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Gesù Cristo, unico salvatore del Mondo, continua ad agire oggi attraverso la sua Santa Chiesa
30 OTT 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7959
IL MORTO HA BISOGNO DI SUFFRAGI, NON APPLAUSI di Don Stefano Bimbi
Il mese di novembre è un periodo propizio per ricordare il filo che lega vivi e morti. Coloro che stanno espiando la loro pena nel Purgatorio hanno bisogno della nostra preghiera che può alleviare e abbreviare la loro pena. Nella Divina Commedia le anime del purgatorio si avvicinano a Dante chiedendo di essere ricordate ai loro cari sulla terra perché preghino per loro. Questo aiuto spirituale si chiama suffragio. La parola viene dal latino suffragium, che significa voto. Se ci si pensa quando alle elezioni si parla di suffragio ci si riferisce all'azione di votare oppure anche al diritto di voto. Comunque per quello che qui ci interessa il suffragio indica in modo particolare l'aiuto offerto alle anime dei defunti tramite l’intenzione che il sacerdote applica loro nella Messa.
Così come ha ricevuto il potere di consacrare, il sacerdote ha ricevuto anche il potere di destinare un particolare beneficio del sacrificio di Cristo a favore di una determinata intenzione. Certamente anche i fedeli possono pregare durante la Messa secondo le loro particolari intenzioni. Ma il sacerdote agisce in persona Christi, identificandosi con Cristo. Quando pronuncia le parole consacratorie del pane e del vino è in realtà Cristo che le pronuncia attraverso le labbra e l'intenzione del sacerdote. Altrettanto avviene per la destinazione del sacrificio per un'intenzione particolare che diventa quella di Cristo stesso.
Ci si potrebbe chiedere se l'usanza di offrire sacrifici in espiazione dei peccati dei defunti sia nata dopo la venuta di Cristo oppure se ci sono tracce in tal senso nell'Antico Testamento. Ebbene la risposta si trova nel secondo libro dei Maccabei dove si legge che Giuda «fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato» (2Mac 12,45). Con la venuta di Cristo si porta a perfezione questo sacrificio veterotestamentario con il vero e unico sacrificio del Figlio di Dio che muore sulla croce.
L'INTENZIONE PER PIÙ DEFUNTI
Quando le persone mi chiedono di applicare l'intenzione della Messa per un particolare defunto sono desiderose di sapere se possono farlo per più defunti oppure per uno soltanto - e chiedono se in tal caso "costa di più". Occorre innanzitutto precisare che la relativa offerta va al sacerdote, non alla parrocchia (come accade per tutte le altre: quelle raccolte a metà Messa dai fedeli, quelle delle candele, delle benedizioni delle case e qualunque altra offerta). Le offerte per le intenzioni della Messa sono le uniche che percepisce direttamente il sacerdote perché in quel momento lui rinuncia alla sua intenzione per offrire quella del richiedente. L'offerta è libera e, al limite, è compito dei vescovi stabilire la cifra massima che un sacerdote può chiedere per cui non si tratta di fissare il "prezzo" della Messa, semmai mettono semplicemente un tetto massimo a protezione dei fedeli da eventuali, rarissimi, abusi. In genere il sacerdote non chiede una cifra, ma se il fedele lo domanda questi può dirgli appunto l'offerta stabilita dal vescovo. Naturalmente un fedele può dare anche una cifra minore in base alle sue disponibilità e il sacerdote è comunque obbligato a celebrare la Messa per la sua intenzione. Per tornare alla domanda se un'intenzione possa essere per più defunti e se in tal caso "costa di più", rispondo con la storiella della mela: comprando una mela, questa non costa più o meno a seconda se a mangiarla siamo in una, due, tre o più persone. Una mela costa sempre lo stesso, anche se ovviamente più sono le bocche da sfamare, più piccolo sarà lo spicchio che toccherà a ciascuno. Questo esempio banale serve per dire che siccome il beneficio che traiamo dalla Messa è finito, gioviamo maggiormente ad un defunto se applichiamo solo per lui che associandolo ad altri. Questo non perché il sacrificio di Cristo abbia un valore finito, bensì infinito. Ma è finito il beneficio che noi ne traiamo. Come il sole che ha un potere enorme di riscaldare ma, se siamo lontani da lui, il beneficio che ne ricaviamo è minore.
Ci si potrebbe chiedere se quando il sacerdote applica la Messa a un particolare defunto sia necessario che, durante la consacrazione, pensi esplicitamente al defunto. In realtà la risposta è no, essendo sufficiente che prima della Messa sappia per chi celebra. Per questo si usa ricordare il nome dei defunti per i quali viene offerta quella Messa all'inizio oppure al momento della preghiera dei fedeli. Comunque l'attenzione del sacerdote è quella richiesta comunemente in tutte le nostre azioni. Ad esempio quando mangiamo pensiamo a molte cose e parliamo di mille cose. Tuttavia sappiamo bene che cosa stiamo mangiando, anche se non ci pensiamo quando portiamo il cibo alla bocca. Durante la consacrazione il sacerdote, ad esempio, può essere immerso nella preghiera fervorosa per il Santissimo Sacramento, ma nonostante questo l'intenzione viene correttamente applicata al defunto che anzi ha meriti accresciuti dal fervore del sacerdote.
VIETATI ELOGI E APPLAUSI
Infine va ricordato che l'omelia durante una Messa in suffragio non dovrebbe mai trasformarsi in un elogio del defunto. La predica deve rimanere centrata sulla fede e sulla speranza nella risurrezione, piuttosto che diventare un discorso celebrativo. Bisogna parlare della misericordia di Dio per l'anima del defunto e della consolazione per coloro che soffrono per la perdita. Sono inoltre sconsigliati gli interventi alla fine della Messa dove parenti o amici fanno discorsi strappalacrime o che suscitano l'applauso. Scriveva acutamente l'allora cardinal Ratzinger: «Là, dove irrompe l'applauso per l'opera umana nella liturgia, si è di fronte a un segno sicuro che si è del tutto perduta l'essenza della liturgia e la si è sostituita con una sorta di intrattenimento a sfondo religioso» (J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, Sanpaolo, Cinisello Balsamo 2001). La casa del Signore non è un teatrino e la S. Messa non è una performance artistica. Per questo sono assolutamente fuori luogo gli applausi (anche in occasione di matrimoni, battesimi, funerali, ecc.). Si applaude agli uomini, mentre l'adorazione è il giusto atteggiamento nei confronti di Dio: per questo in chiesa, la casa di Dio, non si applaude mai, nemmeno agli uomini perché siamo lì per adorare e lodare Dio, non per celebrare gli uomini. Riccardo Muti, per vent'anni direttore musicale del Teatro alla Scala di Milano, sul Corriere della Sera del 27 giugno 2021 denunciava gli applausi in chiesa affermando: «Sono cresciuto in un mondo in cui ai funerali c'era un silenzio terrificante. Ognuno era chiuso nel suo vero o falso dolore. Per i più abbienti c'era la banda che eseguiva lo Stabat Mater di Rossini o marce funebri molfettesi, famose in Puglia. Quando sarà il mio turno, vorrei che ci fosse il silenzio assoluto».
18 SET 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7926
LA QUESTUA: DAGLI ORDINI MENDICANTI ALLE PARROCCHIE DI OGGI
La questua è il momento in cui i fedeli contribuiscono concretamente alle necessità della chiesa attraverso donazioni volontarie. Questo gesto di carità ha un duplice significato: da un lato, risponde ai bisogni materiali della chiesa; dall'altro, rappresenta un'espressione tangibile di amore e solidarietà verso la comunità. Le offerte raccolte durante la questua vengono utilizzate per il mantenimento della chiesa e per sostenere varie cause caritatevoli.
La questua in chiesa è una pratica antica e radicata nella tradizione cristiana, che continua a svolgere un ruolo significativo ancora oggi. Attraverso la questua, i fedeli non solo sostengono le necessità materiali della chiesa, ma rafforzano anche i legami di comunità e di fede, contribuendo anche sul piano pratico a creare una comunità di fedeli e persone, uniti dalla religione, ma anche da obiettivi comuni e virtuosi. Un aspetto da non sottovalutare, in un'epoca come la nostra, in cui sembra essere diventato difficile perfino intrattenere rapporti civili e solleciti con i vicini di casa! Anzi, vedremo come, nonostante i cambiamenti delle abitudini moderne, la sacralità della questua è rimasta invariata e permette ai cristiani di aiutare la comunità religiosa, rafforzando il senso di preghiera e appartenenza. In questo articolo esploreremo il significato di questua, l'uso della borsa per questua nelle chiese moderne e l'offertorio nella Messa.
