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Il meglio degli scrittori classici e contemporanei in tutti gli stili, ma sempre con la ricerca della verità al primo posto
16 GEN 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7673
IL FUOCO SEGRETO CHE ANIMA TOLKIEN E' LA SUA FEDE CATTOLICA di Fabio Piemonte
«Ho esposto il mio cuore perché gli sparassero», scrive Tolkien all'indomani della pubblicazione del primo volume de Il Signore degli Anelli. I suoi detrattori ne liquidarono subito l'opera, poiché delineava a loro avviso in maniera semplicistica il confine tra bene e male. Eppure i «temi dell'opera sono la chiave d'accesso alle sue più profonde preoccupazioni, comprese la morte e l'immortalità, la nostalgia del paradiso, la creazione e la creatività, la realtà della virtù e del peccato, della corretta gestione della natura, dei rischi morali che il possesso del potere tecnologico comporta. Dal momento che credeva nelle verità di certi dogmi, egli le utilizzò come torce o lampade di cristallo, che diffondevano la luce nei luoghi bui. Si tratta di una storia che ci dice cose che abbiamo bisogno di sapere».
Nel prezioso saggio Il fuoco segreto (Lindau 2023, pp. 191) recentemente ripubblicato, Stratford Caldecott - direttore del Chesterton Institute di Oxford - illumina così il tema della ricerca spirituale di Tolkien a partire da un'analisi acuta di opere, personaggi e simboli che popolano l'immaginario epico del grande scrittore britannico.
«Tolkien era un esploratore. Le storie a cui dedicò così tanto tempo ed energia sono appunti delle sue spedizioni alla ricerca di un mondo più antico o "interiore". Sapeva di scrivere finzioni, ma allo stesso tempo sentiva che stava raccontando la verità sul mondo». Tolkien fa esperienza infatti dell'amore vero per Edith che diventerà presto sua moglie; del dolore familiare (orfano del padre, perde anche la madre a 12 anni) e collettivo (partecipa alla Prima Guerra Mondiale); dell'amicizia in particolare con Lewis. Tutte esperienze che trasfigura nella mitopoiesi dei suoi racconti epici, dove il linguaggio è rivelativo della realtà profonda, nel contempo misteriosa e concreta, delle cose.
L'EROE CRISTIANO
Di qui, rileva Caldecott, «la 'Terra di mezzo' prende il nome dalla sua posizione tra paradiso e inferno». Come Lo Hobbit anche il suo capolavoro è un viaggio «"andata e ritorno" dal terreno all'epico, dal quotidiano all'eroico, per poi far ritorno al terreno». Al contrario de Lo Hobbit ne Il Signore degli Anelli «non vi è la riconquista di un tesoro, ma la sua perdita: l'anello deve essere "disfatto" nel fuoco in cui era stato forgiato. Il nemico non può sospettare che coloro che custodiscono l'Anello si rifiutino di utilizzarlo, o addirittura vogliano distruggerlo».
In questo modo, «via via che l'avventura procede, Frodo emerge come modello d'eroe molto "cristiano". L'eroe cristiano si lascia umiliare e crocifiggere, rifiuta il rispetto e la gloria terreni in nome di qualcosa di molto più grande: non solamente la propria integrità, ma la volontà del Padre nei cieli; non per se stesso, ma per Dio e per il prossimo. Frodo fa quello che sa di dover fare per il bene degli altri: "Ho tentato di salvare la contea ed è stata salvata, ma non per merito mio"». Una missione che inizia, non a caso, il 25 dicembre.
E in effetti i riferimenti cristologici sono, fuor di metafora, molteplici. Per esempio, come Gesù nell'orto degli ulivi, così nella tana di Shelob Frodo subisce le conseguenze del tradimento di Gollum; oppure, come Gesù cade sotto il peso della croce e necessita dell'aiuto del Cireneo, così quando l'Anello cresce in peso e potere l'hobbit cade a terra e Sam si offre di portare "il fardello". Tuttavia nell'ora finale non è Frodo a salvare il mondo, né Gollum che gli stacca il dito con un morso; «la salvezza giunge come conseguenza della misericordia e del perdono che Frodo aveva dimostrato precedentemente nei confronti di Gollum», ossia in sostanza è Dio che, nella sua provvidenza, sa volgere al bene anche gli errori umani e i piani del nemico.
LA NOSTALGIA DI CRISTO
Riguardo alla figura di Aragorn, Caldecott sottolinea che in lui, «come in Artù, il sangue regale si deve dimostrare meritevole del regno attraverso l'eroismo». Aragorn, che percorrendo i Sentieri dei Morti libera l'esercito fantasma di Isildur e svela le insegne del suo regno che solo i morti viventi vedono e seguono, allude alla figura del Re che dorme e sveglia le anime dei giusti nel sabato santo. Di qui, «una volta che il Re si prende il suo trono, potremo far ritorno al nostro mondo con l'autorità di amici e servitori del Re, per dare inizio al compito che ci attende una volta tornati a casa».
È la «conoscenza di una luce e di una bellezza che vale la pena difendere a ispirare l'eroismo» della Compagnia dell'Anello. Sam, fedele a Frodo, fa ritorno dalla sua famiglia e assume il potere di guarire la Contea dalle ferite della guerra. Galadriel, immacolata per non aver compiuto azioni malvage, «visione di saggezza, bellezza, grazia e luce senza ombre», è figura della Vergine Maria, in quanto ha «la bellezza sia come maestà che come semplicità»; e ancor più Elbereth, Regina delle Stelle, la quale «ha il ruolo di trasmettere la luce alle regioni celesti».
Esiste dunque «uno spirito elfico infuso negli uomini che significa il risveglio di un'insoddisfazione divina, un eros per il trascendente». È la nostalgia di Cristo che il lembas, il «Pan di via» degli Elfi che allude all'Eucarestia, rinsalda. Ne è ben consapevole Tolkien che cerca perciò di partecipare quotidianamente alla Santa Messa per attingere quel «fuoco segreto», ossia «l'amore di Dio che brucia nel cuore del mondo» e di ogni uomo.
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5 DIC 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7619
GENDER, SESSO DEGLI ANGELI E OBLIO DELL'OCCIDENTE di Fabio Piemonte
«Il gender è il prodotto di una società il cui obiettivo è quello di condurre una guerra totale alla natura in modo tale che tutto, assolutamente tutto, diventi artefatto, prodotto, cosa, artificio, utensile. La sinistra aveva promesso di cambiare la società e ha fallito; ora si propone di cambiare l'uomo. Sopprimere la differenza sessuale con il pretesto che una differenza è una disuguaglianza è intraprendere la strada della costruzione di un nuovo essere umano, liberato dal suo sesso. La teoria del gender è il tentativo di liberare l'uomo e la donna dalla costrizione identitaria prima e ultima, quella della nascita. I transgender sono eroi del nostro tempo, incarnazione della dignità assoluta dell'uomo divinizzato che vuole disfarsi delle catene di ciò che siamo originariamente e autenticamente». Così scrive con grande acume Giulio Meotti nel suo recente saggio "Gender. Il sesso degli angeli e l'oblio dell'Occidente" (Liberliberi 2023, pp. 150).
