessuale non gli riconosci di appartenere al sesso femminile, per lui crolla tutto. Le critiche al transessualismo riguardano in primis proprio il transessualismo, ossia l'irragionevolezza di considerarsi donna quando si è invece un uomo. Dunque non si comprende quale sia ora, dopo la sentenza della Corte, lo spazio rimasto in cui il transessuale possa far valere il suo diritto di non essere discriminato, dato che gli è stata riconosciuta ufficialmente la cittadinanza nel regno di Utopia, lo status di rifugiato ideologico nell'illusione.
ALMENO SI INIZIA A TORNARE AL REALE
Ma noi oggi vogliamo tralasciare questi controsensi giuridici e vogliamo celebrare il principio dichiarato dalla Corte: una donna è una donna e un uomo è un uomo. La Corte Suprema britannica ha scarcerato l'uomo e la donna perché il fatto di essere uomini e donne non costituisce reato. Il principio di non contraddizione è stato riconosciuto innocente, non è lui il colpevole di quel senso di discriminazione, di non adeguatezza, di esclusione che sperimentano coloro che cercano invano nel mondo femminile la propria identità maschile: i colpevoli sono i prestigiatori della realtà, gli sfruttatori dell'altrui sofferenza, gli approfittatori seriali di menti e cuori fragili perché provati dalla vita.
Sono tempi questi in cui l'evidenza deve essere sancita per sentenza, l'ovvietà per legge come è accaduto in Ungheria recentemente, dove la stessa Costituzione è stata obbligata a dirci che i sessi sono due. I giudici britannici hanno solennemente non deciso, ma riconosciuto che un cerchio è tondo, che il sopra sta più in alto del sotto, che gli opposti non possono essere identici, che il domani non è l'oggi, che la parte non può essere superiore al totale. Onore a loro per averci risvegliato da un incantesimo malefico che guastava con allucinazioni le nostre facoltà intellettive facendoci scambiare gli uomini per donne e viceversa, che ci spingeva a credere di vivere in un mondo in cui si poteva cambiare sesso come si cambia il colore dei capelli. I giudici hanno condannato i militanti Lgbt per appropriazione indebita, perché hanno usato del sesso biologico in modo improprio, come se fosse un accessorio, un ornamento di poco conto, occultabile a proprio piacere e gusto.
Trump, l'Ungheria e ora la Corte Suprema del Regno Unito. Forse si sta tornando al reale, all'ordine, alla natura delle cose. Forse.
29 APR 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8134
UNA SOCIETA' DI PADRI SENZA DIO, ECCO LA SERIE ADOLESCENCE di Tommaso Scandroglio
È un dramma e non è un giallo. 66,3 milioni di visualizzazioni in 11 giorni. Si tratta di Adolescence, serie tv britannica in onda sulla piattaforma Netflix. Il tredicenne Jamie Miller viene accusato di aver ucciso la coetanea Katie Leonard. Dieci minuti prima che si chiuda la prima puntata scopriamo che è vero: sì, è stato lui. Tutto qui. Oltre alla banalità del male a volte esiste anche la brevità del male che però è capace di riverberare i suoi effetti in profondità e a lungo.
Gli sceneggiatori Jack Thorne e Stephen Graham, che è anche il convincente interprete del padre di Jamie, hanno usato una vicenda iperbolica - un ragazzino che uccide una ragazzina - come lente d'ingrandimento per scrutare il mondo dell'adolescenza e il rapporto con la figura paterna.
Il cuore di questa serie è comprendere perché i ragazzi siano chiusi, violenti, incomprensibili, assenti, distanti e ribelli, insomma perché siano adolescenti. Thorne spiega al quotidiano The Guardian che Jamie «è il prodotto di genitori che non hanno visto, una scuola a cui non è importato nulla e un cervello che non l'ha fermato», oltre ai condizionamenti sociali, in specie Internet.
Partiamo dai genitori. L'idea dei creatori di Adolescence non è quella di gettare la croce addosso a questi. Il padre e la madre di Jamie sono persone equilibrate, prive di vizi, amorevoli con i figli, presenti, solide nel loro carattere. Così anche la sorella maggiore di Jamie. Quest'ultimo non ha subito abusi o traumi. Una famiglia, come si dice, normale. Ma, come ha accennato Thorne, non si sono accorti che in Jamie stava crescendo la mala pianta dell'odio, una disattenzione però non interamente a loro addebitabile: questi adolescenti sono indecifrabili come i codici che usano i ragazzi sui social per comunicare. È un'altra lingua, rivelatrice di un'altra cultura, di un altro mondo.
UNA SERIE SUGLI ADOLESCENTI E SUI PADRI
Adolescence è una serie sugli adolescenti e sui padri. Non sulle madri. Perché? Perché Jamie è maschio, anzi è un piccolo uomo mancato. Nelle quattro puntate - tutte girate in un vorticoso e vertiginoso unico piano sequenza - vi sono due figure paterne, entrambe positive, entrambi sui 50 anni: Eddie, il padre di Jamie, e Luke Bascombe, il detective incaricato del caso nonché padre di Adam che frequenta la stessa scuola di Jamie. Eddie e Luke sono virili, muscolosi, forti nell'aspetto e nelle scelte, decisi e risoluti. Come sono invece Jamie e Adam? Gracili (Jamie pare che abbia 10 anni), deboli (quando Jamie viene arrestato si urina nei pantaloni), esclusi dai compagni, bullizzati. Jamie, parlando con la psicologa, rivela che il padre si girava dall'altra parte quando, giocando a calcio, dava prova della propria inadeguatezza con il pallone. E inadeguatezza è la parola chiave. Jamie sa di essere la brutta copia di suo padre. Attenzione al particolare: Eddie ha conosciuto la madre di Jamie quando aveva 13 anni, la stessa età di Jamie quando ha ucciso la compagna. Jamie cerca l'approvazione del padre, il suo affetto, la sua stima e questi non delude, eppure nel confronto accesissimo e vibrante con la psicologa Jamie affranto ammette: «Sono brutto, il più brutto», pur non essendolo. Qui è la chiave di interpretazione più profonda di questa pellicola: in quel "brutto" c'è la distanza che lo separa dal modello paterno e dunque quel "brutto" certifica la mancanza di accettazione di sé, il rifiuto di sé, non tanto della propria identità, ma della percezione della stessa. Da qui l'odio, profondo, radicale, assoluto, accecante e devastante per sé e per gli altri, i compagni "riusciti" e le ragazze.
LA NON ACCETTAZIONE DI SÉ STESSO
L'ammissione di non accettazione di sé stesso ci conduce all'analisi di un altro fattore che ha armato di un coltello la giovanissima mano di Jamie: il contesto sociale. Soprattutto Internet. Adam spiega al padre detective il movente dell'omicidio. Jamie è considerato dai suoi compagni un "incel", termine che sta per "involontariamente celibe": maschi che non hanno relazioni né romantiche né sessuali e non sono capaci di averle. Gli incel si ritrovano online e sono fautori di un'ideologia chiamata "Red Pill". Il riferimento è alla famosa pillola rossa del film Matrix, che simboleggia il risveglio, il prendere coscienza della realtà e della propria condizione. La Red Pill degli incel insegna che vi sarebbero fattori genetici, evolutivi e ambientali che fanno sì che - come spiega sempre Adam al padre - l'80% delle donne siano attratte dal 20% degli uomini Chad, ossia uomini avvenenti, brillanti, sicuri di sé, virili, che ce l'hanno fatta (principio che si rifà in qualche modo a quello di Pareto in cui l'80% degli effetti proviene dal 20% delle cause).
Questa rappresentazione distorta della realtà porta alla misoginia e alla misandria: gli incel odiano le donne e gli uomini Chad. La mancanza di autostima di Jamie ha intercettato sul web questa comunità di incel, chiamata manosphere: siti, blog, forum, chat in cui gli incel più si commiserano più s'incattiviscono inneggiando alla violenza. Una reazione irragionevole alla cultura woke che vede il maschio come essere tossico e alla cultura femminista che ha ridotto il maschio ad un ruolo comprimario, perché debole e sentimentale. Il cerino cade sulla benzina quando Kate prende in giro pubblicamente, su Instagram, Jamie dicendogli che è un incel. Subito dopo il ragazzo la pedina e l'accoltella per ben sette volte.