SIGNIFICATO DI QUESTUA
La questua è una pratica che consiste nella raccolta di offerte da parte dei fedeli per sostenere le attività e le necessità della chiesa. Anticamente si intendeva con questo termine l'opera dei questuanti, ovvero i monaci appartenenti agli Ordini Mendicanti incaricati di elemosinare porta a porta per provvedere al mantenimento dei confratelli. Dobbiamo pensare che gli Ordini Mendicanti vivevano esclusivamente della generosità dei devoti. Questi ordini fiorirono tra il XIII e il XV secolo. Gli uomini che aderivano ad essi abbracciavano i concetti di umiltà, obbedienza e povertà evangelica. Essi praticavano la predicazione ambulante, spostandosi di paese in paese, spesso dormendo all'addiaccio, e rivendicavano una certa libertà dalla giurisdizione vescovile. Inoltre erano uniti da profonda fraternità, che riflettevano anche nel loro comportamento verso chiunque incontrassero, tutti fratelli e sorelle in Dio. Da questi particolari uomini di chiesa nasce il termine frate, che distingue l'appartenente a un ordine mendicante da un monaco. I primi e più importanti tra gli Ordini Mendicanti furono i Domenicani e i Francescani, che con la loro scelta di fede e soprattutto di vita ribaltarono completamente la tradizione monastica. Infatti, a differenza dei monaci, che vivevano chiusi nelle abbazie dividendosi tra preghiera, lavoro e contemplazione, i Mendicanti viaggiavano nel mondo predicando la Parola di Dio. In seguito nacquero altri Ordini mendicanti, come i Frati Minori Cappuccini, di cui fece parte anche Padre Pio.
L'OFFERTORIO DURANTE LA MESSA
Il significato di questua oggi come ieri risiede nell'atto di generosità e condivisione. Se in passato le offerte erano rivolte al sostentamento dei frati, ed erano spesso costituite non da denaro, ma da beni di consumo, cibo, vino, vestiti, eccetera, col passare del tempo la raccolta di denaro da parte della chiesa è diventato un gesto per contribuire al mantenimento della parrocchia, ma soprattutto un modo con cui i membri della comunità contribuiscono volontariamente per il bene comune.
La questua rappresenta un gesto concreto per la chiesa, da parte dei fedeli. Le offerte vengono utilizzate per la manutenzione della chiesa o per altre cause specifiche di comune interesse per la comunità parrocchiale. Ma la questa è anche un'espressione di carità cristiana, un gesto d'amore motivato dallo spirito di carità verso chi è meno fortunato. Come abbiamo visto, il significato della questua era originariamente legato alla donazione di cibo e beni di prima necessità ai frati, che, a loro volta, spesso devolvevano quanto raccolto a chi era ancora più sfortunato e bisognoso di loro, ai più poveri. Così avviene ancora oggi.
L'Offertorio è [...] il momento della Liturgia in cui il sacerdote compie l'offerta del pane e del vino a Dio. Contestualmente, i fedeli possono presentare le loro offerte, lasciando piccole somme di denaro in un cestino o nell'apposita borsa da questua che viene fatta girare tra i banchi dai chierichetti o da un assistente del Presbitero. In questo modo la questua si ripropone come gesto simbolico e concreto, simbolico perché avviene proprio nel momento in cui il Sacerdote presenta i doni del pane e del vino, concreto perché, grazie alle offerte raccolte, sarà possibile intervenire con lavori di manutenzione all'edificio o sostenere le iniziative parrocchiali. [...]
9 APR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7752
CATTOLICI ERRANTI IN CERCA DI PARROCCHIA
Non è obbligatorio frequentare la parrocchia dove si risiede, ma non si deve passare di chiesa in chiesa senza sentire l'appartenenza ad una specifica comunità
di Don Stefano Bimbi
«La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell'àmbito di una Chiesa particolare, la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore». Così recita il canone 515 §1 del Codice di Diritto Canonico. La domanda che molti fedeli si fanno è se devono frequentare la parrocchia nel cui territorio si trovano ad abitare oppure se possono andare nella parrocchia che preferiscono.
Aldo Maria Valli nel suo sito ha pubblicato il 7 luglio 2017 un articolo che parla di una nuova figura di cristiano che l'autore definisce "il cattolico errante": «Si tratta di un bravo cattolico, un po' di tutte le età e le condizioni sociali, che vaga di chiesa in chiesa, di parrocchia in parrocchia. Perché lo fa? Perché, stanco di liturgie sciatte e di chiese brutte, di preti iperattivi o apatici, di parrocchiani sovreccitati o depressi, cerca una chiesa che sia semplicemente normale, con un prete che sia semplicemente prete, una liturgia semplicemente dignitosa, un edificio semplicemente rispettoso del sacro, fedeli semplicemente beneducati». Purtroppo questo tipo di cattolico non si sente più il benvenuto nella sua parrocchia, come spiega ancora Aldo Maria Valli: «Non ne può più di musica per nulla sacra, cori stonati, altoparlanti da discoteca, licenze assurde nella celebrazione. Non sopporta più fedeli chiassosi e sbracati. Non ne può più di chiese orrende, preti che celebrano con le scarpe da ginnastica, tazebao appesi tra una Madonna e un San Giuseppe. Non accetta più di subire omelie irrimediabilmente scontate o troppo immaginifiche. Non gli va più di fare i conti con parroci che sbrigano la messa come fosse una pratica amministrativa o che la trasformano in spettacolo. Ed è anche stanco di essere guardato come un provocatore ogni volta che osa dire come la pensa. Così si mette in viaggio e diventa un cattolico errante».
IL CATTOLICO ERRANTE
Ma è giusto essere un cattolico errante? Va bene passare di chiesa in chiesa senza sentire l'appartenenza ad una specifica comunità? La risposta è no. Far parte di una comunità di fede è necessario per la propria crescita spirituale e per sentirsi parte della Chiesa. Come ci insegna il Nuovo Testamento gli apostoli annunciavano sì il Vangelo, ma subito dopo formavano delle comunità e vi mettevano a capo uno o più presbiteri per garantire il modello gerarchico voluto da Gesù, ma anche la comunione di fede tra i membri di quella specifica comunità. Non si può essere cristiani isolati da ogni contesto ecclesiale. Né si può crescere nella fede e mantenersi nella retta dottrina senza una comunità di riferimento e un sacerdote che ci guida.
Torniamo quindi alla domanda iniziale e cioè se possiamo scegliere la parrocchia che si preferisce. Innanzitutto va detto che non è per nulla obbligatorio frequentare la parrocchia nel cui territorio si risiede. Ciascuno nella Chiesa è libero di andare dove si sente più accolto e soprattutto dove meglio può fare un cammino di fede adeguato alla sua sensibilità e al suo cammino. Certamente per ottenere il certificato di battesimo si deve andare nella parrocchia dove si è ricevuto il battesimo. Chi ha da iniziare la pratica per il matrimonio deve andare dal parroco della parrocchia dove risiede uno dei nubendi. Così per avere la benedizione della casa ci si dovrà rivolgere al parroco del territorio dove è la casa. Invece per tutto il resto, cioè dove andare alla Messa, agli incontri di formazione, al catechismo dei figli, ai ritiri spirituali, ma anche ai pranzi e alle feste, insomma per tutto quello che è vivere in una comunità di fede, senz'altro si può scegliere la parrocchia più adatta.
UNO SFORZO DA FARE
Ovviamente può darsi che qualcuno si trovi meglio in una parrocchia e altri in un'altra senza che per questo qualcuno faccia la scelta giusta in assoluto, ma semplicemente per lui è la scelta migliore. Quindi se uno si trova bene nella parrocchia che può raggiungere a piedi, buon per lui. Come andrebbe bene se per andare nella parrocchia adatta ci volesse mezz'ora di auto. È uno sforzo che sempre più dobbiamo mettere in conto di fare se vogliamo dare a noi e ai nostri figli una corretta educazione cristiana e umana.
A proposito dell'educazione dei propri figli, spesso i genitori scelgono di fargli frequentare la parrocchia dove questi socializzano meglio. Eppure non bisogna dimenticare che lo scopo del catechismo è di imparare la dottrina cristiana. Infatti un tempo il catechismo si chiamava proprio "dottrina". Si diceva "vado a dottrina" intendendo che si frequentava il catechismo. Purtroppo oggi sempre più troviamo impegnata l'ora di catechismo a fare di tutto eccetto che imparare i comandamenti, i sacramenti e le preghiere. Cartelloni, canti, argomenti di attualità... insomma di tutto fuorché la dottrina cristiana. Cosa fare in questa situazione così disastrosa? Direi che non resta che portare i figli in un'altra parrocchia, più adeguata, più fedele alla dottrina, in poche parole... più cattolica. E non solo mandarci i figli, bensì farla diventare la parrocchia di tutta la famiglia e andare lì alla Messa.
In conclusione, basta trovare un parroco che possa guidare spiritualmente la propria famiglia nel solco della Tradizione vivente della Chiesa e impartisca validamente e lecitamente i sacramenti in comunione con il Vescovo e il Papa. Se vuoi l'acqua fresca e pura, fare dei chilometri per raggiungere questa oasi non sarà fatica sprecata. L'alternativa è morire di sete.