Sembrava una moda passeggera e invece l'ideologia di genere «è diventata dogma e la libertà di pensiero e di espressione diminuisce man mano che si espande questo regno dell'irragionevolezza e dell'indottrinamento. È partito dalle accademie per arrivare al cuore pulsante della nostra società, con i suoi simboli, le sue aziende, le sue pubblicità, ossia con le immagini che ci mostrano ciò che vogliamo desiderare, ciò che vorremmo essere». Lo sanno bene le sue vittime illustri, come la Rowling ostracizzata per le sue esternazioni, e quelle comuni, come i genitori che, per esempio in Spagna, se si oppongono alla transizione di genere dei propri figli rischiano la denuncia dei servizi sociali.
Sul piano culturale invece il lavaggio del cervello lo fa la neolingua: persino l'Oxford Dictionary, accanto ai dizionari dei Paesi scandinavi, ha accolto il pronome personale di genere neutro. La scrittura inclusiva fa scuola anche negli ospedali. Al Brighton and Sussex University Hospitals Nhs Trust si parla ormai, contro ogni senso comune, di «allattamento al torace», «latte umano» e «genitore che partorisce». A New York la festa della mamma è diventata la festa «delle persone che partoriscono». Le più importanti riviste scientifiche a livello internazionale sono prone a tale ideologia al punto che The Lancet parla di «corpi con la vagina» al posto di donna; Nature si propone di rifiutare articoli con «punti di vista esclusivisti», quali quelli di quanti sostengono la binarietà dei sessi. Di qui, in barba alla genetica dei cromosomi, si arriva alle formule grottesche di slogan quali «Non solo le donne possono avere figli» o «I maschi trans sono donne».
Insomma, come rivela la finestra di Overton, un'idea dapprima ritenuta impensabile può divenire gradualmente condivisibile al punto da dettar legge. Coi suoi dogmi, precetti e riti, adepti e apostati, l'ideologia di genere si presenta ormai alla stregua di una nuova religione di matrice chiaramente gnostica che ha alle sue fondamenta la cancellazione del dato biologico e della differenza sessuale. Assume il dualismo cartesiano mente corpo, demonizza il corpo, all'insegna di un'assoluta fluidità di genere, allo scopo di «consentire ai bambini di considerare la loro identità di genere non correlata al loro sesso biologico; e anzi incoraggiarli in questa direzione; facilitare l'accesso dei bambini ai trattamenti ormonali, ai bloccanti della pubertà e agli interventi chirurgici che cambiano irreversibilmente i loro corpi; persuadere i giovani che le difficoltà tipiche dell'adolescenza - accettazione delle trasformazioni del proprio corpo, scoperta della propria sessualità, adattamento alla vita in società - sono principalmente causate dalla disforia di genere e possono essere risolte solo da un cambiamento di identità di genere; dare agli uomini che si dicono donne pieno accesso alle competizioni sportive, alle carceri e ai rifugi riservati alle donne», come osserva ancora Meotti.
Il credo gender ha i suoi «simboli, canti, bandiere, sfilate, ricorrenze; i suoi eretici omofobi e transfobici». I suoi acerrimi nemici sono i detransizionisti, ossia quanti «non aderendo più alla teoria, sono simili agli apostati». Relativamente all'insidiosità di tale ideologia Joseph Ratzinger, nel libro-intervista con Vittorio Messori del lontano 1984, puntualizzava con lungimiranza profetica: «Questo cosiddetto cambio di sesso non modifica in alcun modo il corredo genetico dell'interessato. É solo un artefatto esterno che non risolve alcun problema ma costruisce solo realtà fittizie». Intuendone i risvolti tragici sul piano pratico lo stesso fine teologo aggiungeva come «non sia un caso che le leggi si siano subito adeguate a tale richiesta. Se tutto è solo un 'ruolo' culturalmente e storicamente condizionato, e non una specificità naturale inscritta nel profondo dell'essere, anche la maternità è solo una funzione accidentale». Di qui, sottolinea infine Meotti, «quest'uomo sradicato è chiamato a diventare qualsiasi cosa, un ventre in vendita o un essere ibrido che genera se stesso, liberatosi dalla sua ingombrante umanità, e che si crede un piccolo dio».
19 SET 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7543
TOLKIEN E IL SIGNORE DEGLI ANELLI 50 ANNI DOPO di Paolo Gulisano
Il 2 settembre del 1973, cinquant'anni fa, moriva in Inghilterra John Ronald Tolkien. È trascorso mezzo secolo, e questo autore deve essere ormai considerato un vero e proprio classico della Letteratura. L'opera di Tolkien ha continuato a conoscere un grande successo di pubblico, incrementato dalle versioni cinematografiche dei suoi libri.
Sono finiti i tempi degli ostracismi ideologici nei confronti del professore di Oxford, e anzi si tenta di darne nuove letture politicamente corrette. Tentativi che lasciano il tempo che trovano, perché Tolkien si staglia con la sua opera al di sopra di ogni lettura riduttiva. La chiave interpretativa per comprendere tutta la bellezza offerta dal Signore degli Anelli, dallo Hobbit, dal Silmarillion, è quella religiosa. Tolkien era un cattolico inglese, perfettamente consapevole della storia religiosa del suo Paese, dai monaci santi del Medioevo ai Martiri che avevano reso la loro testimonianza fino al sangue sotto Enrico VIII, sotto Elisabetta I, sotto Cromwell.
Tolkien rivela nitidamente una propria teologia della storia, che riprende la concezione agostiniana delle due città: la Città terrena, opera degli uomini in cui agisce il male, e la Città di Dio, meta verso la quale indirizzare attese, sforzi e speranze. È da sottolineare che sant'Agostino si trovò a vivere al confine tra il crepuscolo di un mondo antico un tempo grandioso e l'alba di una nuova era dai contorni ancora incerti, e insegnò che la storia è guidata dalla Provvidenza e che quindi ogni avvenimento - dalla piccola vicenda personale alle grandi svolte dell'umanità - possiede un significato che dissipa l'oscurità e sorregge le forze dell'uomo. Le rovine, i numerosi segni di civiltà cresciute, ascese a grandezza e poi irrimediabilmente finite e dimenticate costellano ovunque la Terra di Mezzo, ricordandoci la caducità della Città terrena.
L'EROISMO, LA BELLEZZA E LA GRAZIA
Se la storia è questa, è necessario affrontarla con eroismo, secondo la concezione che ne offre Tolkien: non è quello della forza e dell'orgoglio, ma dell'amore e del sacrificio. Riecheggiano in questa via le parole di uno degli autori più cari al professore di Oxford, G.K.Chesterton: «È assolutamente necessario essere un uomo buono: avere il senso dell'amicizia e dell'onore e una tenerezza profonda. Soprattutto è necessario essere apertamente e indecorosamente umani, confessare appieno tutte le pietà e le paure primordiali di Adamo». Oltre all'eroismo, Tolkien ci invita a cercare la bellezza, che è segno visibile della grazia.