Lo sceneggiatore Thorne così commenta: «lui viene da un ambiente buono, come me; è un ragazzo intelligente, come lo ero io. La differenza fondamentale tra noi? Lui aveva Internet». L'altro sceneggiatore, Stephen Graham, si spinge a dire che la serie «parla di un problema universale più grande, che è l'alienazione». Jamie vive in un mondo virtuale, dissociato dalla realtà, alienato dalla verità delle cose, delle relazioni, degli affetti. Il mondo artefatto di Internet ha sostituito quello reale e così il ragazzo crede veramente alle teorie della Red Pill e crede veramente di essere un fallito. Un fallito che però troverà redenzione quando, nell'ultima puntata, si dichiarerà colpevole: è finalmente l'accettazione della realtà, della sua responsabilità e dunque di sé stesso. L'ammissione di colpevolezza segna il passaggio dall'età adolescenziale a quella adulta.
SENZA DIO NON SI È PADRI
Thorne correttamente indica nella libertà uno dei motivi per cui Jamie ha ucciso. È un'affermazione contromano perché, così si predica, se un adolescente uccide la colpa in genere è della società o dei genitori. La serie invece non cerca alibi: Jamie ha voluto cercare alcuni contenuti sul web, ha voluto non opporsi a certe suggestioni, ha voluto frequentare certe amicizie (un suo amico gli fornirà il coltello), non ha voluto parlare con i genitori dei suoi problemi e infine ha pianificato e voluto la morte di Kate. Potete essere i migliori genitori sulla faccia della Terra ma esisterà sempre la variabile "libertà" che potrà compromettere ogni vostro sforzo. Adamo ed Eva avevano un Padre perfetto eppure...
Non sono tutte rose però per questa serie. La spina più acuminata è la mancanza di una soluzione a questo dramma, di una risoluzione al problema. Perfetta la diagnosi, manca la terapia. Uno studio del 2013 del Pew Research Center ci informa che i padri di una dozzina di anni fa dedicavano ai figli il triplo del tempo rispetto ai padri di sessanta anni fa. Ma qual è la qualità di questo tempo? Ossia: cosa trasmettono ai figli in tutto questo tempo? Eddie, lo abbiamo detto e lo ha confermato Jamie alla psicologa, è un padre attento e presente. Ma questa presenza da quali contenuti è caratterizzata? Probabilmente Eddie è uno dei migliori tra i peggiori. Vogliamo dire che ha dato ciò che ha potuto dare, ciò che ha ricevuto in quest'epoca di deserto e miseria culturale. Quest'uomo di 50 anni gli ha trasmesso la cultura della postmodernità, che è assolutista, ossia sganciata dalla storia (nessuna radice nel passato), sganciata dalla natura umana (nessuna legge morale), sganciata dalla trascendenza (nessun Dio). Non aveva altro da dargli e infatti la serie termina con queste ultime e amare parole del padre rivolte al peluche di Jamie: «Mi dispiace ragazzo. Avrei potuto fare meglio». Ma non sa nemmeno lui - e insieme a lui gli autori - cosa sia quel meglio, perché a lui sconosciuto. E se non lo sai, potrai essere anche il padre più amorevole e presente del mondo ma servirà a poco.
Allora la terapia, per nulla facile, è tornare a riconnettersi con la tradizione personale, familiare e culturale, con la realtà delle cose che rimanda ad una morale oggettiva e soprattutto con Dio. Perché senza Padre non si è padri.
29 APR 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8135
FECONDAZIONE ARTIFICIALE, DAL FIGLIO TRANS DI MUSK UNA VERITA' di Tommaso Scandroglio
Xavier Alexander Musk è figlio di Elon Musk. Nel 2022 decise di cambiare nome in Vivian Jenna Wilson perché si sentiva una ragazza. In un post su Threads critica la scelta del padre di farlo venire al mondo tramite la fecondazione artificiale sia perché si sente un prodotto acquistato sia perché il padre lo avrebbe selezionato tra gli altri embrioni a motivo del suo sesso maschile, sesso che lui avrebbe poi rifiutato. Ecco le parole di Xavier: «Il sesso che mi è stato assegnato alla nascita era una merce che è stata comprata e pagata. Quindi, quando ero femminile da bambino e poi sono diventato transgender, mi sono opposto al prodotto che veniva venduto. Quell'aspettativa di mascolinità contro cui ho dovuto ribellarmi per tutta la vita era una transazione monetaria. Una transazione monetaria. UNA TRANSAZIONE MONETARIA. Come c... può essere legale?».
Il giovane Xavier conferma che, come spesso accade, solo quando le condotte immorali ci toccano da vicino ne comprendiamo le storture. In secondo luogo, il figlio di Elon Musk giustamente si sente un prodotto, dato che è stato oggetto di una compravendita ed è stato selezionato in base al sesso. Come acquistare un'auto a seconda della marca o della cilindrata.
In terzo luogo, è interessante e insieme triste notare che il rifiuto del proprio sesso biologico potrebbe derivare anche e soprattutto dalla stessa tecnica di fecondazione extracorporea. Il rifiuto di sé - e il sesso biologico è aspetto identitario della persona - nasce dal rifiuto di come Xavier è venuto al mondo. La ferita inferta alla dignità di questo ragazzo non è stata superata e lui ha scelto un modo per sanare quella ferita che peggiorerà solo la sua condizione. Snodo cruciale è la sua frase: «Quell'aspettativa di mascolinità contro cui ho dovuto ribellarmi per tutta la vita era una transazione monetaria». Quanti ragazzi si ribellano alle aspettative dei genitori, le quali però nulla c'entrano con la loro identità, con la loro vocazione? Xavier si è sentito progettato, costruito a tavolino ben prima del concepimento e addirittura mercificato. Voluto non per sé, ma in quanto oggetto della soddisfazione dei genitori. Da qui il rifiuto radicale di quello Xavier programmato dal padre, per costruirne uno nuovo, tanto essenzialmente diverso dal precedente che avrebbe dovuto essere femmina. Da qui, poi, l'ovvia rottura con il padre.
E ora parliamo di lui, del Musk più famoso. Elon Musk non è un pro-vita, ma un pronatalista. Iniziate ad abituarvi a questo termine perché probabilmente diventerà sempre più diffuso a motivo del famigerato inverno demografico dell'Occidente. I pronatalisti sono a favore delle nascite e ad ogni costo. Insomma, per loro, il fine giustifica i mezzi. Questo particolare fa la differenza con i pro-life, i quali sono anche loro per l'incremento della natalità, ma non con qualsiasi mezzo.
Musk, da pronatalista, è a favore della fecondazione artificiale. Il padre di Tesla ha avuto 14 figli da 4 donne e almeno 5 di essi tramite fecondazione extracorporea. Musk però è un pronatalista impuro, non radicale; infatti è a favore dell'aborto, pratica che impedisce le nascite. Quando il Texas varò la famosa legge che impediva di abortire un bambino il cui cuore battesse, Musk, sicuramente ispirandosi a Stuart Mill, così commentò la notizia: «Credo nella massimizzazione della libertà individuale, a patto che non danneggi gli altri. Le posizioni estreme da entrambe le parti di questo dibattito sono perdenti». Peccato che l'aborto danneggi la libertà del nascituro, dato che lo uccide.
29 APR 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8150
FEMMINICIDIO, TRE CRITICITA' E UN SOSPETTO: IL POLITICALLY CORRECT di Tommaso Scandroglio
Un disegno di legge sul femminicidio è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 7 marzo scorso, alla vigilia della Giornata internazionale della donna. La bozza che il Governo ha fatto circolare così recita: «Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l'esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l'espressione della sua personalità, è punito con l'ergastolo. Fuori dei casi di cui al primo periodo, si applica l'articolo 575» del Codice penale, che prevede una pena non inferiore a 21 anni. Dunque, siamo di fronte ad un reato speciale: se l'omicidio viene commesso perseguendo alcune finalità la pena è certamente l'ergastolo. Qualora mancassero tali finalità la condotta regredisce a semplice omicidio, punibile solo eventualmente con l'ergastolo.
Questo reato autonomo presenta diverse criticità.