6 MAR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ hthttps://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7714
PORTARE I FIGLI PICCOLI ALLA MESSA PUO' ESSERE CONTROPRODUCENTE di Don Stefano Bimbi
Portare i figli piccoli alla Messa va sempre bene oppure può essere opportuno che rimangano a casa per permettere ai genitori di vivere appieno la celebrazione liturgica? Questa domanda se la sono posta almeno una volta nella vita tutti i genitori cristiani e ciascuno ha pensato di risolverla secondo il proprio giudizio. E non è detto che fosse lo stesso degli altri fedeli o del sacerdote.
Molti genitori sono contenti di poter condividere con il coniuge e i figli la Messa domenicale, fieri e gioiosi del loro essere famiglia e del vivere insieme l’incontro con Cristo. Se qualcuno li guarda storto perché i bambini piccoli non stanno in perfetto silenzio questi genitori pensano che gli altri siano degli intolleranti. Ovviamente i bambini, con la loro tenerezza, magari strappano a qualcuno un sorriso di comprensione. In questo caso i genitori si sentono rasserenati e rafforzati nella loro scelta di portarli in chiesa.
Se i figli esagerano nel fare confusione, alcuni genitori li portano fuori, ma così si perdono parte della celebrazione. Altri invece restano, facendo finta di nulla, per non darla vinta al figlio, che non ne può più di rimanere perché si annoia, e non si curano delle signore che si girano lanciando delle occhiatacce minacciose e scocciate. Altri genitori portano giocattoli ai bambini in modo che non si annoino e non disturbino, anche se in realtà spesso disturbano lo stesso anche perché "giocare" e "silenzio" non sempre riescono a convivere allo stesso tempo. Tutte queste apparenti soluzioni fanno emergere una prima considerazione: ai bambini piccoli la Messa non serve, né gli interessa. Disturbano le persone circostanti e anche quando non fosse così, almeno il genitore non vive appieno la celebrazione del santo Sacrificio in quanto ha comunque il pensiero sul proprio figlio.
QUESTIONE SPINOSA
Si capisce come mai la questione sia spinosa e lasci alcuni genitori con un senso di inadeguatezza: pensano di dover trovare a tutti i costi un modo per poter vivere bene la Messa, riuscendo a partecipare adeguatamente con tutta la famiglia. Ma quando si rendono conto che non sono capaci di gestire la situazione possono arrivare a pensare che sia un loro difetto.
Alcuni per avvalorare la loro opinione che i bambini vanno sempre e comunque portati alla Messa, citano le famose parole di Gesù "Lasciate che i bambini vengano a me" (Mc 10,14) dimenticando che questa frase è stata pronunciata fuori dal tempio ed inoltre quando Gesù non stava pregando. Quando invece Gesù voleva pregare se ne stava "tutto solo", spesso di notte, oppure era nel tempio con gli altri, ma senza bambini. Tra l’altro quando il vangelo racconta di Gesù che nell’ultima cena istituisce il santo Sacrificio della Messa, non ci parla della presenza di bambini. Citare quindi il vangelo per avvalorare l’ipotesi che i bambini, anche se rumorosi, vadano comunque e sempre portati alla Messa non ha alcun fondamento. Inoltre non si può considerare la questione solo dal punto di vista dei bambini, ma anche dei fedeli che sono presenti alla Messa. Sacrificare un’intera assemblea in preghiera per il pianto di un solo bambino, magari al momento della consacrazione, non è giustificabile. Bisogna ricordare che un conto è venire in chiesa, un altro è partecipare alla Messa. Il silenzio è più benefico di tanti canti e di tante parole. Toglierglielo con i pianti e le scorrerie dei bambini non è un atto di carità e impedisce a molti di pregare.
LA GIUSTA SOLUZIONE
Per trovare la giusta soluzione a questo problema occorre riflettere su cosa sia la Messa. Si sente dire che è il ritrovo della comunità. Qualcuno si spinge ad affermare che è una festa. Se la Messa fosse davvero un modo per socializzare e magari far festa allora bisognerebbe concludere che è bene che la famiglia partecipi tutta insieme, bambini piccoli inclusi. Ma invece la Messa consiste primariamente nel santo Sacrificio, attualizza cioè la morte in croce di Cristo. Ci rende partecipi dell’evento salvifico come l’hanno vissuto sotto la croce Maria e Giovanni, la Maddalena e Longino. Ebbene, per vivere bene la Messa occorre quindi prendere esempio dalla Madre di Dio che non viveva certo un clima di festa, bensì di "attiva partecipazione" alle sofferenze del Divin Figlio con un silenzio pieno di amore. Ecco che si inizia a intravedere il modo corretto di vivere la Messa e, di conseguenza, anche la soluzione al problema dei bambini piccoli. La Messa non è un pranzo parrocchiale dove ovviamente sono invitati tutti i membri della famiglia. L’idea di partecipare marito e moglie insieme alla Messa risente del clima romantico e fiabesco del "vissero insieme felici e contenti". Per partecipare fruttuosamente alla Messa non sarebbe meglio tornare a separare gli uomini dalle donne? Quando San Bernardino da Siena predicava nelle piazze c’era questa separazione in modo che non ci fossero distrazioni nell’ascoltare i suoi discorsi. Del resto nella società contadina le massaie andavano alla Messa all’alba, mentre i mariti con i figli più grandi partecipavano alle funzioni successive, quando a casa si preparava il pranzo. Non è uno scandalo se marito e moglie vanno separati alla Messa, né se i figli più piccoli, cioè quelli che non riescono a stare in silenzio dall’inizio alla fine, restano a casa con l’altro coniuge. È invece scandaloso che i cristiani non abbiano rispetto del centro della vita cristiana: la santa Messa. Il silenzio è necessario per la preghiera e non si deve tollerare che venga sprecato quello che per molti è l’unico momento della settimana per incontrare Gesù, per ascoltare la sua Parola e vivere la sua passione, morte e risurrezione. I bambini possono e devono apprendere la preghiera in altri momenti. Anzi, forse per loro sono più adeguati. Ad esempio la preghiera prima dei pasti e prima di andare a letto, imparare il segno di croce e magari il rosario in famiglia.
GESÙ AL PRIMO POSTO
C’è chi dice che è portando i bambini a Messa fin da subito che li si può abituare ad andarci ogni domenica. In realtà non è così. Non potendo per il momento partecipare alla Messa i bambini imparano che per i genitori questa è una cosa seria, come il lavoro o un colloquio importante, e che pur amandoli tanto, babbo e mamma mettono al primo posto Gesù. Così i figli ne sono un po’ incuriositi, fanno domande e quando potranno venire anche loro, ad esempio quando inizieranno a frequentare il catechismo, prenderanno la partecipazione alla Messa come un regalo.
Per le mamme alle prese con un neonato vanno dette due cose importanti. Innanzitutto che in chiesa è lecito allattare il figlio, anche durante le celebrazioni. Non è pensabile che a quell’età la poppata sia rimandabile. Inoltre il catechismo della Chiesa Cattolica ricorda al n. 2181 che la cura dei lattanti costituisce un serio motivo per essere dispensati dal precetto della Messa festiva.
In conclusione è bene precisare che tutto quanto detto non può, e nemmeno vuole, istituire la legge di non portare assolutamente mai i bambini alla Messa, ma solo che bisogna rispettare i loro tempi di crescita. I bambini si possono portare a condizione che non disturbino la preghiera dei genitori ed anche quella degli altri. Che poi questo vale per tutti. Anche un adulto che chiacchiera con il vicino disturba sé stesso e gli altri.
E questo gli si può far educatamente notare, come anche ai genitori che nonostante i figli disturbino non li portano fuori. Non si può pretendere che sia sempre il sacerdote a recitare la parte del "cattivo". Tutti i fedeli sono corresponsabili di quello che accade in chiesa. Del resto a un concerto di musica classica chi fa confusione viene accompagnato all’uscita. La santa Messa non è forse più importante di un concerto di musica classica?
28 NOV 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7613
L'ABUSO DELLA MESSA PREFESTIVA PER AVERE LA DOMENICA LIBERA di Fabio Amicosante
Quella di prender parte alla messa vespertina, comunemente chiamata "prefestiva", in sostituzione di quella domenicale, è una tendenza di cui molti fedeli tendono ad abusare. Per capire meglio questo concetto, bisogna tornare alle motivazioni per cui questa è stata introdotta e, soprattutto, riscoprire le effettive circostanze per cui venne data questa opportunità.
PAPA PIO XII
La Messa vespertina fu introdotta dal Pontefice Pio XII attraverso due decreti: La Costituzione Christus Dominus del 6 gennaio 1953 e il Motu porprio Sacram Communionem del 19 marzo 1957. Attraverso questi due decreti, l'allora Pontefice introdusse anche un'altra importante novità: la riduzione del digiuno eucaristico a tre ore. Come ci ricorda Toscana Oggi, qualche anno più tardi, nel 1972, i Vescovi italiani, durante il pontificato di Paolo VI, stabilirono che si potesse anticipare la Messa domenicale e festiva al giorno precedente.