La bellezza trova la sua origine e la sua consistenza in Dio, e rende presente nelle realtà create la bellezza divina. Nella teologia medievale la bellezza sensibile era considerata un riflesso, una traccia di Dio che ne può favorire la percezione. Tolkien riprende questa concezione della bellezza come luce della forma e splendore della verità. Nella contemplazione dello spettacolo di un bosco, dei fiori, delle montagne, degli alberi tanto cari al professore di Oxford, nell'ammirazione per le cose ben fatte dei nani o degli hobbit, c'è l'amore per questa bellezza che ci può ricondurre a Dio e salvare il mondo. Questa bellezza, che come dimostra la tanta sofferenza che percorre la Terra di Mezzo, la fatica del cammino di rinuncia di Frodo, la dura condizione dell'esilio di Aragorn e la sua lotta per la giustizia e il diritto, non prescinde dal problema del male, è visibile e presente come grazia.
LA LEGGIADRIA DEGLI ELFI
È grazia la sensazione che si prova di fronte alle cose per la loro naturale armonia, per la loro delicatezza, per la loro semplicità; è grazia la gradevolezza del creato con i suoi sapori e profumi; è grazia la leggiadria degli elfi, in particolare di Galadriel, la Regina, figura che - come Tolkien stesso aveva confermato all'amico padre Murray - fu inspirata dalla Vergine Maria, Colei che per definizione è la piena di grazia.
Ancora è grazia l'amabilità, la gentilezza negli atti della vita quotidiana, l'assenza di sgarbo e di grossolanità; la grazia è così nel regale Aragorn, nel nobile Faramir, nel sapiente mago Gandalf, così come nel giardiniere Sam Gamgee. È grazia la gratitudine, la riconoscenza, la magnanimità, che non mancano mai nei personaggi tolkieniani, così come il loro contrario, ovvero l'avarizia, l'ingratitudine, l'avidità insaziabile sono i segni distintivi del rifiuto della grazia, della caduta.
Segno di questa grazia è infine Gandalf, il grande protettore dei piccoli hobbit e dei fragili uomini, il cui ruolo assomiglia a quello dell'Angelo Custode: illuminare le menti con i suoi saggi consigli, custodire le vite in pericolo dei suoi amici, reggere i loro sforzi e le loro fatiche, governare sulle loro coscienze, affinandole e tenendo desto e pronto il loro spirito.
Tolkien, 50 anni dopo, continua ad indicare la strada ad una compagnia sempre in viaggio.
1 AGO 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7487
DON CAMILLO, PEPPONE E LA COSTRUZIONE DEI MURI di Lorenzo Bertocchi
L'impresa per la costruzione del muro di confine della canonica procedeva e Don Camillo supervisionava i lavori perché tutto filasse secondo il progetto regolarmente autorizzato. Supervisionava anche di notte, perché la faccenda aveva fatto scaldare i motori a possibili sabotatori di crinale.
"Io l'avverto" gli aveva ricordato Peppone al bar, "la sua muraglia è considerata un atto reazionario contro la liberta del popolo". Ma Don Camillo, che delle libertà che si prendevano Gianni e la sua gang nel prato della canonica non ne poteva più, aveva sventolato il regolare permesso e dichiarò la sua intenzione a procedere. "Il prato della canonica", rispose, "è di proprietà privata e riguarda la corte della Chiesa, quindi il popolo e la sua libertà può andare ad esercitarla da un'altra parte oppure chiedere permesso passando dalla porta".
La vicenda era arrivata persino sulla stampa. "Il parroco di crinale costruisce muri e non ponti", aveva titolato in prima pagina L'Eco di crinale. E si faceva presente che "chi alza i muri ne resta prigioniero". Don Camillo aveva chiamato a raccolta quelli della Confraternita per dire di tenersi pronti a tutto, ma che il muro si sarebbe fatto. La questione muraria era nata perché il prato della canonica rimaneva in una strada buia e risultava comoda per combinare affari che si addicevano alle pertinenze di un edificio sacro. Il Gianni e la sua gang si appartavano regolarmente per combinare i loro traffici conditi alla solita gazzarra. Una mattina sul muro in costruzione apparve una scritta lasciata per mano ignota: "più prati, meno preti" e fu la goccia che fece traboccare Don Camillo. Si precipitò dal Cristo dell'altar maggiore: "Signore non c'è più rispetto per un povero prete!" "Don Camillo... non sarà certo un muro a liberare il cuore dell' uomo. Hai visto la fine che hanno fatto i muri della storia?" "Mi perdoni Signore se oso precisare, ma il mio è un muro che non vuole fare della storia, si accontenta della geografia locale"
Peppone intanto stava già tenendo il suo comizio davanti al muro. "Il prato è del popolo il popolo risponde all'arroganza clericale che non si apre alla fratellanza e alla diversità. Non fatevi ingannare da coloro i quali vi parlano di patrie e di regole da rispettare. Noi, il popolo, siamo la libertà! Noi, il popolo, siamo la democrazia! E noi i muri li buttiamo giù!". partì un applauso liberatorio.
Don Camillo uscì dal sagrato e, mani sui fianchi, richiamò l'attenzione della piccola folla. " Cari cittadini, sono sicuro che in nome della fratellanza e della libertà il nostro amico Peppone saprà offrirvi libera ospitalità nel giardino di casa sua, che è ampio e ben servito. Anche lui così saprà mettere il suo mattone per la conquista della libertà". L'applauso fu più debole, ma la gang di Gianni parve gradire. Peppone incassò il colpo. E la sera aprì il suo cancello al libero bivacco dei moderni giovani. Il giorno dopo Peppone si recò in Chiesa. "Don Camillo, lei questa volta ha passato il limite! Quelli mi hanno distrutto il giardino e poi io ho dei nipoti che non possono vedere e sentire certe cose... mi capisce no!?"
"Eh no, caro Peppone non mi parli di limiti. Certe parole non stanno bene in bocca ai profeti di libertà. Però la capisco, perché siamo liberi davvero solo quando ci sono dei muri che ci ricordano che non siamo dei Padreterni. E che per entrare c'è una porta sola, quella di Nostro Signore. Chi non passa da lì è un ladro e un brigante".
E il giorno dopo i muri ripresero ad essere costruiti. " Signore", disse Don Camillo al crocifisso, " forse con i muri un cuore lo abbiamo cambiato. Ma questi sono i muri con le porte, che fanno solo la geografia locale, quelli della storia per fortuna che sono caduti". "Amen", rispose il Crocifisso.
27 GIU 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7463
CI HANNO PRESO PER IL COVID, IL PRIMO LIBRO CHE RACCOGLIE GLI ARTICOLI DI BASTABUGIE 2020-2023
Per non dimenticare tre anni di lockdown, mascherine, vaccini e abusi di potere (prefazione del direttore della Bussola Quotidiana al corposo volume di 512 pagine)
di Riccardo Cascioli
«Per non dimenticare». Perché è giusto non dimenticare e addirittura raccogliere gli articoli che hanno giudicato i tre anni di follia che vanno dallo scoppio della pandemia da Covid-19 alla fine della furia vaccinista? A cosa serve continuare a ricordare?