La prima riguarda il lato probatorio: i moti del foro interno per essere sanzionati devono appalesarsi in modo chiaro nel foro esterno. Tradotto, le malevoli intenzioni che muoverebbero l'omicida devono poi concretarsi in atti da cui è poi possibile risalire in modo inequivocabile alle medesime intenzioni. Ad esempio, secondo il Ddl, Tizio può scontare il carcere a vita per aver ucciso Caia perché la odiava in quanto donna. Occorrerebbero testi scritti, video, testimonianze che provassero non un generico odio di Tizio verso le donne, ma verso Caia in quanto donna. Molto difficile. Con il Ddl sul femminicidio si potrebbe rischiare allora di imbastire una processo alle intenzioni più supposte che provate.
Secondo inciampo: mancanza di tassatività della norma o indeterminatezza della fattispecie. Manca cioè la descrizione precisa delle condotte che potrebbero condurre il reo a scontare l'ergastolo. In altre parole, il cittadino deve conoscere in anticipo e con precisione quali atti confluiranno nel nuovo reato. Altrimenti la determinazione della fattispecie sarà in mano al libero giudizio dei giudici che è molto imprevedibile. Il problema, perciò, è la genericità di alcuni termini ed espressioni indicanti quelle motivazioni peculiari capaci di qualificare l'omicidio come femminicidio. Proviamo ad esemplificare per ogni finalità incriminatrice. La discriminazione verso la vittima in quanto donna. Tizio uccide Caia, sua collega di lavoro, per invidia: Caia ha avuto una promozione che Tizio pensava spettasse a lui. Facile far assorbire la motivazione riguardante l'invidia dalla motivazione "discriminazione in quanto donna", perché si potrebbe argomentare che chi invidia una donna per motivi professionali la discrimina. Ma lo stesso potrebbe avvenire per un uomo, ribattiamo noi.
L'ODIO HA I CONFINI SFUMATI
Passiamo all'odio verso la vittima in quanto donna. Cosa si intende per odio secondo il Ddl? Non è dato di saperlo. L'odio, al pari di tutti i sentimenti, ha i confini sfumati. Ma su quei confini il reo può giocarsi la "fine pena mai". Si correrebbe dunque il rischio che un giudice possa giudicare un certo atteggiamento anche solo antipatico dell'omicida verso la vittima come odio e un altro giudice invece avrebbe potuto giudicarlo penalmente irrilevante proprio perché ognuno interpreta il concetto di "odio" in modo soggettivo, non esistendo una definizione giuridica oggettiva e dunque vincolante per tutti.
Altra finalità dell'omicidio che potrebbe far qualificare quest'ultimo come femminicidio: la repressione dell'esercizio dei diritti e delle libertà della donna. In primo luogo, qual è la differenza per questo Ddl tra diritti e libertà? Non è dato saperlo. In secondo luogo: quali diritti e quali libertà configurano il reato di femminicidio? Pare che siano tutti, dato che non sono specificati. Dunque, posto che l'esegesi sia corretta, se, ad esempio, Tizio uccidesse Caia per motivi di eredità scatterebbe il reato di femminicidio.
Infine l'ultima finalità legata ad un omicidio di una donna che merita l'ergastolo sarebbe quella della repressione dell'espressione della sua personalità. Anche in questo caso la locuzione è così generica che può e forse deve confluire in essa qualsiasi manifestazione caratteriale. Dunque, qualsiasi omicidio di donna motivato dalla personalità della vittima diventerebbe femminicidio. Uccisa perché troppo socievole, troppo introversa, troppo spigliata, troppo brava nel lavoro, etc. Qualsiasi "troppo" meriterebbe l'ergastolo.
Se mettiamo insieme tutte queste motivazioni legittimanti l'ergastolo scopriamo che qualsiasi omicidio di donna potenzialmente sarebbe un femminicidio proprio perché le motivazioni che configurano il femminicidio sono così ad ampio spettro che sarebbe ben difficile sfuggire al suo raggio di applicazione.
DISCRIMINATORIO VERSO GLI UOMINI
Ma veniamo alla critica forse più rilevante a questo Ddl. Per articolarla ricorriamo ad un esempio: Tizio uccide Caia perché lo ha lasciato. Certamente ergastolo. A ruoli invertiti l'ergastolo è solo una eventualità. Dunque, questo Ddl è discriminatorio verso gli uomini e quindi viola l'art. 3 della Costituzione, il quale così recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso» etc. Il Ddl privilegia il sesso femminile in modo ingiustificato. Perché non esiste un'uguale norma che sanziona con l'ergastolo l'omicidio per le medesime motivazioni contenute nel Ddl? Dunque, la nostra critica non riguarda la pena dell'ergastolo per chi uccide una donna - ben venga - bensì la disparità di trattamento immotivata tra donne e uomini, quasi che le prime abbiano maggiore dignità rispetto ai secondi.
C'è ad aggiungere che il trattamento di favore verso le donne non riguarda solo il reato di omicidio. Infatti, il Ddl prevede delle aggravanti qualora le motivazioni presenti nel reato di femminicidio siano le medesime che portano a commettere quell'insieme di delitti compresi sotto la dizione "Codice rosso" a danno delle donne: maltrattamenti di familiari, minacce, revenge porn, stalking, violenza sessuale e lesioni permanenti al viso.
Il sospetto quindi che questo Ddl sia espressione del politicamente corretto in chiave femminista e doveroso ossequio alla direttiva UE n.1385/2024 sulla violenza sulle donne è dunque elevato.
Si obietterà che questo nuovo reato è motivato dalla situazione di vulnerabilità delle donne. E allora seguendo la stessa logica dovremmo avere altri reati speciali per altrettante categorie sociali fragili e vulnerabili: l'omicidio di anziani, disabili, disoccupati, extracomunitari, persone di colore, credenti, etc. compiuti per le stesse motivazioni presenti nel Ddl. In realtà il nostro ordinamento giuridico già tutela i reati a danno di queste categorie prevedendo le cosiddette aggravanti comuni, in specie per aver agito per motivi abietti e futili o per aver approfittato della condizione della persona in modo tale da aver ostacolato la difesa privata. Circostanze aggravanti che potrebbero essere applicate benissimo anche nel caso di omicidio di una donna in quanto donna.
IL NUMERO DEI FEMMINICIDI NON CALA
Un'altra obiezione potrebbe essere la seguente: le proporzioni del fenomeno in cui assistiamo all'uccisione di una donna ogni tre giorni richiedono una norma penale speciale. La risposta si articola secondo due direttrici. In primo luogo, se applicassimo le motivazioni del Ddl agli omicidi di uomini, i maschicidi supererebbero i femminicidi per numero. Infatti, già oggi la maggior parte delle vittime di omicidi sono uomini. Ciò per dire che usando i criteri punitivi del Ddl in relazione agli uomini, la vera emergenza sarebbero i maschicidi. Quanti omicidi di uomini commessi per reprimere i loro diritti, le loro libertà o motivati dal carattere della persona.
In secondo luogo, non è creando una norma ad hoc che si debellerà il fenomeno dei femminicidi, bensì investendo sulla educazione delle coscienze. La legge n. 69 del 2019, denominata "Codice Rosso" e voluta proprio per tutelare maggiormente le donne, ha introdotto nuove fattispecie di reato ed ha inasprito le pene di altri reati già esistenti. Eppure il numero annuo di femminicidi non è calato, così come ammesso qualche giorno fa dallo stesso Ministro della famiglia Eugenia Roccella, una delle promotrici del Ddl sul femminicidio: «Nonostante gli strumenti innovativi già adottati il numero dei femminicidi non cala».
Una terza obiezione potrebbe venire proprio dal Ministro Roccella che sul Ddl femminicidio ha sottolineato che «introdurre il reato di femminicidio è soprattutto un tentativo di produrre un mutamento culturale». Insomma, sanzioniamo con il massimo della pena chi uccide una donna per educare le masse. Ciò è errato perché configurerebbe un ingiusto uso dello strumento penale a scopo pedagogico. La prima preoccupazione del legislatore penale deve essere quella di irrogare una giusta pena commisurata al valore del bene leso e alla volontarietà dell'azione, non commisurata al progresso dell'educazione collettiva. Che poi la giusta pena serva anche da monito alle persone è sì uno scopo buono della norma, ma subordinato alla volontà di calibrare la pena secondo la natura della condotta e la responsabilità soggettiva.