Ma, in tal senso, bisogna tener presente, con estrema attenzione, alle raccomandazioni che i Vescovi dettarono in quell'anno. Il Collegio Episcopale raccomandò infatti di non far ricorso alla Celebrazione prefestiva a meno che non vi fossero "seri motivi familiari o professionali". Dunque, è bene fare uso di questa possibilità concessa, solo in caso di seri motivi e impegni improrogabili, che rendono impossibile la partecipazione domenicale.
Tuttavia, sembrano essere sempre più numerose le famiglie che scelgono di prender parte alla Messa vespertina per avere tempo libero la domenica. Abusando di questa opportunità concessa, molti giustificano questa scelta con "impegni" quali sport, svago o turismo. Il direttore di Toscana oggi, in tal senso ha lanciato anche un appello molto importante: "Credo che i Parroci e i consigli pastorali dovrebbero affrontare queste tematiche". C'è infatti, da questo punto di vista, un'estrema necessità di riscoprire il vero significato del "Giorno del Signore" che, per l'appunto, è la domenica.
PAPA BENEDETTO XVI
Questa necessità di riscoprire l'effettivo significato del Giorno del Signore è una tematica venuta alla luce già qualche anno fa, durante il Congresso Eucaristico di Bari. In quell'occasione fu l'allora Pontefice Benedetto XVI a ricalcare questa tematica durante la sua omelia: «Abbiamo bisogno di questo Pane per affrontare le fatiche e le stanchezze del viaggio. La Domenica, Giorno del Signore, è l'occasione propizia per attingere forza da Lui, che è il Signore della vita. Il precetto festivo non è quindi un dovere imposto dall'esterno, un peso sulle nostre spalle. Al contrario, partecipare alla Celebrazione domenicale, cibarsi del Pane eucaristico e sperimentare la comunione dei fratelli e delle sorelle in Cristo è un bisogno per il cristiano, è una gioia, così il cristiano può trovare l'energia necessaria per il cammino che dobbiamo percorrere ogni settimana. Questo Congresso Eucaristico, che oggi giunge alla sua conclusione, ha inteso ripresentare la domenica come "Pasqua settimanale", espressione dell'identità della comunità cristiana e centro della sua vita e della sua missione. [...]
Il tema scelto - "Senza la domenica non possiamo vivere" - ci riporta all'anno 304, quando l'imperatore Diocleziano proibì ai cristiani, sotto pena di morte, di possedere le Scritture, di riunirsi la domenica per celebrare l'Eucaristia e di costruire luoghi per le loro assemblee. Ad Abitene, una piccola località nell'attuale Tunisia, 49 cristiani furono sorpresi una domenica mentre, riuniti in casa di Ottavio Felice, celebravano l'Eucaristia sfidando così i divieti imperiali. Arrestati, vennero condotti a Cartagine per essere interrogati dal Proconsole Anulino. Significativa, tra le altre, la risposta che un certo Emerito diede al Proconsole che gli chiedeva perché mai avessero trasgredito l'ordine severo dell'imperatore. Egli rispose: "Sine dominico non possumus": cioè senza riunirci in assemblea la domenica per celebrare l'Eucaristia non possiamo vivere. Ci mancherebbero le forze per affrontare le difficoltà quotidiane e non soccombere. Dopo atroci torture, questi 49 martiri di Abitene furono uccisi. Confermarono così, con l'effusione del sangue, la loro fede. Morirono, ma vinsero: noi ora li ricordiamo nella gloria del Cristo risorto.
È un'esperienza, quella dei martiri di Abitene, sulla quale dobbiamo riflettere anche noi, cristiani del ventunesimo secolo. Neppure per noi è facile vivere da cristiani, anche se non ci sono questi divieti dell'imperatore. Ma da un punto di vista spirituale, il mondo in cui ci troviamo, segnato spesso dal consumismo sfrenato, dall'indifferenza religiosa, da un secolarismo chiuso alla trascendenza, può apparire un deserto non meno aspro».
22 NOV 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7605
NON SI PUO' BENEDIRE PER SDOGANARE IL MALE di Don Stefano Bimbi
Nella Bibbia il Popolo eletto benedice Dio, cioè lo loda per le sue opere e lo ringrazia per i suoi benefici: soprattutto per la creazione e per la liberazione dall'Egitto operata attraverso Mosè. In questo senso tutta la creazione loda il Signore del cielo e della terra attraverso la preghiera dell'uomo. Significativo in tal senso è il cantico di Sadrac, Mesac e Abdènego, meglio conosciuti come Anania, Azaria e Misaele. Essendosi rifiutati di adorare gli idoli, vengono gettati nella fornace ardente dal re Nabucodonosor. Interessante notare che al re dicono che il loro Dio può liberarli dalle fiamme, ma se anche non lo farà loro gli resteranno fedeli comunque. Per dimostrare la loro fede nel momento della prova benedicono il Signore chiamando tutto il creato ad unirsi a loro: «benedite, sole e luna, il Signore», «benedite, stelle del cielo, il Signore», ecc. (cfr. Dn 3,57-88)
Nella Sacra Scrittura però troviamo che anche Dio benedice. Anzi, la prima volta che si parla di benedizione è proprio in riferimento a Dio che benedice gli esseri viventi che ha appena creato: «Dio li benedisse: Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra» (Gn 1,22).
La benedizione è legata alla trasmissione della vita. Poiché essa è un dono, la benedizione la moltiplica. Anche gli sposi vengono benedetti da Dio con il dono dei figli. Questa è l'altissima vocazione dell'uomo: partecipare dell'opera creatrice di Dio. Chi blocca la nascita di nuove creature di Dio con qualunque mezzo, contraccettivo o naturale che sia, offende Dio e gli dovrà rendere conto visto che il giorno del matrimonio si era impegnato solennemente ad accettare i figli che Dio voleva donargli. Da notare che quando Dio benedice non loda le sue opere, né loda se stesso, ma effonde sulle sue opere protezione e moltiplicazione.
Simbolo privilegiato della benedizione è l'acqua, indispensabile per la vita. Quando gli ebrei vagavano nel deserto avevano il problema della sete. Allora Dio fa sgorgare l'acqua dalla roccia dimostrando così la sua benedizione. Ecco il motivo per cui in genere la benedizione viene data aspergendo con l'acqua. L'acqua benedetta effonde vita, doni, grazie.
UNA PAROLA EFFICACE
La benedizione data da Dio o anche da parte dei ministri di Dio è una parola efficace. Basta pensare alla benedizione data da Melchisedek, sacerdote del Dio altissimo e re di Salem, ad Abramo. La benedizione ad Abramo e al popolo discendente da lui, cioè gli ebrei, è irrevocabile. Se ci si pensa infatti è l'unico popolo dell'antichità che è arrivato ai nostri giorni. Tutti gli altri popoli sembravano più potenti, tanto che si studiano ancora a scuola, ma sono tutti scomparsi: assiri, babilonesi, fenici, egiziani, ecc. L'unico popolo che è ancora esistente con la sua lingua, cultura e religione (ad esempio gli egiziani di oggi non hanno nulla in comune con gli antichi egizi) è il popolo nato da Abramo proprio perché Dio gli ha dato la sua benedizione e questa è irrevocabile.
L'efficacia e l'irrevocabilità delle benedizioni che Dio fa attraverso gli uomini è riconosciuta da Isacco quando si accorge che Giacobbe gli ha estorto la benedizione al posto di Esaù: «Io l'ho benedetto e benedetto resterà» (Gn 27,33).
Nel Vangelo Gesù benedice i bambini, e cioè effonde loro salute, protezione, favori divini. Il Signore benedice il pane prima di moltiplicarlo e poi il pane e il vino nell'ultima cena prima di consacrarli nel suo corpo e nel suo sangue. Ascendendo al cielo benedice gli apostoli.
Gesù ha comandato agli apostoli di portare pace nelle case, e cioè di benedirle con i suoi favori e la sua protezione. La Chiesa ha quindi continuato il ministero apostolico moltiplicando le occasioni in cui si elargiscono le benedizioni. Le formule di benedizione un tempo erano contenute nel Rituale Romano, mentre oggi sono oggi raccolte in un libro che hanno tutti i sacerdoti chiamato Benedizionale. Oltre alle persone vengono benedette anche le cose, come le abitazioni, le automobili, il sale, l'olio, le uova pasquali, le corone del rosario, ecc. Attraverso la benedizione si conferisce a queste realtà il potere di tener lontano gli influssi del Maligno e di attuare la benevolenza di Dio.
Tuttavia questo potere è legato allo stato di grazia e all'uso di quelle realtà secondo il disegno santificante di Dio. Infatti la benedizione non è un sacramento, che opera ex opere operato, cioè per il fatto stesso di aver fatto la cosa, ma un sacramentale. Questo significa che non ha un potere immediato, ma dipende dalla grazia e dalla devozione dei soggetti che ne usano. Ecco perché alcune benedizioni appaiono inappropriate, se non addirittura scandalose e immorali.