Mantenere il ricordo delle ingiustizie subite, dei soprusi di Stato, delle menzogne dei nostri governanti, delle cure negate, dei ricatti che hanno messo in difficoltà lavoratori e famiglie, potrebbe certo favorire il permanere del risentimento, del rancore verso chi questo male ha provocato e verso chi ne è stato complice. Ma non è per questo che noi vogliamo "non dimenticare", coltivare il risentimento non ripara le ingiustizie e non costruisce nulla.
"Non dimenticare" è invece e anzitutto uno stimolo a comprendere il senso di quanto è accaduto, è una spinta a capire come è stato possibile paralizzare un popolo con la paura di un virus, rendendolo inebetito e docile a qualsiasi comando dall'alto. E più irrazionale il comando era, più l'adesione si faceva cieca: a passeggio con il cane sì, col bambino no; puoi fare 5 chilometri per attraversare la città, ma non puoi attraversare la strada perché entri in un altro comune; al bar soltanto in piedi, poi soltanto seduti; chiusi a Pasqua per salvare l'estate, poi in casa in autunno per salvare il Natale, e ancora sacrificio a Natale per salvare la Pasqua; il vaccino che arriva in processione come il Sacro Graal con un frigorifero a -70°C e poi si può distribuire anche in spiaggia senza problemi; una puntura e tutto passa, poi cinque punture e la prospettiva di continuare ogni anno. Potremmo continuare a lungo, ma su ognuno di questi argomenti guai a porre domande o a mettere in rilievo le contraddizioni: tuttora sei coperto di improperi e di maledizioni.
È importante capire perché quel che è accaduto non è un episodio estemporaneo, un incidente di percorso, ma è l'esito di un processo iniziato da molto tempo e preparazione di tempi ancora peggiori. "Non dimenticare" significa prendere consapevolezza che la questione sanitaria è stata il pretesto per un grande esperimento di controllo sociale fondato sulla paura. La paura è uno strumento fondamentale per acquisire il potere sugli altri, è un fantastico strumento di dominio. Diceva Edmund Burke: «Nessuna passione priva la mente così completamente delle sue capacità di agire e ragionare quanto la paura».
PICCOLE E GRANDI PAURE
E si può dire che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale è stato un susseguirsi di piccole e grandi paure che hanno condizionato prima il nostro pensiero e poi il nostro comportamento. Si è cominciato con la paura della sovrappopolazione, "la bomba demografica" come è stata definita con una immagine molto efficace visto che è stata coniata pochi anni dopo l'esplosione di Hiroshima e Nagasaki (1945) e il rischio di guerra nucleare nel conflitto di Corea (1950-1953). Paura che si è poi coniugata con quella della catastrofe climatica, oggi più attuale che mai. Basta vedere le dichiarazioni dei ragazzi che vandalizzano le città per lottare contro i cambiamenti climatici: sono veramente terrorizzati dall'idea che il mondo possa finire a causa delle emissioni di CO2. E nel frattempo abbiamo vissuto paure più limitate nel tempo come quella per il famoso bug del 2000 che avrebbe dovuto bloccare tutti i computer paralizzando di fatto tutta la nostra società. E poi la famosa fine del mondo nel 2012, basata su una "profezia" Maya.
E infine eccoci alla pandemia, realizzazione di quella paura di una "Nuova Spagnola" (riferimento a quell'influenza che tra il 1918 e il 1919 colpì un miliardo di persone, metà della popolazione mondiale di allora, con un bilancio tra i 20 e i 40 milioni di morti) che da allora ha accompagnato ogni accenno di virus influenzale più pesante della media. Ebbene questa è stata la grande occasione per instillare nella popolazione mondiale un vero e proprio clima di terrore che ha portato all'accettazione della rinuncia a ogni libertà personale, ivi compresa quella di recarsi in chiesa.
Intere popolazioni completamente paralizzate dalla paura, con una disponibilità via via crescente ad accettare misure tanto restrittive quanto irrazionali: uno spettacolo impressionante.
È NECESSARIO UN RISVEGLIO DELLA RAGIONE
È chiaro che se non ci sarà un risveglio della ragione, per il futuro si prepara un mondo in cui le decisioni della nostra vita saranno sempre più accentrate nelle mani di una ristretta élite. Ne sono un esempio i processi di concentrazione del potere in alcune grandi agenzie internazionali dell'ONU, come l'Organizzazione Mondiale della Sanità per il governo delle pandemie e il Programma ambientale dell'ONU (UNEP) per la lotta ai cambiamenti climatici.
Ma come si risveglia la ragione? E qui bisogna fare un passo indietro, perché la paralisi della ragione si è accompagnata alla secolarizzazione del mondo cristiano. Non sorprendentemente, perché è davvero la fede cattolica ad esaltare la ragione; quando la fede va in crisi si perde anche la ragione. Se si perde il timor di Dio si comincia ad avere paura di tutto. È quello che è successo anche nella Chiesa cattolica: impauriti al punto di chiudere le chiese e cancellare le messe, che dovrebbero essere invece la fonte di speranza anche e soprattutto nelle situazioni più difficili. I preti erano così impauriti che hanno disertato in massa lasciando il popolo senza sacramenti, lasciando morire migliaia di persone in ospedale da sole e senza neanche il conforto religioso, per mesi hanno evitato di celebrare funerali. Una opera massiccia di desertificazione delle anime. Per difendere la vita si è rinunciato a vivere e soprattutto ad annunciare il Signore della vita, contribuendo così a questo smarrimento della ragione.
"Non dimenticare" allora deve stimolarci anzitutto a ritornare alla vera fede, tornare a desiderare e perseguire la verità prima di ogni altro interesse, a giudicare la vita terrena alla luce della vita eterna. Solo questo rimette in moto la ragione e ci libera dalla paura, rendendoci capaci di resistere al Potere. E gli articoli raccolti in questo volume - scelti proprio perché nel riportare le notizie esprimono su tutti gli aspetti della pandemia un giudizio che nasce da uno sguardo di fede - sono allora un valido strumento in questo cammino che abbiamo davanti, un compito che riguarda ciascuno di noi.
31 MAG 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7426
LA FEDE NEI PERSONAGGI DEI PROMESSI SPOSI di Samuele Pinna
Il 22 maggio 1873, esattamente centocinquant'anni fa, Alessandro Manzoni, nato nel 1785, tornava alla casa del Padre. È da settembre che impegno attenti ascoltatori nel mio ostinarmi a presentare in chiave spirituale i personaggi del romanzo per eccellenza dello scrittore milanese, proprio mosso nel mio recondito intento da questo importante anniversario. Convinto che sarebbe bastato un anno di catechesi per dipanare la storia dei due sposi promessi del lecchese, ci si è arenati, dopo aver incontrato diversi protagonisti, sulla presentazione del padre Cristoforo.