29 APR 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8148
CINEFORUM TRANS IN DIOCESI DI PADOVA: BIBBIA E MAGISTERO CALPESTATI
di Tommaso Scandroglio
Leggiamo su La difesa del popolo, settimanale della diocesi di Padova: «Sono le storie e i percorsi dell'identità di genere il focus del nuovo cineforum "Le correnti del possibile" [dal 26 marzo al 14 maggio] proposto dall'associazione Con-TeStare Sportello Attivo Transgender (Centro Onig) di Padova in collaborazione con il cinema Esperia di via Chiesanuova a Padova [cinema della Parrocchia di Santa Maria Assunta in Chiesanuova]».
Il settimanale della diocesi riporta poi le parole di Chiara Cappelletti, vicepresidente di Con-TeStare: «Con questa iniziativa desideriamo approfondire l'argomento delle molteplicità dell'identità di genere nei vari aspetti della vita delle persone. I film scelti approfondiscono la bellezza e la pluralità di quello che può essere l'esperienza di una persona transgender e gender diverse». Nelle tre serate, aggiunge La difesa del popolo, interverranno «i genitori di figli e figlie in percorso di affermazione di genere (Con-TeSiamo) e le persone Tgd (transgender e di genere diverso) in percorso di affermazione di genere (Con-TeAma)». Umberto Bodon, incaricato per la gestione della sala del cinema Esperia, afferma: «Pensiamo che una sala comunitaria in un ambiente ecclesiale, come il nostro, debba essere uno spazio aperto a tutti».
Non ci siamo. Come sempre. La transessualità non è da promuovere e ce lo dice la morale, la Sacra Scrittura, il Magistero e la scienza. Sul piano morale il sesso biologico è aspetto identitario della persona. Non il sesso in generale, bensì il sesso maschile è elemento identitario per gli uomini e il sesso femminile è elemento identitario per le donne (clicca qui per un approfondimento). Il sesso biologico non potrà mai essere un dato errato della persona, una malattia da debellare. Non è il sesso che deve mutare per adeguarsi alla mente, bensì è la mente che deve adeguarsi al dato reale della sessualità, deve riconoscere il proprio sesso biologico perché è anche lì che risiede la nostra identità personale. Voler "cambiar" sesso è un atto intrinsecamente malvagio.
LA PAROLA DI DIO
Passiamo alla Sacra Scrittura. In Genesi 1,27 possiamo leggere che Dio «li creò maschio e femmina». È un dato costitutivo e fondativo della persona - si usa il verbo "creare" - che viene da Dio e quindi non può essere errato. Passiamo a san Paolo: «Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio» (1 Cor. 6, 9-10). Gli effeminati sono le persone transessuali. Non possono essere le persone omosessuali perché queste vengono indicate subito dopo con il termine "sodomiti". Sarebbe irragionevole pensare ad una ripetizione di categoria. Dunque la Sacra Scrittura è chiarissima nell'indicare come materia grave il tentativo di "cambiare" sesso, di apparire e comportarsi come persone del sesso opposto. La condanna della transessualità è quindi esplicitamente di diritto positivo divino.
Sul fronte del Magistero, oltre a rimandare alle moltissime catechesi di Giovanni Paolo II sul corpo, ricordiamo innanzitutto il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale» (2333). Poi citiamo Benedetto XVI: «Il sesso [...] non è più un dato originario della natura che l'uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente» (Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2012). Infine Il Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari: «Non si può violare l'integrità fisica di una persona per la cura di un male d'origine psichica o spirituale. Qui non si danno organi malati o malfunzionanti. Così che la loro manipolazione medico-chirurgica è un'alterazione arbitraria dell'integrità fisica della persona» (Carta degli operatori sanitari, n°66, nota 148).
Infine abbiamo il versante scientifico. Non si contano più gli studi che mettono in evidenza i danni di carattere psicofisico e sociale provocati dal "cambio" di sesso. Vogliamo qui citarne solo alcuni che riguardano forse il danno peggiore: il suicidio o il tentativo di suicidio. Li citiamo non solo perché il tentativo di suicidarsi dopo la "transizione" è sintomo che il "cambio" di sesso non è la soluzione bensì il problema, ma anche perché molti attivisti sostengono l'opposto: se non "cambi" sesso rischi il suicidio.
LA SCIENZA
Il primo studio, del 2024, rappresenta ad oggi la più estesa ricerca su questo specifico rischio, dato che ha interessato 90 milioni di pazienti nell'arco di 20 anni (2003-2023). Il titolo dello studio è Rischio di suicidio e autolesionismo dopo un intervento chirurgico di affermazione di genere. La conclusione è la seguente: «Gli individui sottoposti a intervento chirurgico di affermazione di genere avevano un rischio di tentativo di suicidio 12,12 volte superiore rispetto a quelli che non lo avevano fatto». Ben 12 volte superiore.
Un altro studio (del 2014) - Tentativi di suicidio tra adulti transgender e non conformi al genere - ci informa che, se il tasso di tentativi di suicidio negli USA si assesta intorno al 4,5% della popolazione, di contro il 42% degli uomini in cura ormonale per "diventare" donne e il 46% delle donne in cura ormonale per "diventare" uomini hanno tentato il suicidio almeno una volta nella vita.
Un ulteriore studio scientifico (pubblicato il 25 febbraio 2025), è il seguente: Esame dei rischi per la salute mentale legati al genere dopo un intervento chirurgico di riaffermazione di genere: uno studio di database nazionale. Lo studio, i cui dati si riferiscono alla decade 2014-2024, così conclude: «Su 107.583 pazienti, le coorti abbinate hanno dimostrato che coloro che si sono sottoposti a intervento chirurgico presentavano un rischio significativamente più elevato di depressione, ansia, ideazione suicidaria e disturbi da uso di sostanze rispetto a coloro che non si sono sottoposti a intervento chirurgico».
Se guardiamo invece alla fascia di età 12-20 anni, lo studio Stima del rischio di tentato suicidio tra i giovani appartenenti alle minoranze sessuali: una revisione sistematica e una meta-analisi (meta analisi di 35 studi) ci informa che gli adolescenti transgender sono i più esposti al rischio suicidio: 5,77 volte superiore rispetto ai loro coetanei che non hanno intrapreso nessun percorso di "transizione".
Una possibile obiezione è la seguente: il disagio psicologico nasce dalla transfobia, dalla mancata accettazione sociale. Non è così. La prova viene da due studi scientifici sui disagi psicologici dell'omosessualità e transessualità. Nel primo, Sessualità omosessuale e disturbi psichiatrici nel secondo studio olandese sulla salute mentale e sull'incidenza , si analizzano i disturbi legati all'omosessualità nell'arco di 18 anni, dal 1996 al 2014 nei Paesi Bassi. Risultato: l'incidenza dei disturbi non è mutata nel tempo; eppure nel tempo, e soprattutto nei Paesi Bassi, l'accettazione dell'omosessualità è cresciuta in modo esponenziale. Dunque, il disagio nasce dalla condizione omosessuale, non da una presunta omofobia. Parimenti si potrebbe dire della transessualità per analogia di situazioni sociali. E infatti nel secondo studio, Stress, sofferenza e tentativi di suicidio delle minoranze in tre coorti di adulti appartenenti a minoranze sessuali: un campione probabilistico statunitense che riguarda sia l'omosessualità che la transessualità, i ricercatori, omosessuali dichiarati, hanno concluso che i disagi psicologici per gay e trans non derivano da presunte discriminazioni.
E dunque, gentile parroco di Santa Maria Assunta e gentile vescovo di Padova, interrompete subito questo ciclo di film dedicati alla transessualità se avete a cuore il bene delle persone.
29 APR 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8149
PAPA FRANCESCO: DA AMORIS LAETITIA A FIDUCIA SUPPLICANS, LA MORALE RIBALTATA
di Tommaso Scandroglio
In merito alle tematiche di morale naturale il pontificato di Francesco ha segnato un momento di radicale rottura con la dottrina cattolica. Ricordiamo qui di seguito le tappe principali del percorso intrapreso da Francesco che ha toccato alcuni temi eticamente sensibili.