BENEDIZIONI INAPPROPRIATE, SCANDALOSE E IMMORALI
In Italia c'è la bella tradizione della benedizione delle case. Il sacerdote oltre alle case benedice anche i luoghi dove le persone lavorano e vivono anche fuori casa, ad esempio le scuole. Questo è previsto dalla legge italiana ed è sufficiente il consenso del preside e degli organi scolastici per poter procedere con la benedizioni delle classi. Come parroco io ad esempio benedico tutti gli edifici scolastici esistenti nella mia parrocchia: sia quelli comunali che quelli tenuti dalle suore. Oltre alle case e alle scuole si benedicono ovviamente anche i negozi e le ditte. Un episodio accaduto a un mio amico sacerdote ci fa riprendere il discorso sulle benedizioni inopportune. Mentre faceva la benedizione dei negozi che si trovavano in una via del suo paese entrò anche in un nuovo negozio non accorgendosi che era un negozio "particolare": era infatti un sexy shop. Quando se ne è reso conto era troppo tardi perché aveva iniziato la benedizione come al solito. La benedizione in questo caso era in contrasto con la finalità del negozio in questione che invita al peccato e vende tutto ciò che conduce al peccato. Benedizione e peccato sono in contrasto perché Dio non può benedire ciò che contemporaneamente maledice.
Situazione analoga si riscontra nel caso in cui si voglia benedire una sede della Massoneria. Questa è l'associazione che ha collezionato più documenti di condanna da parte della Chiesa. Di nuovo, non può un ministro della Chiesa benedire ciò che la Chiesa ha così costantemente e chiaramente condannato in quanto portatrice di una visione del mondo antitetica alla dottrina cattolica.
LA BENEDIZIONE DELLE COPPIE OMOSESSUALI
Ultimo esempio di benedizione contraria alla morale cattolica è quella di cui si parla tanto in questi ultimi decenni e cioè la benedizione delle coppie omosessuali.
La giusta condotta da tenere da parte dei sacerdoti è stata ribadita per l'ennesima volta nel 2021 da un Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso.
La sacra congregazione ha ribadito che «non è lecito impartire una benedizione a relazioni, o a partenariati anche stabili, che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio (vale a dire, fuori dell'unione indissolubile di un uomo e una donna aperta di per sé alla trasmissione della vita), come è il caso delle unioni fra persone dello stesso sesso. La presenza in tali relazioni di elementi positivi, che in sé sono pur da apprezzare e valorizzare, non è comunque in grado di coonestarle e renderle quindi legittimamente oggetto di una benedizione ecclesiale, poiché tali elementi si trovano al servizio di una unione non ordinata al disegno del Creatore».
«Inoltre, poiché le benedizioni sulle persone sono in relazione con i sacramenti, la benedizione delle unioni omosessuali non può essere considerata lecita, in quanto costituirebbe in certo qual modo una imitazione o un rimando di analogia con la benedizione nuziale, invocata sull'uomo e la donna che si uniscono nel sacramento del Matrimonio, dato che non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppur remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. La dichiarazione di illiceità delle benedizioni di unioni tra persone dello stesso sesso non è quindi, e non intende essere, un'ingiusta discriminazione, quanto invece richiamare la verità del rito liturgico e di quanto corrisponde profondamente all'essenza dei sacramentali, così come la Chiesa li intende».
La risposta al dubium rammenta che la Chiesa «non benedice né può benedire il peccato: benedice l'uomo peccatore, affinché riconosca di essere parte del suo disegno d'amore e si lasci cambiare da Lui. Egli infatti ci prende come siamo, ma non ci lascia mai come siamo».
Alla fine il documento conclude che «per i suddetti motivi, la Chiesa non dispone, né può disporre, del potere di benedire unioni di persone dello stesso sesso nel senso sopra inteso».
A scanso di equivoci occorre ricordare che Papa Francesco ha dato il suo assenso alla pubblicazione del Responsum ad dubium della Congregazione della Dott
10 MAG 2023 · VIDEO: Riassuntone di questi tre anni ➜ https://www.youtube.com/watch?v=ZMwI61VIYAY&list=PLolpIV2TSebVtj34zS7A0AabuQ9cf1Uxp
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7406
FINE PANDEMIA: LO HA CAPITO (IN RITARDO) ANCHE LA CEI di Stefano Chiappalone
Dopo tre anni la pandemia è ufficialmente terminata anche per i vescovi italiani. La lettera della Cei è stata pubblicata l'8 maggio, a tre giorni dal pronunciamento dell'Oms (del 5 maggio), così come a suo tempo la sospensione dei riti religiosi in tutto il territorio nazionale era stata decretata il 9 marzo, all'indomani del primo di una lunga serie di DPCM che da Palazzo Chigi scandivano ciò che di volta in volta era proibito, concesso o «fortemente raccomandato». In Lombardia lo "stop" liturgico fu anticipato al 23 febbraio (e sempre, dichiarava l'arcidiocesi ambrosiana, «in ragione dell'ordinanza emanata dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, di concerto con il ministro della Salute, Roberto Speranza»).
Per cominciare non si può che rallegrarsi del dichiarato ritorno alla normalità, quando tutto il resto della società vi è tornato da un pezzo. Avevamo ormai dimenticato le autocertificazioni e persino il green pass; andiamo al bar o al ristorante come prima e più di prima, affolliamo le corsie del supermercato o gli eventi sociali e culturali. Ora che «il direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, condividendo l'indicazione dell'apposito Comitato tecnico, ha annunciato lo scorso 5 maggio che il Covid-19 non costituisce più un'emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale», finalmente sappiamo una volta per tutte che banchi e inginocchiatoi non sono più pericolosi di altri luoghi.
La Cei rievoca il «tempo difficile in cui le nostre comunità cristiane sono state prossime con la preghiera e le opere di carità a chi ha sofferto la malattia e le conseguenze della difficile fase economica». Esprime gratitudine al «personale sanitario» e a «tutti coloro che, in qualsiasi maniera, hanno dato il loro contributo per alleviare i disagi e affrontare la crisi». E ricorda «le tante persone che hanno perso la vita, tra cui centinaia di sacerdoti, che hanno contratto l'infezione adoperandosi per il proprio ministero». Ministero tanto più degno di riconoscimento, aggiungiamo, in quei tre mesi di lockdown in cui i sacramenti erano divenuti una rarità.
LA CEI: "GRAZIE OMS!"
«Accogliendo la comunicazione dell'OMS», ripetono ancora i vescovi, «segnaliamo che tutte le attività ecclesiali, liturgiche, pie devozioni, possono tornare a essere vissute nelle modalità consuete precedenti all'emergenza sanitaria». Insomma, si torna in chiesa e in presenza, segnalando l'opportunità «che cessino, o quantomeno siano diminuite nel loro numero, le celebrazioni trasmesse in streaming». «Tutte» e «nelle modalità consuete precedenti» sono parole che finalmente danno "speranza" (con la minuscola!), per esempio laddove si continua ad aver timore delle processioni oppure - caso frequente e segnalatoci anche dai nostri lettori - ci si ostina a imporre la comunione sulle mani anche a chi preferisce riceverla in bocca, secondo la forma tradizionale, e nonostante tale obbligo sia decaduto almeno dal 1° aprile 2022. Oppure dove ancora si grida al sacrilegio per omessa mascherina. O dove ancora si raccomanda ("non si sa mai") di non inginocchiarsi al momento della consacrazione. E si intuisce, benché non detto esplicitamente, che sia tornato anche il precetto festivo, rimasto indefinito anche dopo la riapertura.
Dovremmo poter tornare a scandire la vita della Chiesa tra a.C. e d.C. nel senso tradizionale di "avanti Cristo / dopo Cristo" e non più in quello di "avanti il Covid / dopo il Covid". Con qualche eccezione a discrezione dei vescovi diocesani, che possono «disporre o suggerire alcune norme prudenziali come l'igienizzazione delle mani prima della distribuzione della Comunione o l'uso della mascherina per la visita ai malati fragili, anziani o immunodepressi». Circostanze specifiche e ben delimitate, che speriamo nessuno voglia estendere per giustificare l'ulteriore protrarsi di uno "stato di emergenza liturgico" che perdura da più di tre anni. E creando un precedente non poco significativo, prima lasciando che l'autorità civile dicesse se andare o meno in chiesa; poi che si intromettesse anche nel modo di amministrare i sacramenti, senza battere ciglio - mentre gli ortodossi lo hanno battuto eccome (si vedano i due differenti protocolli).