Rimango stupito per come gli attori che si danno il cambio nel racconto siano descritti con poche pennellate, ma tanto ben disegnate da consentire di scoprire il loro mondo interiore così ricco e profondo per chi legge.
DON ABBONDIO: LA FEDE PUSILLANIME
C'è don Abbondio dalla fede pusillanime che «non era nato con un cuor di leone», anzi «fin da' primi suoi anni, aveva dovuto comprendere che la peggior condizione, a que' tempi, era quella d'un animale senza artigli e senza zanne, e che pure non si sentisse inclinazione d'esser divorato». Nonostante i buoni consigli della sua perfida servente - Perpetua di nome e di fatto - il curato faceva ogni cosa per schivare le tumultuose vicende che si agitavano intorno a lui, ma neanche a farlo apposta in questa storia fu preso, suo malgrado, al laccio da esse.
RENZO: LA FEDE GENUINA (LUCIA: LA FEDE DEVOTA)
C'è poi Renzo dalla fede genuina che, ingenuo e onesto, tira dietro a sé la trama delle pagine vergate dal Manzoni, e gli fa da coppia, in tutti i sensi, Lucia, «d'una modesta bellezza» e dalla fede devota, attraversata da «una gioia temperata da un turbamento leggiero».
FRA' CRISTOFORO: LA FEDE EROICA
C'è il roboante padre cappuccino poco sopra citato, al secolo Lodovico, dall'indole «onesta insieme e violenta» che lo condurrà a testimoniare una fede eroica.
DON RODRIGO: LA MALAFEDE (LA MONACA DI MONZA: LA FEDE INFEDELE)
C'è don Rodrigo, traditore e tradito, che esercita senza pudore una malafede e Gertrude, monaca per scelta altrui, di una fede infedele che soltanto alla fine di tutto l'intreccio letterario riuscirà a riscattarsi in una profonda conversione di vera religiosità.
L'INNOMINATO: LA POTENZA DELLA FEDE
C'è la celebre figura dell'Innominato che mostra la potenza della fede di chi si lascia toccare il cuore da Dio e quella insigne del cardinal Federigo, il quale «fu degli uomini rari in qualunque tempo, che abbiano impiegato un ingegno egregio, tutti i mezzi d'una grand'opulenza, tutti i vantaggi d'una condizione privilegiata, un intento continuo, nella ricerca e nell'esercizio del meglio».
DONNA PRASSEDE: LA FEDE CIECA
Non manca donna Prassede dalla fede cieca, «una vecchia gentildonna molto inclinata a far del bene: mestiere certamente il più degno che l'uomo possa esercitare; ma che pur troppo può anche guastare, come tutti gli altri».
IL POPOLO: TROPPA FEDE O TROPPO POCA
Altri interessanti soggetti si muovono sulla scena, così come il popolino che agisce a volte con troppa fede e a volte con troppa poca. Il tutto ben ricamato in una delle opere più sublimi mai scritte da mano d'uomo.
IL SUGO DELLA STORIA
Quale il motivo per cui affascina la vicenda di due innamorati che non possono coronare il loro sogno? Perché, senza nominare una solta volta Gesù, le pagine che li riguardano mostrano tutta la potenza dei valori insegnati dal Cristo. E sono proprio Renzo e Lucia a consegnare il sugo della storia che la voce narrante del Manzoni non ha dubbi a scegliere per concludere il suo scritto: la "morale", «benché trovata da povera gente, c'è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui». I due finalmente sposi, infatti, «conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore».
È assai probabile che possa iniziare la ricerca del lettore laddove finisce quella presentata dal Manzoni, perché - come egli scrive in Osservazioni sulla morale cattolica - «la felicità non può esser realizzata fuorché in un presente il quale comprenda l'avvenire, in un momento senza fine, val a dire l'eternità. Senonché la religione può darci una specie di felicità anche in questa vita mortale, per mezzo d'una speranza piena d'immortalità».
9 AGO 2022 · VIDEO: GRAZIE A DIO di Giuliano Guzzo ➜ https://www.youtube.com/watch?v=abCilfKH5IA&list=PLpFpqNiJy93u4WaU4EI2Tf7q125TSonGr
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7088
LA FEDE PROMUOVE IL PROGRESSO, LA CIVILTA', LA PACE, LA FAMIGLIA E LA SALUTE di Rino Cammilleri
Giuliano Guzzo, nostra firma, ha dato alle stampe per Lindau una corposa opera, Grazie a Dio. Come la fede promuove il progresso, la civiltà, la pace, la famiglia e la salute (Lindau), che dimostra, dati alla mano, che nel mondo il senso religioso non è affatto spento, anzi. Non ce ne accorgiamo per il semplice fatto che siamo costretti a guardare dall'unica finestra che ci è consentita.
Parlo di noi occidentali, naturalmente. Com'è noto, il bene non fa notizia. Com'è noto, è dai tempi dei giacobini che gli odiatori di Cristo si servono dei media, impadronirsi dei quali è la prima cosa che fanno e nei quali cooptano solo chi si adegua. Per il resto, un vecchio apologo medievale chiarirà molte cose. Eccolo. A un monaco il Signore concesse di poter vedere quegli «spiriti dell'aria» di cui parlava san Paolo. E vide che su una grande città c'era un solo diavolo che ogni tanto schioccava svogliatamente la sua frusta. Invece, su un conventino sperduto di pochi frati i diavoli erano legione. Chiesto come mai, si sentì rispondere che quei frati si sforzavano di essere fedeli a Dio, perciò torme di demoni erano intenti a distoglierli. Gli abitanti della grande città, invece, non avevano bisogno di stimoli perché già facevano tutto da soli. Fuor d'apologo, è già di suo un argomento apologetico il dato, storico, che tutto l'Inferno si sia scatenato sulla Cristianità e praticamente solo su di essa.
Comunque, il credente sa che mai nulla è perduto e che «non praevalebunt», parola del Messia. Guzzo ci invita, intanto, ad allargare la visuale e a dare un'occhiata al fatto che probabilmente certe cose hanno solo cambiato di posto. Malgrado gli sforzi posti in essere da Sappiamo Chi, le religioni non arretrano ma avanzano. Anche il cristianesimo. E pure al centro della secolarizzazione. Certo, in molti casi si tratta di resistenza eroica. Confusi, distolti, distratti, tentati, scoraggiati, sbandati, molti cristiani tengono duro e, pur in mezzo agli sberleffi, continuano a credere che Lazzaro risorgerà. In fondo, non è questo che il Messia vuole? Guzzo accumula una serie impressionante di dati per mostrarci una realtà che ignoriamo e che dimostra che il Maestro non ha esaurito le carte da giocare.
Come sarà il futuro? Sarà dunque, malgrado le attuali apparenze, religioso? E chi lo sa. E, per dirla tutta, non importa. Come dice Gandalf, non spetta a noi governare tutte le maree. A noi è comandato solo di fare quel che dobbiamo fare qui e adesso. Mi si dirà che Gandalf è un personaggio inventato. Ebbene, eccone allora uno vero: san Francesco. Stava zappando quando frate Leone gli chiese che cosa avrebbe fatto se avesse saputo di dover morire la sera stessa. Rispose che avrebbe continuato a zappare.