In principio fu Amoris laetitia a far comprendere a tutti che l'approccio sulle questioni morali era cambiato radicalmente. Eravamo nel 2016. Il paragrafo 305 insieme alla famigerata nota 351 di questa Esortazione tentava di conciliare l'inconciliabile: l'adultero, nei casi in cui è incolpevole o non pienamente colpevole, può accostarsi all'Eucarestia rimanendo adultero. Nello stesso anno viene pubblicata una lettera dei vescovi della regione di Buenos Aires, dal titolo Accompagnare, discernere e integrare le fragilità, che ammettono alla comunione i divorziati risposati. Francesco dichiara che «il testo è molto buono e spiega in modo eccellente il capitolo VIII di Amoris laetitia. Non c'è altra interpretazione». La lettera e il commento del Papa confluiscono nel 2017 negli Acta Apostolicae Sedis, diventando così Magistero autentico.
Per continuità di materia rammentiamo due lettere motu proprio datae dal titolo Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et misericors Iesus, entrambe pubblicate nel 2015 e che riguardano la riforma del processo canonico di dichiarazione di nullità matrimoniale. All'art. 14 § 1 del primo motu proprio si indicano una serie di circostanze che di per sé non sono cause di nullità, ma che per Francesco possono consentire la trattazione della causa. L'operazione sottesa è quella di far apparire un matrimonio umanamente fallito come matrimonio canonicamente nullo. Tra Amoris laetitia e quest'ultima lettera, l'indissolubilità matrimoniale esce malconcia. Il nuovo corso dottrinale in merito al matrimonio ha inevitabilmente portato poi a ridisegnare in modo radicale la natura dell'Istituto Giovanni Paolo II su Matrimonio e Famiglia.
ABORTO, EUTANASIA, PENA DI MORTE
Sull'aborto, celebre è l'immagine, usata da Francesco in più occasioni, dei medici che diventano sicari. Però, poi s'intratteneva con colei che si era battuta per legalizzare la professione di sicario, Emma Bonino, e non certo per tentare di convertirla, anche perché per lui sarebbe stato una forma inaccettabile di proselitismo, bensì per incensarla: «Un esempio di libertà e resistenza», le aveva detto nell'ultimo incontro. Sì, libertà da e resistenza contro la legge morale.
In materia di eutanasia, segnaliamo la lettera del 2020 dell'allora Congregazione per la Dottrina della Fede dal titolo Samaritanus bonus che segna invece una continuità con il Magistero di sempre sul tema dell'eutanasia. Continuità invece contestata in più punti nel Piccolo lessico del fine-vita edito dalla Pontificia Accademia per la Vita nel 2024. Ambiguo poi, in alcuni suoi passaggi, il messaggio del Papa del 2017 al convegno della World Medical Association sul tema dell'eutanasia.
In tema di morale naturale, non possiamo non ricordare l'eliminazione nel 2018 della pena di morte dal Catechismo della Chiesa Cattolica: da azione moralmente buona nel rispetto di alcuni criteri a malum in se. La decisione è stata rilevante anche perché si è trattato del primo e unico intervento di modifica del Catechismo da parte di Francesco.
Chiudendo questa rapida carrellata di interventi del Magistero sulle tematiche morali, il primo posto per eterodossia conclamata spetta di certo al documento del Dicastero per la Dottrina della Fede Fiducia supplicans che ha aperto alla benedizione di coppie omosessuali e coppie irregolari. Sicuramente, insieme alla Dichiarazione di Abu Dhabi, il peggior documento firmato da un Pontefice nella storia della Chiesa perché benedicendo relazioni intrinsecamente disordinate le qualifica in senso positivo dal punto di vista morale.
MORALE SCIVOLATA IN SOGGETTIVISMO E RELATIVISMO
Da cosa sono state determinate simili derive eterodosse? [...] La cifra caratteristica del pontificato appena concluso è l'elaborazione di una morale senza metafisica. Secondo la tradizione classica e quella cattolica, il fondamento prossimo della morale naturale risiede nella dignità della persona, nella sua intrinseca preziosità data dal corpo e dall'anima razionale che informa questo corpo (il fondamento remoto è Dio). Da questo dato gnoseologico scaturiscono i principi di legge naturale che sono oggettivi, immutabili, universali e assoluti. In merito a quest'ultimo aspetto ricordiamo gli assoluti morali, ossia il fatto che esistono azioni sempre e comunque gravemente lesive della dignità personale e quindi da evitarsi sempre.
L'approccio di Francesco alla morale ha messo in secondo piano, se non eliminato, il dato spirituale dell'antropologia, ossia ha misconosciuto la rilevanza paradigmatica dell'anima razionale. Eliminato il riferimento metafisico, la morale è scivolata nell'empirismo, nella fenomenologia etica, nello storicismo, nell'immanentismo e dunque ha scolorato i principi dottrinali in soggettivismo, relativismo, situazionsimo e utilitarismo. Le prove di questa deriva sono state evidenti. L'attenzione dei dicasteri e del Papa è stata catturata quasi esclusivamente da tematiche legate alla povertà materiale, al lavoro, al disagio e all'emarginazione sociale, all'immigrazione, alla sofferenza psicologica come la solitudine, all'esclusione sociale, all'ambiente. In breve, la morale naturale è stata scalzata dalla giustizia sociale. Se la visione antropologica dimentica l'anima razionale, le esigenze dell'uomo saranno solo materiali, perché l'uomo sarà solo il suo corpo. Ecco l'immanentismo.
LO STORICISMO COME METRO DI GIUDIZIO
Se poi il paradigma è la realtà empirica, questa muta nel tempo. Lo storicismo diventa così metro di giudizio anche etico e metro da usarsi anche con il Vangelo che deve essere contestualizzato, accomodato secondo le esigenze della contemporaneità e non calato dall'alto in modo astratto. Il transeunte diviene chiave interpretativa dei principi di fede e morale, che di loro sono atemporali. E così anche i principi morali possono e devono mutare e le azioni intrinsecamente malvagie una volta erano tali ma oggi possono non esserlo più. Avremo così una morale che si modella secondo il reale, non nel senso che occorre trovare le modalità più efficaci per declinare gli immutabili principi etici nel contingente, ma nel senso di rendere contingenti questi principi. Da qui il situazionismo, la priorità del particolare sull'universale che trova sua espressione peculiare nel famigerato discernimento, espediente per mettere all'angolo i mala in se e in cui la coscienza non è più luogo della declinazione della verità nella circostanza particolare, bensì luogo della creazione di verità personali, individuate per soddisfare piaceri e utilità ugualmente personali.
All'universalità della natura umana con le sue altrettante universali esigenze morali di base si sostituisce così la particolarità delle singole esistenze con le loro altrettante singole esigenze morali. Questa dinamica prende il nome di relativismo soggettivista. Ecco allora dichiarare guerra ai dogmi, alle leggi, ai principi, gabbie formali che soffocano la multiforme realtà. Non è più quest'ultima che si deve conformare al principio, ma viceversa. L'etica è investita da un moto non più trascendente, bensì discendente.
L'eredità che Francesco ha lasciato al suo successore è piena di debiti verso la verità e il bene. Quest'ultimo avrà di fronte a sé alla fine solo tre soluzioni, di cui l'ultima è l'unica corretta: conservare questo orientamento senza continuare nell'opera di distruzione; avanzare nella stessa direzione; invertire la rotta.
25 FEB 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8088
FINE VITA, UN SONDAGGIO DI SALVINI SVELA L'IPOCRISIA LEGHISTA di Tommaso Scandroglio
Ennesimo caso di suicidio assistito in Italia e primo in Lombardia. Lei è Serena, nome di fantasia, aveva 50 anni e da 30 soffriva di sclerosi multipla. Si è suicidata il mese scorso con l'aiuto dell'onnipresente Associazione Luca Coscioni. La vicenda è andata così: i responsabili di Ats e Asst Fatebenefratelli Sacco di Milano, dopo aver visitato la donna, inviano una relazione al comitato etico e questo conferma la presenza dei requisiti per l'accesso all'aiuto al suicidio previsti dalla Corte costituzionale (clicca qui e qui). L'Asst allora indica il farmaco letale e la relativa strumentazione da usarsi che viene ritirata dal dott. Mario Riccio, consigliere generale dell'Associazione Luca Coscioni e medico che aiutò a suo tempo Piergiorgio Welby a morire.