UNA RIFLESSIONE SUL PASSATO E UNA SUL FUTURO
Si impone una riflessione sul passato e una sul futuro. A tre anni di distanza, perché non chiedersi anche con una sana autocritica, cosa poteva offrire (e non ha offerto) la Chiesa in quel frangente? E in quanto Chiesa, al di là dei casi pur numerosi di singoli sacerdoti sopra ricordati o di singole voci isolate come quella di mons. Giovanni d'Ercole (vox clamantis in deserto). Non si può certo tacere l'impressione che, talora, la preoccupazione per la salute dei corpi sia stata superiore a quella per la salus animarum; che le mani di troppi sacerdoti fossero più impegnate a igienizzarsi che a benedire ed assolvere. Che nel momento di maggiore sofferenza, non solo fisica, ma anche psicologica e spirituale, a un numero troppo grande di anime, pressoché vicino al totale, la Chiesa che pur si vanta di essere "ospedale da campo" abbia detto: restate a casa e curatevi da soli. È il senso del cartello apposto sulla porta di un santuario: «Confessioni e messe sospese. Pregate in casa». Forse che ci si può assolvere da soli? Se il precetto festivo può essere modificabile per disciplina ecclesiastica, la confessione sacramentale non lo è, per diritto divino.
Sul futuro, già nell'aprile 2020 mons. d'Ercole scriveva: «Vedremo nel tempo quale effetto abbia causato questa quarantena con l'assenza delle celebrazioni, dei funerali, dei battesimi e del contatto diretto tra pastori e fedeli». L'effetto lo si è visto sin dalla riapertura delle celebrazioni pubbliche: tanti i posti vuoti tra i banchi, lasciati dalle vittime dell'allarmismo o semplicemente dell'inerzia. Posti lasciati vuoti da una pastorale che nei tre mesi precedenti aveva proclamato quale sommo comandamento dell'amore: "Non contagerai il prossimo tuo" (anche se magari eri perfettamente sano). Torna alla mente un libro del cardinal Giacomo Biffi intitolato Il quinto Evangelo, in cui, con la consueta ironia immaginava il ritrovamento di testi "originali" che avallavano finalmente le parole d'ordine più alla moda. Biffi morì nel 2015, ma se fosse vissuto ancora qualche anno avrebbe potuto fare lo stesso con gli Atti degli Apostoli, descrivendo così i cristiani al tempo della pandemia: «Erano assidui nell'ascoltare la conferenza stampa del premier e nel distanziamento fraterno e nel seguire in tv la frazione del pane...».
18 APR 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7390
L'UNZIONE DEGLI INFERMI E' OBBLIGATORIA di Gelsomino Del Guercio
Prima di morire [...] non è una formalità garantire un sacramento a una persona. Ma dovrebbe essere dovere di ogni cristiano. E vi spieghiamo perché.
Come si legge in "Le più efficaci preghiere in suffragio dei defunti" a cura di Don Marcello Stanzione (edizioni Segno), la morte non è qualcosa di spaventoso per il cristiano. "Vita mutatur non tallitura" (la vita è cambiata non è tolta) ci fa recitare la Liturgia (Prefazio della messa dei defunti); dopo la morte la nostra anima continua a vivere, per chi muore in stato di grazia; essa entra in una vita migliore, nell'attesa di ritrovare il suo corpo il giorno del giudizio universale per farlo partecipare alla felicità eterna.
Un tempo, si legge nel libro di Stanzione, riguardo ai deceduti si diceva: "Ha ricevuto i sacramenti? Si è confessato? Ha perdonato?". Oggi invece si dice: "Ha sofferto?". Così spesso si nasconde ai malati la vicinanza della morte o per ignoranza (perché non si conoscono gli effetti dei sacramenti) o per mancanza di fede e di spirito cristiano. Purtroppo non si ha una concezione cristiana della morte e si pensa: "come reagirà il malato se si fa venire il sacerdote? Avrà paura, si dispererà?". Queste obiezioni purtroppo sono correnti.
Per confutarle Stanzione cita, il dottor Pierre Barbet, che fece il resoconto di una lunga esperienza: «Vi sono nella malattia, nelle sofferenze, delle grazie particolari delle quali noi medici constatiamo gli effetti, esse mettono per bontà divina i malati gravi e moribondi in uno stato migliore che non si può supporre e al quale non pensano ordinariamente le loro famiglie. E' un fatto sul quale occorre insistere perché è poco conosciuto e il fatto di non conoscerlo comporta ad ogni istante dei malintesi spaventosi, mentre facilita moltissimo tutti gli interventi dei parenti: il malato grave, il morente ha quasi sempre un desiderio segreto del sacerdote e dei soccorsi della religione».
QUANDO DARE L'UNZIONE DEGLI INFERMI
L'autore del libro fa una sollecitazione ai lettori: domandate fin da adesso ai vostri cari che abbiano il coraggio di avvertirvi quando la morte sarà vicina o di farvi avvertire da un sacerdote. Certamente occorrerà farlo sempre con delicatezza e prudenza. Va ricordato che a Chiesa raccomanda di ricevere i sacramenti quando si è ancora sani di mente e con qualche speranza di vita. Infatti il Catechismo del Concilio di Trento, al paragrafo 269, afferma: "Ricordiamo che cadono in grave colpa coloro i quali sogliono ungere i malati solo quando, svanita ogni speranza di guarigione, cominciano a perdere i sensi e la vita. Invece è certo che a conseguire più abbondante la grazia sacramentale, giova moltissimo che al malato sia applicato l'olio santo quando ancora conserva lucide l'intelligenza, pronta la ragione e pia la volontà".
Quanti malati gravi, purtroppo si lasciano nelle angosce e nelle prove, nascondendo loro che la morte si avvicina, privandoli così dei conforti della religione.
L'Unzione degli infermi, che in passato era nota con il nome di «Estrema Unzione», si riceve mediante l'unzione con olio di oliva consacrato e la preghiera del sacerdote, la salute dell'anima e spesso anche quella del corpo.
Ora cerchiamo di capire perché è così importante.
Questo sacramento manifesta quanto è grande la bontà di Dio nei nostri riguardi, infatti con esso l'anima viene fortificata, perché col conferimento della grazia sacramentale, essa riceve le grazie attuali che l'aiutano a perseverare nel bene fino alla morte, rimette i peccati mortali che l'infermo pentito non potesse più confessare (purché l'infermo abbia almeno l'attrizione, cioè il dolore imperfetto dei propri peccati), e le pene dovute ai peccati; e se ciò è utile all'anima ottiene pure la guarigione del corpo.
CHI DEVE E CHI NON DEVE RICEVERLE QUESTO SACRAMENTO
Anche Roberti e Palazzini nel loro Dizionario di Teologia morale, come tutti gli altri buoni testi, ci confermano che: "È evidente che l'estrema unzione non può essere amministrata a coloro che sono già morti. Siccome però non è da escludere la possibilità di uno stato di vita latente che, almeno in certi casi, si protrarrebbe per qualche tempo, dopo cessate le pulsazioni del cuore e la respirazione, la Chiesa, quale pia madre, permette di amministrare entro breve tempo da questa cessazione, sotto condizione, l'estrema unzione a coloro che ci appaiono morti, ed entro un tempo ancor più lungo, se sono stati colpiti da morte improvvisa".
Il Codice di Diritto Canonico del 1917 al can. 940§1 riporta che per ricevere validamente l'Estrema Unzione è necessario che il soggetto sia in stato di viatore (cioè essere ancora in vita), sia stato battezzato abbia raggiunto l'uso di ragione, sia in pericolo di vita per causa di malattia o di debolezza senile e infine abbia l'intenzione di riceverla.
Oggi, scrive ancora Stanzione in "Le più efficaci preghiere in suffragio dei defunti" vi è l'abitudine di amministrare questo sacramento alle persone anziane di una certa età, anche se sane. Dobbiamo però precisare che: "può ricevere l'estrema unzione il battezzato che ha raggiunto l'età della discrezione e che si trova in pericolo di vita a cagione di malattia, non colui il quale benché prossimo alla morte è ancora in buona salute. (can. 940 §I)". [...]
28 FEB 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7330
SAN FRANCESCO DI SALES E IL TRIBUNALE DELLA PENITENZA di Cristiana de Magistris
La quaresima è il tempo penitenziale per antonomasia, e la penitenza per antonomasia è la penitenza sacramentale, la quale soltanto - a differenza delle altre pratiche penitenziali, per quanto austere - ha il potere di ripristinare nell'anima di ogni battezzato la grazia santificante, cioè la vita di Dio, se avesse avuto la disgrazia di perderla col peccato mortale.
L'abbé Barthe, in un recente articolo, dopo aver giustamente sottolineato la crisi che attraversa questo Sacramento a partire dal Vaticano II, auspica una "risalita", conseguente all'ecatombe degli ultimi cinquant'anni.
A questa risalita potrà forse contribuire un opuscolo - non molto conosciuto - che san Francesco di Sales scrisse ai suoi sacerdoti per erudirli sull'amministrazione del Sacramento della penitenza.