1 FEB 2022 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6893
NUOVI DELITTI NELLA CAMERA CHIUSA, IL NUOVO LIBRO DI RINO CAMMILLERI
Dopo il successo del primo libro giallo, ecco altri 14 delitti impossibili, da gustare con egoismo e lentezza come una scatola di cioccolatini assortiti di altissima qualità
di Fiorenza Cirillo
Hai una scatola di cioccolatini assortiti di altissima qualità, la apri, li ammiri e uno a uno li gusti con egoismo e lentezza. Ecco cos'è il giallo Nuovi delitti nella camera chiusa di Rino Cammilleri.
Si sceglie un cioccolatino alla volta, un racconto, senza fretta. Sono quattordici e cesellati come gioielli preziosi, in sé conclusi e tuttavia sì stuzzicanti da volerne provare ancora uno e poi un altro ancora. Perché questi racconti gialli sono l'uno diverso dall'altro e ti portano ovunque, anche se sei accoccolato sulla tua poltrona preferita. A Bensalem, per esempio. Un mondo futuristico e quasi perfetto che incarna le più importanti teorie utopistiche, un paradiso artificiale in cui è stata bandita la proprietà privata "delle cose e dei corpi" considerata l'origine di tutti i mali. E se ci scappa un omicidio? Forse è il segnale della "fine del sogno di una comunità perfetta e libera dal male".
BUSSARE FORTE ALLA PORTA DELL'INQUISITORE
Qualche racconto più in là ci troviamo nel monastero benedettino di Vallescura, nel XIII secolo, a bussare forte alla porta della cella dell'inquisitore Corrado da Tours, per cercare di capire che tipo di morte ha colto il suo amico abate; studiando ogni centimetro di quella cella chiusa dall'interno fino ad analizzare il pitale stracolmo e nauseabondo sotto il letto. "Corrado, che si era chinato per estrarlo, dovette storcere la faccia per il disgusto. Piscio, vomito, diarrea, il tutto di colore innaturale, giallo-verdastro e ributtante". Una puntualità descrittiva che ci fa sentire lezzi e profumi tra le parole, ma soprattutto una cura storica, propria dell'autore, documentata, precisa e mai pesante. Come quando ci racconta di Margaret Ward, la «Perla del Tyburn», donna cattolica di nobile famiglia inglese, impiccata sotto il regno di Elisabetta I per aver aiutato un sacerdote a evadere dal carcere. "La Ward, con una nobiltà che commosse tutti, dichiarò che la sua fedeltà alla Regina non era mai venuta meno, tuttavia nessuno poteva chiederle di rinunciare alla sua religione. La Regina avrebbe potuto garantirle, certo, una vita comoda su questa terra, ma non la salvezza della sua anima. Se era costretta a scegliere, optava per quest'ultima. Piuttosto che rinnegare il vero Dio e la vera Chiesa preferiva sacrificare la vita".
Il Nostro sa trattare il vero storico e l'invenzione con la stessa duttilità fino a convincerci dell'esistenza di una conchiglia preziosissima e delicatissima, dalla forma simile a una locomotiva, un vero vezzo per i collezionisti come Victor Humperdinck, la Meganoblaster locomotensis; tuttavia, solo dopo averla "googolata", scopri la nota dell'autore che, quasi prevedendo la curiosità del lettore, se la ride sotto i baffi e, dopo una tirata di sigaro, sornione, ti dice che non esiste.
LE NEW ENTRY
Alcuni protagonisti erano già presenti nel primo giallo Mondadori dall'omonimo titolo, altri sono delle new entry, come l'ispettore Shylock Homer, di Scotland Yard che, piccato, ancor prima di ascoltare il quesito, anticipa l'interlocutore: "Sì, lo so, assomiglio a Sherlock Holmes, anche se, in verità, è piuttosto difficile assomigliare a un personaggio di totale invenzione e descritto solo sulla carta [...] Ora, prima che si decida a farmi entrare, mi corre l'obbligo di chiudere questa fastidiosa parte, fastidiosa perché si ripete ogni volta io sia chiamato per servizio presso un domicilio privato, anticipandole che del mio guardaroba non fanno parte berretti da cacciatore di cervi né pastrani a scacchi scozzesi. Infine, al mio fianco, come può vedere dalla divisa, non c'è il dottor John Watson ma il sergente Sean O'Malley. Adesso, cortesemente, possiamo entrare?" Dannatamente solo e acuto, costringe amorevolmente O'Malley ad ascoltare le sue deduzioni argute che si rivelano ogni volta puntualmente esatte, come nel caso della molletta.
Il vero quid accattivante sta tuttavia nell'elemento ricorrente in ogni narrazione: tutti i delitti si consumano in un luogo chiuso dall'interno, ma come è possibile? A seconda dell'ambientazione, l'omicidio avviene infatti in una camera, una sala riunioni, una cella, una prigione zulu o nella stanza di un ragazzo adolescente, ma pur sempre in ambienti fisicamente circoscritti di cui si percepiscono quasi visivamente, e a volte claustrofobicamente, i limiti spaziali.
E i limiti della stanza sono proprio quelli che gli hikikomori cercano, come una corazza protettiva; si tratta di persone, perlopiù ragazzi, colpiti da una sindrome che induce a chiudersi nella propria stanza senza mai uscirne, passando i giorni davanti al computer, senza frequentare nessuno, neanche la scuola. Ci sentiamo coinvolti da questo fenomeno giovanile una volta così lontano e ora, ahimè, troppo familiare. "Dove stava andando il Giappone?" si chiede l'ispettore Matsudaira Hiroshi della prefettura di Osaka. E noi? Dove stiamo andando?
Cammilleri stimola la nostra curiosità con dettagli originali che diventano chiavi importanti per il plot come il «Verde di Scheele», un arsenico di rame usato per dipingere stucchi e quadri o il fiore di Kadupul, che fiorisce una volta l'anno solo di notte e appassisce con le prime luci dell'alba.
Ci lascia immaginare le soluzioni, sempre diverse e ci si può sbizzarrire nel tentativo risolvere il caso prima di lui, il tempo di scartare un cioccolatino e Cammilleri ci stupisce con dovizia scientifica verso una soluzione arguta e mai scontata.
14 SET 2021 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6730
ABBIAMO ANCORA BISOGNO DELLA FATTORIA DEGLI ANIMALI di Valerio Pece
Nell'agosto del 1946, settantacinque anni fa, veniva pubblicato La fattoria degli animali. Il romanzo di George Orwell si rivelò da subito un enorme successo, oltre mezzo milione di copie vendute solo nel primo anno. L'affresco grottesco delle illusioni rivoluzionarie (e del loro naufragio) colpì nel segno, la feroce satira sulla dittatura comunista sovietica svegliò il mondo. Va detto che in quegli anni comunismo significava esclusivamente stalinismo: l'Unione Sovietica era l'unica nazione comunista (la Repubblica Popolare Cinese fu fondata solo nel 1949, tre mesi prima della morte dello scrittore).