Al di là delle ovvie riserve morali, questa vicenda solleva qualche problema di carattere giuridico e politico. In primo luogo a fine novembre la maggioranza di centrodestra aveva approvato una pregiudiziale di incostituzionalità contro una proposta di legge regionale che voleva legittimare, così come è avvenuto di recente in Toscana, il suicidio assistito. La legge regionale non passò, perché il suicidio medicalmente assistito è materia di competenza del Parlamento, non delle singole regioni. Quindi la Regione, a guida leghista, con una mano ha firmato la bocciatura dell'aiuto al suicidio e con l'altra ha fornito il farmaco letale per praticare il suicidio assistito.
CENTRODESTRA SPACCATO
Seconda anomalia rilevata, questa volta, dal consigliere regionale lombardo di Fratelli d'Italia Matteo Forte: «Il Servizio sanitario può arrivare al momento della valutazione delle condizioni previste dalla Corte costituzionale [...]. Per tutto quel che riguarda l'identificazione e la prescrizione del farmaco, ad oggi non esiste alcuna competenza del Servizio sanitario». Ciò corrisponde a quanto indicato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 242/2019 e a quanto asserito dalla stessa direzione Welfare della Regione Lombardia, la quale, sottoposta ad esame da parte delle commissioni Affari istituzionali e Sanità della Lombardia lo scorso 23 settembre, esplicitamente dichiarò: «Noi arriviamo fino al momento della valutazione». L'assessore al Welfare Guido Bertolaso invece diede semaforo verde anche per l'identificazione e prescrizione del farmaco.
Quindi su questo tema il centrodestra si trova spaccato. Fratelli d'Italia frena, mentre il governatore leghista Fontana vorrebbe accelerare. Il suo compagno di partito Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, ha di recente annunciato la pubblicazione di una circolare per tutte le aziende sanitarie affinché si stabiliscano regole comuni per l'accesso all'aiuto al suicidio, nonostante il fatto che anche nella sua Regione la legge di iniziativa popolare Liberi subito, voluta da radicali, non fosse passata. Zaia, a Repubblica, si è detto favorevole ad una legge ad hoc varata dal Parlamento, così come richiesto dalla Consulta, legge che andrebbe ad implementare, sul versante del suicidio assistito, la legge 219/17 che ha già legittimato alcune condotte eutanasiche. Zaia ha poi aggiunto: «Lo dico con rispetto, da cattolico. [...] È doveroso rispettare le idee di tutti, non offendere nessuno, ma il mantra per me resta: la tua libertà finisce dove inizia la mia e viceversa». Ma se sei cattolico non puoi essere a favore del suicidio. È molto semplice.
L'APPELLO DEI RADICALI
È poi di queste ore l'appello dei radicali Marco Cappato e Filomena Gallo, forti della vittoria ottenuta in Toscana, al presidente della Regione Massimiliano Fedriga affinché «seppellisca l'ascia delle guerre ideologiche e si confronti nel merito delle procedure più adeguate per tutelare le persone che soffrono e gli stessi medici». Anche in Friuli una legge sull'aiuto al suicidio fu bocciata e il leghista Fedriga fu favorevole al suo affossamento, ma questo non ha impedito l'accesso a tale pratica per vie amministrative.
Una parentesi a proposito della Toscana: il Partito Democratico ha presentato una proposta per togliere 30mila euro del bilancio a favore del fondo disabilità e destinarli alla pratica del suicidio assistito. Una proposta che svela le reali priorità del PD: l'eutanasia sopra tutto e sopra tutti, disabili compresi.
Ma torniamo ai leghisti. Da ultimo Matteo Salvini ha lanciato un sondaggio sui social: «Sarebbe giusto, secondo te, che il Parlamento approvasse una legge sul "fine vita", per stabilire criteri, modi e tempi per permettere ai malati terminali di decidere, in piena coscienza, di porre fine alla propria esistenza?». Forse il miglior commento a questo sondaggio lo abbiamo trovato in un post di un ex leghista, il consigliere della Regione Emilia Romagna Matteo Montevecchi che su Facebook così risponde al Capitano: «Al di là di come la si pensi sul singolo tema, non si può non rimanere quantomeno sconcertati da come Salvini tratta certe tematiche. Forse ha confuso la politica per la corsa alla nomination del Grande Fratello. [...] In questo caso chiede al "pubblico da casa" cosa ne pensi riguardo al suicidio assistito. La politica, che dovrebbe indicare una direzione e saperla argomentare, ridotta a "faccio il sondaggio e così determino la mia posizione in merito". [...] Qualche anno fa ti difesi, ma oggi alla prossima sventolata del Rosario userò le parole corrette: si chiama ipocrisia».
25 FEB 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8086
LE STRATEGIE PER TINGERE LA CHIESA DI ARCOBALENO di Tommaso Scandroglio
Recentemente il cardinal Blase J. Cupich di Chicago, notoriamente ascrivibile all'area liberalprogressista, ha scritto un articolo sul sito Outreach. Questo è uno dei principali portali statunitensi che si cimentano nella diffusione del credo LGBT in seno alla Chiesa cattolica. Il suo fondatore è il famigerato sacerdote gesuita James Martin, alfiere delle battaglie arcobaleno in casa nostra.
L'articolo del card. Cupich sintetizza in sé i principali snodi concettuali che negli ultimi anni si stanno utilizzando nella Chiesa cattolica per sdoganare l'omosessualità e la transessualità. Vediamo dunque quali sono. Il primo è il riferimento al Magistero, ossia l'appello al principio di autorità. Cupich cita uno stralcio di una lettera del 2021 dell'allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Luis F. Ladaria, in cui quest'ultimo rispondeva all'arcivescovo José H. Gomez, ai tempi presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, sul tema dell'accesso alla comunione per quei politici favorevoli all'aborto ed eutanasia. Il cardinale di Chicago ricorda che Ladaria esortava i vescovi statunitensi a «dialogare con i politici cattolici che, all'interno delle loro giurisdizioni, adottano una posizione pro-choice riguardo alla legislazione sull'aborto, all'eutanasia o ad altri mali morali, come mezzo per comprendere la natura delle loro posizioni e la loro comprensione dell'insegnamento cattolico». Da qui l'analogia: «Questo approccio di mettere da parte i nostri preconcetti e di ascoltare veramente si applica anche al modo in cui i leader della chiesa dovrebbero considerare le persone in una varietà di situazioni di vita. Ciò include [...] i cattolici LGBTQ».
Naturalmente la strategia impone di selezionare solo alcuni passaggi del Magistero e non altri e soprattutto impone di citarli fuori contesto. Infatti, sul primo versante, Cupich non cita il canone 915 del Codice di Diritto Canonico che vieta di comunicare coloro i quali «ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto». Persone omosessuali e transessuali comprese, se sono in stato di peccato mortale noto a tutti. Sul secondo versante, Cupich volutamente non aggiunge che il cardinal Ladaria in quella lettera non dava il via libera alla comunione ai politici pro-choice. Più a monte il cardinale di Chicago omette di dire che la dottrina della Chiesa su omosessualità e transessualità non è cambiata, dunque chi critica l'una e l'altra è fedele all'insegnamento del Magistero e non è affetto da preconcetti, come invece asserisce Cupich.
IL VITTIMISMO
La seconda strategia utile per tingere di arcobaleno le nostre chiese è il vittimismo. Lasciamo il lapis a Cupich: «Un numero schiacciante di cattolici LGBTQ che ho incontrato mi ha detto di soffrire di un senso di alienazione proprio perché si sentono preventivamente giudicati ed esclusi.[...] Raccontano storie in cui sono stati ostracizzati, persino cacciati dalle loro case quando hanno raccontato ai loro genitori il proprio orientamento sessuale. [...] Una persona mi ha detto che il modo in cui sono stati banditi, evitati e persino odiati li ha portati a concludere che essere gay li rendeva dei lebbrosi moderni. Tragicamente, questo tipo di alienazione può portare a idee suicide». La tattica è semplice: se fai passare una categoria di persone per vittime tu sei portato a solidarizzare con loro e quindi, successivamente, è più facile accettare anche la loro condizione e le loro scelte. In sintesi il percorso è il seguente: accogliere la persona omosessuale perché vittima per poi accogliere l'omosessualità. Il vittimismo gay di impronta cattolica, inoltre, volutamente mischia, da una parte, la critica legittima e doverosa su omosessualità e transessualità e, su altro fronte, gli atti di ingiusta discriminazione (insulti, pestaggi, gesti di non accoglienza immotivati, etc.), qualificando così la critica come atto di ingiusta discriminazione.