In tale scritto il Santo - come si legge nella sua Vita composta dal curato di san Sulpizio (Torino 1922, pp. 195-199) - incomincia con il raccomandare ai sacerdoti di andare sempre al sacro tribunale con una profonda purità di coscienza ed un'ardente desiderio di salvare le anime; poi aggiunge: «Ricordatevi che i poveri penitenti vi chiamano loro Padre, e che perciò dovete avere per essi un cuore tutto paterno, riceverli con dolcezza, sopportare con pazienza la loro rusticità, la loro ignoranza e tutti i loro difetti, ad imitazione del padre del figliuol prodigo, che non si lascia respingere dallo stato stomachevole di nudità e di sordidezza in cui vede ridotto il figlio, ma lo abbraccia, lo bacia con trasporto d'amore perché è padre, ed il cuor di padre è tenero verso i figli».
IL SACERDOTE CONOSCE L'UMANA DEBOLEZZA
In base a questo principio, vuole che si incoraggino quelli i cui peccati rendono vergognosi e timidi, dicendo ad essi che il sacerdote conosce troppo bene l'umana debolezza, perché si meravigli che gli uomini pecchino; che l'uomo più si onora con il pentimento e con la confessione delle proprie colpe, di quello che si sia disonorato con gli stessi suoi falli, e che la penitenza è una seconda innocenza. Se, all'opposto, i penitenti sembrano senza timore, vuole che si rammenti loro che sono alla presenza di quel Dio che li giudicherà, e non già di un uomo; che per essi in quel momento si tratta di una eternità felice o infelice, e che con una confessione mal fatta si macchierebbero di un nuovo delitto. Quanto a coloro che mancano di confidenza, inculca di rappresentare loro la misericordia di Dio, che è più grande delle nostre miserie; la bontà di Gesù Cristo, il Quale pregando per i Suoi carnefici ci fa intendere che, se lo avessimo crocifisso anche con le nostre proprie mani, ci perdonerebbe ugualmente, se ci vedesse pentiti; che il minimo pentimento, purché sia sincero e accompagnato dal Sacramento, dinanzi a Dio ha la virtù di cancellare tutti i peccati; che i dannati e i demoni stessi sarebbero giustificati se potessero confessarsi con sentimento di contrizione; che i più grandi Santi spesso sono stati grandi peccatori, come Davide, san Pietro, san Matteo, santa Maria Maddalena, sant'Agostino; che la più grave ingiuria che si possa fare alla divina Bontà e alla Passione e Morte di Gesù Cristo è il non sperare di ottenere il perdono dei propri falli; e che, infine, la remissione dei peccati è un articolo di Fede.
I PECCATI VERGOGNOSI
Il Santo suggerisce poi le sante industrie con le quali conviene strappare la tanto difficile accusa dei peccati vergognosi, e condurre, come egli dice, pian piano e destramente le belle anime dei penitenti a fare una buona confessione, aiutandoli, lasciandoli parlare senza trovar di che dire sul loro modo di esprimersi, animandoli con queste o altre simili parole: «Quale grande grazia vi fa Dio di ben confessarvi! Conosco che lo Spirito Santo vi muove per farvi fare una buona confessione. Abbiate coraggio: dite francamente... ben presto avrete un sommo contento di esservi ben confessato, e nessuna cosa di questo mondo vi sembrerà da paragonarsi con la felicità di avere interamente sgravata la vostra coscienza; quale consolazione per voi nell'ora della morte di aver fatta questa buona confessione!».
Quindi il santo Vescovo passa alle interrogazioni da farsi ai penitenti, dopo che hanno finito l'accusa; per conoscere tanto il numero dei peccati, con le circostanze che ne mutano la specie, li aggravano o li diminuiscono, e spesso anche li moltiplicano in un solo atto, quanto i peccati di pensiero e di desiderio, che molte volte non si confessano, e anche quelli che si sono fatti commettere al prossimo.
Tanta sapienza unita a tanta prudenza mostra con chiarezza che il Sacramento della penitenza richiede una specialissima diligenza nei confessori, i quali nell'atto di assolvere amministrano il Sangue di Cristo. Occorre dirlo con chiarezza: si tratta di un tribunale in cui si incontrano un reo confesso (il penitente) e un giudice (il confessore). Non si può ridurre la confessione ad uno sterile elenco di mancanze e neppure ad una conversazione, per quanto spirituale. Non è questa la natura del Sacramento. Il Confessore non è un accompagnatore, e tantomeno un amico spirituale: nell'atto in cui confessa egli siede come padre ma soprattutto come giudice, e perciò ha tutti i diritti, e talvolta il dovere, di fare domande prima di emettere la sentenza dell'assoluzione, che può anche negare, qualora lo giudichi necessario.
LE REGOLE PER L'ASSOLUZIONE
L'Autore tratta poi delle regole per l'assoluzione e dei casi riservati, quindi della penitenza da imporre, che vuole sia tale che il penitente la faccia volentieri e sia un preservativo contro le ricadute. Infine, esorta i Confessori a raccomandare ai loro penitenti di confessarsi e comunicarsi spesso, di assistere alle prediche e istruzioni, di leggere buoni e devoti libri, di fuggire le cattive compagnie e frequentare le buone, di pregare spesso, di fare ogni sera l'esame di coscienza, di pensare ai quattro Novissimi, e di avere un Crocifisso e delle sante immagini da baciare spesso.
Tali sono le regole che prescriveva il santo Prelato al suo clero. Ed era il primo a metterle in pratica. Nel processo di canonizzazione del Santo, i sacerdoti e religiosi di Annecy deposero con giuramento che il pio Vescovo aveva ordinato a tutti loro di mandare al suo confessionale i più poveri e miserabili, come pure le persone affette da mali ripugnanti e nauseabondi perché, diceva, quantunque siano le più bisognose, sono in genere le più abbandonate. Alcuni anni prima, nel 1593, quando si trovava nello Chablais, il Santo - dopo averli istruiti - confessò alcuni soldati, uno dei quali cadde in profondo abbattimento dopo aver udito un sermone di Francesco sull'orrore del peccato. Il Santo ne prese una scura speciale, alloggiandolo nella propria abitazione, mangiando con lui e istruendolo sulla confessione, che il soldato fece a più riprese. Il Santo, commosso dalla sua contrizione, gli impose per penitenza solo un Pater e un'Ave. Il soldato protestò, sembrandogli quella penitenza sproporzionata all'enormità dei suoi delitti, ma il Santo rispose: «No, confidate nella divina misericordia, che è assai maggiore delle vostre iniquità, e in quanto alla penitenza farò io il resto». In quest'occasione il santo Vescovo non solo pregò per il suo penitente, ma spinse la sua sconfinata carità fino ad una sorta di "soddisfazione vicaria", come faceva, in tempi più recenti, padre Pio di Pietrelcina. Un eroismo non imposto né richiesto a tutti i confessori, ma certamente lodevole e raccomandabile.
IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI
Ma l'opuscolo sulla confessione prosegue. Siccome non di rado accadono delle illusioni, ed i Confessori sono esposti a prendere nei loro penitenti per ispirazioni dello Spirito Santo i suggerimenti dell'amor proprio, i traviamenti di un'immaginazione esaltata o le suggestioni dello spirito delle tenebre, il santo Vescovo credette dover aggiungere nel suo scritto alcune regole per il discernimento degli spiriti.
Secondo questo sperimentato maestro, i contrassegni dello Spirito di Dio sono:
1. l'umiltà, che insegna all'uomo a conoscere la propria debolezza, a tremare considerando sé stesso, ma a sperare mirando Dio;
2. la dolcezza e la carità nel tollerare i difetti del prossimo;
3. l'amore ai patimenti e alla pazienza;
4. l'obbedienza, che ama lasciarsi guidare.
Al contrario, i contrassegni dello spirito di menzogna sono:
1. l'amor proprio che conta sopra la sua virtù, che stima il suo giudizio ed il suo modo di intendere, cerca di comparire e di farsi conoscere, è schizzinoso e facile ad offendersi;
2. lo zelo amaro e senza compassione per i difetti altrui;
3. l'impazienza, che si lagna nei patimenti e si disanima nelle difficoltà;
4. l'orgoglio e l'ostinazione, che mai non sanno sottomettersi.
Tutti questi saggi consigli furono accompagnati da una lettera dedicatoria, ben degna di essere riportata.
«Miei carissimi fratelli - così scrisse il Santo al suo clero - l'ufficio che esercitate è eccellente, giacché Dio vi ha scelti per giudicare le anime con tanta autorità che le giuste sentenze che pronunziate sulla terra vengono confermate in Cielo, e le vostre labbra sono i canali per i quali la pace scorre dal cielo in
2 AGO 2022 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7100
LO SCANDALO DELLA MESSA SUL MATERASSINO
Un sacerdote celebra in costume nel mare di Crotone: la procura indaga per offesa alla religione, poi il sacerdote chiede scusa sul sito della parrocchia, ma precisa ''una signora mi ha ringraziato dicendomi che si era sentita raggiunta dalla Chiesa anche in spiaggia''
di Giuliano Guzzo
La vicenda di don Mattia Bernasconi, il sacerdote milanese che domenica scorsa ha celebrato l'eucaristia in mare - su un materassino - in località Alfieri (Crotone), nelle scorse ore ha conosciuto almeno due elementi di sviluppo. Il primo è dovuto ad una iniziativa della procura crotonese che, dimostrando più tempestività delle autorità ecclesiali, ha deciso indagare il sacerdote della parrocchia di San Luigi Gonzaga di Milano per offesa ad una confessione religiosa. Il secondo dato di novità sono invece le scuse del sacerdote in questione che, sul sito della parrocchia, ha pubblicato una lettera in tal senso.