Com'è noto, nel romanzo di Orwell tutti i personaggi e gli avvenimenti hanno il loro preciso corrispondente storico. Il fattore Jones (immagine dello Zar Nicola II) non è assolutamente in grado - crudele com'è - di governare la sua fattoria. Una sera Vecchio Maggiore, un saggio maiale allegoria di Marx, racconta a tutti il suo sogno: un mondo d'armonia in cui gli animali sono liberi, affrancati dalla spietata signoria dell'uomo. Morto il primo leader, il ruolo di guida verrà assunto da altri due maiali: Napoleone e Palla di Neve (rispettivamente Stalin e Trotsky), i quali instaurano un "nuovo ordine" in cui, tra gli altri, vige il noto comandamento: «Tutti gli animali sono uguali». Ma l'amicizia, l'equilibrio, l'uguaglianza, iniziano presto a vacillare: proprio i maiali, protagonisti della rivolta, finiscono per imporsi come unica casta dominante. Da un certo momento in poi, tutti gli animali saranno uguali, ma alcuni lo saranno più degli altri. Impossibile spiegare la rivoluzione russa più semplicemente di così.
PERCHÉ LEGGERE ORWELL?
La domanda-chiave su un romanzo che ha contribuito in modo decisivo a cambiare lo sguardo del mondo sull'Unione Sovietica (in particolare quello americano, suo alleato nella Seconda Guerra mondiale) la ritroviamo - spiegata bene - nella penna felice di Alberto Mingardi. Il fondatore del centro-studi Bruno Leoni scrive: «Per quanto l'aggettivo "orwelliano" sia usato con una certa generosità sulle pagine dei giornali, soprattutto nei paraggi di articoli che lamentano l'eclissi della privacy e le possibilità di sorveglianza fornite dalle nuove tecnologie, non è immediatamente chiaro perché si debba leggere Orwell, oggi». Una risposta interessante è quella fornita da un profondo conoscitore di Orwell, John Rodden, docente all'Università della Virginia, il cui libro più recente è George Orwell: Life and Letters, Legend and Legacy (Princeton University Press, 2020). Rodden racconta di aver insegnato spesso ai suoi studenti la favola di Orwell, e di averlo fatto spiegandone la «seria morale esopica», e cioè che il potere corrompe. Sempre. Aggiungendo subito, però, che sarebbe pericoloso (e negligente) trascurare o minimizzare lo studio delle corrispondenze storiche contenute nel romanzo: il parallelo con la rivoluzione russa.
DA STALIN AL TOTALITARISMO TOUT COURT
D'altra parte - ed è il vero monito di questo vero e proprio cultore di Orwell - si può anche correre il rischio di commettere l'errore diametralmente opposto, a suo dire più grave: concentrarsi esclusivamente sulle corrispondenze col comunismo di Stalin eludendo il più ampio monito di Orwell contro la tirannia politica complessivamente intesa. La prova provata di ciò che suonerebbe come il più grande tradimento di George Orwell sta in un aneddoto che lo stesso John Rodden racconta, e che riguarda una sua intervista ad alcuni spettatori cinesi reduci da una messa in scena teatrale di Animal Farm nella città di Pechino. Confessa lo scrittore: «Al mio rimanere sorpreso dal fatto che l'Ufficio della censura culturale cinese avesse approvato la rappresentazione pubblica di una satira sulla bestialità del comunismo, mi hanno guardato con aria interrogativa. "Vedi, Animal Farm è un'allegoria", hanno detto, "è una satira della storia russa, non della storia cinese"». In questa prospettiva, che è poi l'unica, La Fattoria degli animali parla oggi del rischio del totalitarismo in tutte le sue declinazioni geopolitiche. Al torbido comunismo cinese che si rende protagonista di azioni brutali (è notizia di questi giorni nuove prove sull'espianto forzato di organi di detenuti) si aggiunge un Occidente in cui il cancro del politicamente corretto - spesso declinato nella violenta salsa LGBTQ, ma non solo - fa guardare con ammirazione proprio una delle più note massime di Orwell: «Libertà è la libertà di dire che due più due fa quattro. Garantito ciò, tutto il resto ne consegue naturalmente».
ATTUALE E PROFETICO
Dall'uscita della Fattoria degli Animali si è assistito prima a quel crollo del regime comunista russo che tanto turbò lo scrittore (non va dimenticato che per Palmiro Togliatti, capo dei comunisti italiani, Orwell era «un'altra freccia aggiunta all'arco sgangherato della borghesia anticomunista); poi all'inizio e alla fine della Guerra Fredda; infine all'ascesa e alla caduta di un numero spropositato di aspiranti "Napoleone" in ogni continente. La Fattoria degli Animali - opera un tempo così controversa tanto da non trovare editori - è servita per così tanto tempo a spiegare il concetto di totalitarismo (anche e soprattutto ai ragazzi di scuola) che oggi rischia purtroppo di essere percepita come un'opera banale. È il rischio che spesso corrono certi classici.
Molti per fortuna non ci stanno. «L'idea che i paesi occidentali siano abbastanza intelligenti e forti da riconoscere e resistere alla morsa del totalitarismo è un mito pericoloso», questa è la tesi della scrittrice Téa Obreht. Che a proposito del 75esimo anniversario di Animal Farm aggiunge: «Siamo troppo tranquilli, convinti di essere al sicuro da forze che potrebbero ripiombarci addosso. Stiamo già facendo grandi passi avanti in questa direzione. La Fattoria di animali ci chiede di lavorare contro quell'illusione».
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6 SET 2021 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3928
ALESSANDRO MANZONI CONVERTITO AL CATTOLICESIMO GRAZIE A UN MATRIMONIO, IL SUO di Giovanni Fighera
Papa Francesco ha sorpreso tutti proponendo I promessi sposi come un'opera formativa sul fidanzamento: «In Italia avete un capolavoro sul fidanzamento, non lasciatelo da parte, i giovani debbono leggerlo [...]. È un capolavoro dove si racconta la storia dei fidanzati che hanno subito tanto dolore, hanno fatto una strada di tante difficoltà, fino ad arrivare alla fine al matrimonio. Non lasciate da parte quest'opera, andate avanti a leggerla e vedrete la sofferenza e anche la fedeltà di questi fidanzati».
Di tutto si era scritto sul romanzo, l'opera era stato letta come l'epopea della provvidenza, il romanzo sugli umili, un testo in cui il Seicento diventa il protagonista assoluto, l'emblema dei potenti che schiacciano gli umili. L'elenco delle interpretazioni potrebbe non finire mai. Ripartiamo allora dal fatto che I promessi sposi non è soltanto il romanzo più importante che sia stato scritto nella nostra letteratura, ma rappresenta in forma concreta e incarnata il genio del cristianesimo. Bisogna riscoprire prima il percorso di fede e di conversione dello scrittore.