Proseguiamo con una terza strategia: mettere in luce le condotte positive delle persone omosessuali e transessuali. Così Cupich: «costoro partecipano alla messa. Si impegnano nella vita parrocchiale dove sono accolti. Pregano ogni giorno e praticano opere di misericordia, in particolare l'assistenza ai poveri». La censura della morale naturale e quindi cattolica sull'omosessualità e transessualità e relative condotte non esclude, ovviamente, che le persone omosessuali e transessuali possano compiere atti buoni. Ciò detto, uno tra gli esempi proposti dal cardinale però non porta, o meglio: non dovrebbe portare acqua al suo mulino, ma anzi la toglie. Infatti bene che la persona omosessuale preghi, partecipi alla messa e compia atti di misericordia. In merito invece alla partecipazione alla vita parrocchiale, sottintendendo quindi lo svolgimento di servizi utili alla parrocchia, occorre evitare lo scandalo. Aspetto su cui ovviamente il cardinale glissa. A margine: bene, come si diceva, che la persona omosessuale e transessuale preghi, sia caritatevole, etc., ma tutto ciò anche al fine di uscire dalla propria condizione.
LE STRATEGIE IN ATTO
Altra tattica è quella di inserire condotte di per sé meritorie nella condizione omosessuale al fine sempre di legittimare quest'ultima. Torniamo all'articolo pubblicato su Outreach: «Molte persone LGBTQ imparano e sanno anche cosa sia l'amore sacrificale, quando assumono il ruolo di genitori di bambini che altrimenti non avrebbero una casa». Intanto è difficilmente difendibile l'affermazione che i bambini non adottati da coppie gay non avrebbero una casa. La lista di attesa per l'adozione formata da coppie eterosessuali è lunghissima. Ma, al di là di questo, dal momento che, secondo la dottrina cattolica, la condizione omosessuale per sua natura è disordinata, ne discende il fatto che la stessa relazione omosessuale è disordinata e quindi il minore inserito in tale relazione non trova il contesto ideale per crescere in modo sano. Questo giudizio è anche confermato da moltissimi studi.
La strategia di richiamare una condotta di per sé eticamente lecita all'interno della relazione omosessuale è ancora più marcata in questo passaggio: «ciò che è stato chiaro nelle mie conversazioni con i cattolici LGBTQ è che danno molta priorità alle espressioni di amore e intimità che siano in linea con l'insegnamento della chiesa. Infatti, tendono a vedere una relazione con un partner come un tentativo di stabilire stabilità nelle loro vite di fronte alla promiscuità che a volte è presente sia nelle comunità gay che in quelle eterosessuali». La fedeltà alla relazione omosessuale sarebbe un merito perché contrasta la promiscuità. Questa la conclusione del cardinale.
Sulla stessa linea un'ulteriore precisazione che segue immediatamente quella precedente sulla promiscuità: «L'impegno pastorale verso la popolazione LGBTQ dovrebbe sempre includere la chiamata del Vangelo a vivere una vita casta e virtuosa [...]. Dopotutto, siamo tutti chiamati alla castità». L'annotazione è furba. Si menziona la virtù della castità a cui tutti siamo chiamati, sposi compresi. Se quindi anche questi ultimi devono essere casti e ciò non significa per costoro astensione dai rapporti, questo vuol dire che quando il catechismo afferma che «le persone omosessuali sono chiamate alla castità» (n. 2359) sta indicando a queste ultime un modo di vivere la castità identico a quello a cui si devono ispirare le coppie sposate eterosessuali, non vietando perciò i rapporti intimi.
In breve il cardinal Cupich ci ha offerto una efficace sintesi delle strategie in atto affinché l'ideologia gender possa essere erroneamente recepita come dottrina cattolica.
Nota di BastaBugie: per una boccata d'ossigeno bisogna andare a vedere cosa sta succedendo negli USA dopo la seconda elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Nell'articolo seguente dal titolo "Un Segretario di Stato anti-LGBT" si parla Marco Rubio, Segretario di Stato negli USA di Trump. Ha posizioni nette in materia di rivendicazioni LGBT.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 10 dicembre 2025:
Marco Rubio sarà il prossimo Segretario di Stato della presidenza Trump. Le sue posizioni in materia di rivendicazioni LGBT sono molto significative. Nel 2015 quando la Corte Suprema aveva legalizzato il "matrimonio" gay, Rubio affermò che era una decisione che «costringe le persone a peccare» e una «stupida perdita di tempo». Votò anche contro il Respect for Marriage Act legge a tutela delle "nozze" omosex e all'Equality Act, legge chiaramente di impronta LGBT. Sulle adozioni gay disse; «Non possiamo permettere che i bambini più svantaggiati dello stato diventino parte di un esperimento sociale».
Appoggiò poi la legge Don't Say Gay, del governatore Ron DeSantis, che vieta la propaganda arcobaleno nelle scuole, e la legge Protection of Women and Girls in Sports Act, che in materia sportiva fa riferimento al sesso biologico e non alla cosiddetta identità di genere. Inoltre ha criticato la possibilità per i transessuali di entrare nei bagni pubblici riservati alle donne. Ha giudicato poi dannose per i bambini i trattamenti per il "cambio" di sesso nei minori. Ha sostenuto infine una proposta di legge che avrebbe voluto vietare l'accesso alle persone transessuali nell'esercito
25 FEB 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7981
IL ROBOT DA AMARE, L'ULTIMO FRUTTO DELLA DISUMANIZZAZIONE di Tommaso Scandroglio
Una volta c'era l'amore di plastica. Ora c'è quello in silicio. Si chiama Lovot, crasi transumana tra i termini "love" e "robot". Lovot è un robot che nei vaneggiamenti dei suoi creatori giapponesi ci dovrebbe amare e ricevere amore. Groove X è la società che ha ideato Lovot, specializzata, così si esprimono gli addetti ai lavori, nella robotica emozionale. E noi, ancora naif, che pensavamo che le emozioni fossero fatte di vento e di riflessi di stelle.
Il ceo della compagnia, Kaname Hayashi, ha spiegato come funziona questo amante di latta: «Nel suo cervello abbiamo inserito un superprocessore sofisticatissimo. Non può pronunciare parole ma può capire i nostri stati d'animo, quello che ci fa stare bene e darcelo. Per esempio, vivi da solo, torni a casa dopo una lunga giornata di lavoro, non c'è nessuno, entri e trovi Lovot davanti all'ingresso che ti aspetta. E lui è davvero emozionato. Noi abbiamo visto che se lo accarezzi, lo ami giorno dopo giorno, lui si affeziona a te. E tu ti affezioni a lui. E dopo pochi mesi si crea una sorta di relazione». Relazione buona per il lettino dell'analista, glossiamo noi.
Poi Hayashi aggiunge: «Non sarà una creatura vivente, ma stringerlo o anche solo guardarlo, scalda il cuore. Noi per vivere abbiamo bisogno di provare sentimenti. Possiamo amare gli esseri umani certo, ma amare un essere umano è qualcosa di troppo coinvolgente dal punto di vista emotivo. È veramente complicato. E noi vediamo sempre più persone stanche delle relazioni umane. Cani e gatti sono una grande fonte d'amore, ma muoiono. Mentre Lovot non muore mai». Davvero l'amore è eterno e ci voleva Lovot per darne prova.
Dunque, pagando solo 3.000 euro per l'acquisto e 100 euro al mese per gli aggiornamenti - perché, si sa, l'amore muore se non ci si rinnova sempre nelle relazioni - puoi comprarti un distributore automatico di emozioni, anzi di illusioni. Ad oggi sono ben 14.000 i giapponesi che si sono fatti fregare dalla Groove X. Fregare, sì, perché Lovot non ti ama, bensì è programmato per rispondere in modo da regalarti piacere e soddisfazioni a comando. Il suo "amore" è determinato dagli algoritmi e quindi in ultima istanza dai suoi creatori. Perciò alla fine sono loro che ti amano, ma solo in quanto cliente e di certo amano di più il tuo portafoglio.