«Carissimo Arcivescovo Mario, carissimi vicari episcopali, carissimi confratelli, carissimi fratelli e sorelle nella Fede», è l'esordio della nota, «vi scrivo poche ma sentite righe per chiedere scusa per la celebrazione di domenica 24 mattina nelle acque del mare di Capo Colonna». Tutto bene, dunque? Non proprio, e non solo perché, come si diceva poc'anzi, l'episodio rischia di avere conseguenze giudiziarie. Infatti, il sacerdote, formulando le sue scuse, ha da una parte derubricato tutto ad una leggerezza («mi rimprovero forse un po' di ingenuità») - quasi avesse posteggiato l'auto in doppia fila, anziché mancare gravemente di rispetto alla Presenza reale di Gesù nell'eucaristia - e, dall'altra, ha aggiunto una considerazione spiazzante.
«Però una signora mi ha ringraziato», ha replicato don Mattia, «dicendomi che si era sentita raggiunta dalla Chiesa anche in spiaggia». Un pensiero che andrebbe benissimo se di mezzo ci fosse l'attività di vendita di birra o di cocco fresco; ma un sacerdote - anche se forse il concetto non è forse più così chiaro - è qualcosa di leggermente diverso dall'uomo del «cocco bello». Soprattutto, la Santa messa è qualcosa di anni luce diverso da un semplice intrattenimento in salsa religiosa, da allestirsi dove capita. Peccato, pure qui, che però il significato originale della celebrazione della liturgia si sia perso spesso di vista in favore di degenerazioni sconcertanti.
Dinnanzi a tutto questo, amareggia ancora più un fatto: il debutto della messa sul materassino gonfiabile era stato in qualche modo previsto. E non l'anno scorso, ma decenni or sono quando l'allora cardinale Joseph Ratzinger, intervistato da Vittorio Messori in un libro che fece epoca - Rapporto sulla fede (1985) - ebbe a rammentare: «La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese " simpatiche ", di trovate " accattivanti ", ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l'attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro». Ora, perché sono significative tali valutazioni?
Per un motivo semplice: pur togliendo le parole, tanto è grave, il caso del sacerdote che arriva a dire messa sul materassino gonfiabile non è il problema, bensì la più estrema conseguenza di un problema. Che è quello di celebrazioni improvvisate, disordinate e, in definitiva, della totale mancanza di consapevolezza di che cosa sia l'eucaristia, anzi di Chi sia. A non saperlo, non è una novità, sono anzitutto milioni di fedeli ogni domenica, non c'è dubbio. Il punto è che, se ad istruire e a formare questi stessi fedeli, sono poi pastori che a loro volta preferiscono il mare all'altare, stiamo freschi; e in tutti i sensi, anche se purtroppo la cosa è ben poco consolante.
Nota di BastaBugie: Stefano Chiappalone nell'articolo seguente dal titolo "La liturgia annega nel mare di Crotone" spiega che la Messa celebrata in acqua, con il celebrante in costume e usando un materassino come altare, è il culmine di decenni di sperimentazioni in cui ciascuno si sente padre-padrone del culto, da manipolare a piacere, nell'indifferenza di una gerarchia che sanziona soltanto la Tradizione
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 26 luglio 2022:
Le foto che stanno facendo il giro del web parlano da sole: una Messa in mare utilizzando un materassino come altare, con tutti i presenti in costume, compreso (ovviamente) il celebrante. A che pro? Nel corso dei decenni le hanno tentate tutte per mostrare una Chiesa "accattivante" (o semplicemente modaiola), ma a don Mattia Bernasconi va riconosciuto senz'altro il "merito" di aver superato tutti gli altri, buttando - letteralmente - a mare quel che resta della sacralità del culto cattolico ma anche del buon senso.
La bizzarra liturgia è avvenuta al termine di un campo di volontariato a Crotone, organizzato da Libera (l'associazione fondata da don Luigi Ciotti). Qui il giovane sacerdote ambrosiano, viceparroco della Comunità Pastorale San Luigi Gonzaga di Milano, ha portato i suoi ragazzi a trascorrere alcuni giorni tra escursioni e incontri sulla legalità, al termine dei quali, essendo domenica, si doveva pur onorare il giorno del Signore. Ma dove? In chiesa sarebbe parso troppo scontato: «Avevamo scelto una pineta di un campeggio ma era occupata da un'altra iniziativa. Faceva molto caldo e così ci siamo detti: perché non fare la Messa in acqua? Una famiglia che si trovava nei pressi ci ha sentito parlare ed ha messo a disposizione il loro materassino che abbiamo trasformato in altare. È stato bellissimo anche se ci siamo scottati», riferisce il sacerdote.
Il diritto canonico sembrerebbe pensarla diversamente: «La celebrazione eucaristica venga compiuta nel luogo sacro [cioè, in chiesa], a meno che in un caso particolare la necessità non richieda altro; nel qual caso la celebrazione deve essere compiuta in un luogo decoroso» (Can. 932 §1). Ci sarebbe da dire sia sul luogo «decoroso» (che dovrebbe significare anche: adatto all'azione sacra), sia sulla «necessità»: possibile che non ci siano chiese a Crotone? Immaginiamo che non fossero raggiungibili facilmente dall'allegra brigata costringendola a "improvvisare"... però «il sacrificio eucaristico si deve compiere sopra un altare dedicato o benedetto; fuori del luogo sacro può essere usato un tavolo adatto, purché sempre ricoperto di una tovaglia e del corporale» (ivi, §2). Almeno un tavolo, non un materassino! E perché in mezzo all'acqua invece che sulla riva, non avranno mica naufragato? La mobilità dell'altare "aquatico" non avrà forse favorito la dispersione di frammenti? E come sarà andata per la comunione? La sacra particola avrà cominciato a sciogliersi sulle mani probabilmente bagnate... Senza contare la possibilità che un'onda anomala travolgesse l'anomalo altare con tutto il Corpo e Sangue.
Se in contesti drammatici sacerdoti e fedeli sono stati costretti a celebrare con mezzi di fortuna, qui non siamo in un campo di concentramento, né in guerra, per cui l'unica «necessità» ipotizzabile è l'insopprimibile smania di protagonismo che da decenni spinge il clero a escogitare infinite variazioni di quella lex orandi che dicono sia e debba essere unica, ma invece si rivela di fatto una, nessuna, centomila.
La "Missa aquatica" di Crotone è la vetta (o l'abisso?) di una liturgia concepita come campo di battaglia in cui "vince" chi la inventa più grossa, annegando - è il caso di dirlo - l'unico vero Protagonista.
Ancora una considerazione, sul piano più laico: immaginereste un giudice che, spinto dalla calura e dal desiderio di mostrarsi cool, decidesse di tenere un processo in spiaggia, col costume invece della toga? O un giornalista che trasmettesse il telegiornale a bordo piscina? Qualunque sia l'ambito, nell'esercizio delle proprie funzioni ciascuno tende a presentarsi in modo professionale. Ne va della serietà di ciò che sta compiendo. Non dovrebbe valere, a maggior ragione, per chi compie la più elevata delle funzioni, la più sacra delle azioni? A meno di non ridurre la Messa a un gioco di società... Il tutto con un sottinteso senso di "impunità", sapendo di poter stravolgere il mistero affidato loro, ben sapendo di non rischiare nulla (curioso paradosso, dopo un campo sulla "legalità": vale solo per le norme civili, mentre il Corpo di Cristo si può manipolare a piacimento?). Di certo il comunicato della diocesi di Crotone («è necessario mantenere quel minimo di decoro e di attenzione ai simboli richiesti dalla natura stesse delle celebrazioni liturgiche») non basterà a dissuadere il don Mattia di turno dal presentare il proprio numero sulla scena del cabaret liturgico, mentre gli unici a subire sanzioni concrete sono quei sacerdoti che celebrano con pietà e riverenza secondo un rito usato per secoli nella Chiesa.
La Messa di don Mattia è in realtà l'epifania della "pastorale della spoliazione", che credeva di togliere orpelli e ha finito per perdere di vista la sostanza. Pur di "avvicinare" la gente (che non si è avvicinata affatto) alcuni chierici hanno iniziato spogliando gli altari. Poi hanno ridotto i paramenti, limitandosi a camice e stola, talvolta soltanto la stola. Infine, sono rimasti in mutande, pardon, in costume. Sarà stato, almeno quello, del colore liturgico giusto?
Gesù Cristo, unico salvatore del Mondo, continua ad agire oggi attraverso la sua Santa Chiesa
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