LA CONVERSIONE
Si è scritto che Manzoni è stato sempre refrattario a parlare della sua conversione. L'aneddotica riduce questo percorso lungo, durato qualche anno, al celebre episodio accaduto nella chiesa di San Rocco a Parigi. Durante il matrimonio di Napoleone (2 aprile 1810) la moglie sviene, Manzoni si perde e in una crisi di agorafobia si rifugia in chiesa a pregare. Ne esce convertito e ritrova la moglie. In realtà, molte sue lettere riferiscono i passi compiuti nel cammino di conversione. Ermes Visconti, uno degli amici più intimi di Manzoni, comprende che il cammino di fede di Alessandro è adombrato nella vicenda centrale dei Promessi sposi, la conversione dell'Innominato.
Sono milleottocento le lettere scritte da Manzoni dall'età di diciotto anni fino al 1873, l'anno della morte, pubblicate per conto dell'editore Adelphi. Rivolte ad amici, intellettuali, parenti e conoscenti, perfino al Papa, ci informano anche della sua vita privata e sentimentale, con quel riserbo che diverrà cifra caratteristica del letterato lombardo.
Particolarmente interessante è la lettura della corrispondenza del Manzoni dal momento in cui si fidanza con Enrichetta Blondel fino al matrimonio, prima con rito calvinista e poi con rito cattolico. Permette di comprendere meglio il percorso di conversione spesso tramandato a noi attraverso l'aneddotica.
SANTITÀ, MI SONO SPOSATO
A Giovanni Pagani nel 1808 Manzoni così si rivolge: «Ho trovato una compagna che riunisce tutti i pregi che possono rendere veramente felice un uomo, e me particolarmente». Nell'ottobre del 1809 Manzoni scrive a papa Pio VII informandolo del fatto che si è unito in matrimonio con Enrichetta Blondel secondo il rito della religione riformata e che è nata una «fanciulla la quale è stata battezzata cattolicamente, secondo il rito della S. Romana Chiesa». Ora, lo scrittore intende riparare al suo errore sposandosi di nuovo con l'amata secondo il rito cattolico. La data di questa lettera è ben precedente l'aneddoto della chiesa di San Rocco, che risale all'aprile del 1810, come lo è la celebrazione del matrimonio con rito cattolico il 15 febbraio 1810 ad opera dell'abate Costaz, «curato della parrocchia della Madeleine, nella residenza di Ferdinando Marescalchi, ministro degli Esteri del Regno Italico in Parigi, il quale fu anche testimonio per Alessandro Manzoni».
Il 29 giugno 1810 da Torino Manzoni informa Gaetano Giudici, abate giansenista, che Enrichetta si è risoluta a entrare in seno alla Chiesa cattolica grazie all'aiuto dell'abate Eustachio Degola. Il 22 maggio 1810 l'amata ha abiurato alla propria religione provocando la collera della famiglia Blondel, in particolar modo della madre. Per questo Manzoni chiede a Giudici, che è stimato dai Blondel, di farsi intermediario per la riconciliazione. Enrichetta, assai sensibile e affezionata ai genitori, già incinta, soffre immensamente per questo contrasto. Manzoni si dice disposto a incontrare in qualsiasi momento i suoceri e aggiunge, parlando dell'amata moglie: «Essa sta ora scrivendo all'amatissimo suo Padre, e si unisce a me per caldamente pregarla di avvalorare le tenere sincere ed umili supplicazioni ch'essa porge ad un Padre, verso del quale non è rea per nulla, non avendo fatto altro che disporre liberamente della propria coscienza».
LA RELAZIONE DI ENRICHETTA CON I GENITORI
Manzoni parla dell'atto della moglie come «innocentissimo e legittimo». Come prosegue la relazione di Enrichetta con i genitori? Si risolve? E in caso affermativo, come? Al riguardo leggiamo la lettera che Manzoni indirizza al padre spirituale Degola nel luglio 1810: «Questi [i genitori di Enrichetta], dopo aver continuato per primi giorni nella durezza loro, si mossero finalmente a proporre a mia moglie di andarli a trovare, promettendo di non far parola dell'occorso. La lettera fu scritta da sua madre, che ricevé la figlia a braccia aperte. Né mia madre né io non potemmo assistere, essendo stata mia madre esclusa assai incivilmente, ed io invitato in un modo che considero come un discacciamento. Qualche giorno dopo mia moglie tornò sola a casa sua, dove le fu fatto qualche rimprovero, che se, grazie a Dio, non influì in nulla sulle determinazioni sue, le cagionò però amarezza assai».
Nella stessa lettera Manzoni informa Degola che il canonico Tosi ha fatto visita a lui e alla madre Giulia promettendo di «preparare sollecitamente Enrichetta ai Sacramenti, ed alla Confermazione in ispecie». Manzoni chiede al Degola di continuare a offrire il suo sostegno alla moglie con le lettere, i conforti e le consolazioni.
IL PADRE SPIRITUALE
In seguito alla richiesta di Degola, Tosi diviene padre spirituale del Manzoni, incarico che tiene fino al 1823, quando è eletto vescovo di Pavia e viene a quel punto sostituito da Giudici. L'influenza di Tosi sugli Inni sacri, sulla Morale cattolica e sul romanzo è notevole: ad esempio, la soppressione dell'episodio della monaca di Monza sarebbe in parte dovuta a lui.
Nel 1811 si nota come l'affetto e la stima per il nuovo padre spirituale Tosi crescano tanto che Manzoni può a lui parlare della sua «profonda indegnità» e, nel contempo, di quanto possa in lui operare «la Onnipotenza della Divina Grazia». Al Tosi, nel giugno del 1811, Manzoni scrive «di pregare il buon Gesù che non si stanchi di farne risplendere i miracoli in un cuore che ne ha tanto bisogno».
Il 27 agosto 1811 Manzoni si reca dal padre spirituale per la confessione, che avverrà nel giorno di sant'Agostino (28 agosto), un grande convertito. Tosi scrive il giorno stesso a Degola: «Alessandro ha intrapresa la carriera con estrema docilità e sommessione; domani avremo ancora una lunga conferenza e, se il Signore conserva e accresce il lui le sue benedizioni, egli pure sarà per fare gran passi».
Nel settembre nasce Luigina Maria Vittorina Manzoni, che sopravvive solo alcune ore. Nella lettera del 7 settembre, Manzoni scrive a Degola: «In mezzo ai suoi travagli il Signore le [ovvero alla moglie Enrichetta] diede la consolazione di aver presente il canonico Tosi [...]. Egli la confortò e consolò assai, e quel che più importa, spero l'avrà aiutata a cavare dai suoi travagli un maggior profitto spirituale [...]. Preghi ella perché piaccia al Signore scuotere la mia lentezza nel suo servizio e togliermi da una tepidezza che mi tormenta, e mi umilia; giusto castigo per chi non solo dimenticò Iddio, ma ebbe la disgrazia e l'ardire di negarlo. Ma se il desiderio mio è per la gloria di Lui, e se sarà avvalorato dalle sue orazioni spero vederlo esaudito».
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