Amare è l'atto più libero che esista, tanto che anche Dio, che è onnipotente, si arresta alle soglie della nostra libertà e se non vogliamo amarlo Lui non può coartare la nostra libertà, perché una libertà costretta non è più tale. Lovot non sceglie di amare il proprio padrone, ma compie solo azioni piacevoli per noi, azioni già previste come risposte precise ad alcuni stimoli. Non sceglie perché proprio non ha la capacità di scegliere, dato che la libertà è facoltà dell'anima razionale. Chip questo di cui è sprovvisto Lovot e tutti i robot del futuro, perché chip di natura spirituale.
Amare è quindi un affare esclusivo dell'anima, che non può essere robotizzata, programmata, costruita in laboratorio. L'anima è un monopolio delle persone e non potrà mai essere contenuta in un hardware. Lovot può solo simulare le emozioni, ma non le vive per il semplice motivo che non è vivo. Dunque questa invenzione fa rima con finzione, un deprimente inganno di cui i proprietari alla fine saranno pure consapevoli. Un paradiso artificiale a cui si accede non più drogandosi di Extasy, bensì di intelligenza artificiale.
Lovot è il frutto tecnologico della solitudine, di cui avevamo parlato qualche giorno fa a proposito delle culle vuote. Nei primi mesi del 2024 ben 22.000 giapponesi sono morti da soli nelle proprie case. Forse solo Lovot avrà pianto qualche lacrima artificiale per costoro. Tremila anziani, poi, sono voluti andare in carcere per non rimanere soli a casa e, a tale scopo, si sono umiliati nel compiere qualche piccolo reato. Meglio il carcere fatto di cemento, però abitato da altri detenuti, del carcere fatto di solitudine, dove l'isolamento diurno e notturno dura una vita.
Lovot allora è il parto della desolazione delle esistenze, dell'abbandono della compagnia umana, della desertificazione delle relazioni già perfettamente compiuta nei social, che tutto sono fuorché social. Lovot, in definitiva, non è un surrogato di una persona, bensì è la resa plastica della nostra sconfitta come uomini, del tradimento dell'impegno, inciso nelle nostre carni, di amare il prossimo. Abbiamo delegato ad un robot la nostra umanità. E questo è semplicemente disumano.
25 FEB 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8089
FIVET, L'ORDINE DI TRUMP COSTERA' LA MORTE DI MILIONI DI EMBRIONI di Tommaso Scandroglio
Eravamo in piena campagna elettorale ed era il 29 agosto 2024 quando l'allora candidato presidente Donald Trump tenne un comizio a Potterville, nel Michigan. Tra le altre promesse elettorali ne fece una non proprio pro vita: «Oggi annuncio - ed è una dichiarazione importante - che sotto l'amministrazione Trump il vostro governo pagherà o la vostra compagnia assicurativa sarà obbligata a pagare tutti i costi associati al trattamento di fecondazione in vitro, ai trattamenti di fecondazione per le donne. Perché vogliamo più bambini, per dirla in modo molto carino».
Detto, fatto. Lo scorso 18 febbraio Trump ha emanato un ordine esecutivo dal titolo Ampliare l'accesso alla fecondazione in vitro. In esso possiamo leggere che «gli americani hanno bisogno di un accesso agevole alla FIV e di opzioni di trattamento più convenienti, poiché il costo per ciclo può variare da $ 12.000 a $ 25.000. Fornire supporto, consapevolezza e accesso a trattamenti per la fertilità convenienti può aiutare queste famiglie a percorrere il loro cammino verso la genitorialità con speranza e sicurezza. [...] Riduzione dei costi e dei limiti all'accesso alla fecondazione in vitro. Entro 90 giorni dalla data del presente ordine, l'Assistente del Presidente per la politica interna dovrà presentare al Presidente un elenco di raccomandazioni politiche sulla tutela dell'accesso alla fecondazione in vitro e sulla riduzione radicale dei costi diretti e di quelli del piano sanitario per il trattamento di fecondazione in vitro».
RADDOPPIO DELLE NASCITE TRAMITE PROVETTA
La gratuità totale o parziale della fecondazione artificiale che l'amministrazione Trump vuole offrire ai cittadini americani porterà ad un ampliamento del bacino di utenza verso questa pratica. Non solo, ma, diventando più economica la Fivet, le donne saranno spinte a produrre più ovociti, a sottoporsi a più cicli e a programmare la propria maternità in età molto matura. Tanto ci sarà lo Stato o le assicurazioni che pagheranno. Si pensa che grazie a questi finanziamenti il ricorso alla fecondazione in vitro raddoppierà.
Ora il numero di nascite tramite provetta negli Stati Uniti è al 2%. In Francia i nati da provetta sono il 4% e lì la fecondazione extracorporea è pagata dallo Stato. Possibile se non probabile che quindi dal 2% si passi al 4% anche negli USA. Una proporzione validata anche da uno studio scientifico dal titolo in italiano L'economia dell'infertilità: prove dalla medicina riproduttiva, pubblicato a febbraio di quest'anno sul National Bureau of Economic Research. Gli autori dello studio ci informano che «il tasso di accesso alla fecondazione in vitro si dimezza quando [la fecondazione in vitro] non è coperta dall'assicurazione sanitaria». A conclusioni simili è giunto anche un altro studio, del 2022, pubblicato su Reproductive Sciences e dal titolo in italiano Il futuro della fecondazione in vitro: la nuova normalità nella riproduzione umana: «Sebbene l'accesso e l'utilizzo della fecondazione in vitro varino notevolmente a livello globale, la pratica rappresenta ora il concepimento di oltre il 5% di tutti i neonati in alcuni paesi europei in cui la fecondazione in vitro è più conveniente e/o è coperta dall'assicurazione», si legge nell'articolo scientifico. Dunque, se negli USA l'accesso alla provetta diventerà più vantaggioso dal punto di vista economico, dovremo aspettarci almeno un raddoppio di richieste rispetto a quelle attuali.
IL 90% DEGLI EMBRIONI PRODOTTI MUORE
Questo comporta, tra i numerosi effetti negativi, anche un raddoppio del numero di embrioni morti in provetta. È infatti noto che più del 90% degli embrioni prodotti muoia, soprattutto perché scartato. Se andiamo a stimare al 4% la quota futura di nati in provetta rispetto al numero di nascite annuali negli USA e se fissiamo al 93% la quota di embrioni deceduti, possiamo calcolare in un milione e 900 mila il numero di embrioni che moriranno all'anno anche a causa dell'ordine esecutivo di Trump, numero che è quasi il doppio di quello dell'aborto procurato che si assesta intorno al milione all'anno. Una strage.
Tutto questo ci porta ad articolare una riflessione su The Donald. Da una parte è errato divinizzarlo e credere che sia il Pio XIII delle battaglie pro vita. Non solo sulla fecondazione artificiale Trump ha assunto posizioni eterodosse, ma anche sull'aborto il suo approccio è stato ondivago nel tempo (clicca qui e qui), seppur a conti fatti sia innegabile che Trump sia stato finora il presidente più pro life di sempre. Su altro fronte non bisogna assolutizzare queste sue decisioni fortemente liberal, ossia non si deve cadere nell'errore di buttar via l'acqua sporca con il bambino. Ciò che invece è necessario, per Trump come per moltissimi altri temi, è comportarsi come san Paolo insegnava: «Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1 Ts, 5,21). È l'arte del distinguo, arte sconosciuta ai fanatici, ai massimalisti, agli integralisti, agli ideologi, a coloro che ragionano per tesi precostituite e a coloro che vivono nelle torri eburnee degli a priori. Occorre quindi saper discernere i fatti buoni da quelli cattivi, riconoscere l'ottimo e il pessimo, l'errore dalla verità. Separare il grano dalla pula. E il grano e la pula, a dire la verità, sono sempre presenti in quasi tutte le nostre scelte. Non solo in quelle del presidente degli Stati Uniti.
Il professore Tommaso Scandroglio, autore di diversi libri sulla legge naturale, sulla morale e sulla bioetica, sviluppa riflessioni interessanti sui temi più caldi del dibattito contemporaneo
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