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Siamo sicuri che non sia in corso un'invasione dell'Italia e dell'Europa?
13 NOV 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7977
IL VANGELO NON AMMETTE NEUTRALITA' O COMPROMESSI di Roberto Marchesini
Per diversi anni ho riflettuto su un atteggiamento ecclesiastico che possiamo definire con due slogan: «Cercare ciò che unisce e non ciò che divide» e «costruire ponti e non muri». Traduco: si può dialogare con la modernità; il Mondo non è pregiudizialmente ostile ai cattolici; gran parte della cultura contemporanea è neutrale, rispetto al Vangelo. C'è quindi la possibilità, se non di evangelizzare il secolo, per lo meno di dialogarci.
Con il passare del tempo mi sono convinto che questo atteggiamento sia eccessivamente ottimista e, forse, un po' ingenuo. E mi sono accorto che la soluzione del problema era già data in una lapidaria affermazione evangelica: «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12, 30; Lc 11, 23).
Parlando con alcuni amici, scettici riguardo alla mia risoluzione, mi è stato fatto notare che nel Vangelo di Marco la frase era diversa: «Chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9, 40). C'è, dunque, chi non è contro di noi, la neutralità nei confronti del Vangelo è possibile. Non solo: San Paolo afferma che possiamo trovare qualcosa di buono dappertutto: «Vagliate tutto e tenete ciò che è buono» (1Ts 5, 21). Purtroppo queste citazioni non permettono di sostenere la costruzione di ponti. Partiamo dalla prima. Essa è semplicemente una riproposizione della frase di Matteo e di Luca: non ammette una neutralità. Anche per Marco è necessario schierarsi: con Cristo o contro di Lui. Chi non è con Cristo non è neutro: è contro di lui; chi non è contro Cristo non è neutro, è con lui. Cristo divide, chiede di prendere posizione, non ammette neutralità.
La stessa cosa vale per san Paolo, il quale invita a vagliare tutto e a tenere ciò che è buono, integralmente buono; non ciò che ha una parte buona. Ricordiamo, infatti, che l'errore ha sempre una parte di verità; e che l'eresia non consiste nel rigetto totale della Verità, ma solo di una sua parte.
Ammettere una possibile neutralità nei confronti del Vangelo, inoltre, significa sminuirne l'importanza. L'incarnazione di Cristo ha diviso la storia in prima (a. C.) e un dopo (d. C.); allo stesso modo, ha diviso in due l'umanità e la cultura. È stato un avvenimento così importante che necessariamente richiede che si prenda posizione nei suoi confronti.
Sono confortato, nella mia posizione, da due importanti santi della Chiesa che hanno messo in evidenza il significato meta-storico dell'affermazione evangelica. In quella breve frase, infatti, è condensato un intero trattato di teologia della storia e la chiave di lettura per capire il rapporto tra Vangelo e modernità. Partiamo da san Giovanni Bosco, che ha scritto: «L'unica vera lotta nella storia è quella pro o contro la Chiesa di Cristo». È questa lotta che permette di capire tutta la storia dell'umanità, perlomeno degli ultimi cinquecento anni; ed è la storia del conflitto tra la Chiesa di Cristo e il Mondo.
Anche Giovanni Paolo II, nell'Evangelium Vitae, ha dato una lettura meta-storica del conflitto tra la luce di Cristo e le tenebre. Nei brani che seguono, il papa polacco sottolinea le implicazioni per la difesa della vita di questo scontro; ma non manca uno sguardo più profondo: «Questo orizzonte di luci ed ombre deve renderci tutti pienamente consapevoli che ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la "cultura della morte" e la "cultura della vita". Ci troviamo non solo "di fronte", ma necessariamente "in mezzo" a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l'ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita (§ 28). [...] Nelle prime ore del pomeriggio del venerdì santo, "il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra... Il velo del tempio si squarciò nel mezzo" (Lc 23, 44.45). È il simbolo di un grande sconvolgimento cosmico e di una immane lotta tra le forze del bene e le forze del male, tra la vita e la morte. Noi pure, oggi, ci troviamo nel mezzo di una lotta drammatica tra la "cultura della morte" e la "cultura della vita". Ma da questa oscurità lo splendore della Croce non viene sommerso; essa, anzi, si staglia ancora più nitida e luminosa e si rivela come il centro, il senso e il fine di tutta la storia e di ogni vita umana (§ 50). [...] Maria aiuta così la Chiesa a prendere coscienza che la vita è sempre al centro di una grande lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre (§ 104)». Giovanni Paolo II scrive di una immane lotta tra le forze del bene e le forze del male, tra la luce e le tenebre; e della «l'ineludibile responsabilità» di schierarsi dalla parte del bene e della luce. Chi non prende posizione, semplicemente, permette che il male accada e si diffonda; quindi, nuovamente, chi non è per Cristo è inevitabilmente contro di Lui.
C'è poco da illudersi, siamo in guerra. È una guerra totale, senza quartiere, nella quale non ci sono neutrali o indifferenti. Abbandoniamo le ingenuità e le favole disneyane, accettiamo la realtà.
2 OTT 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7937
27 AGO 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7902
IUS SCHOLAE, RIFORMA INUTILE: LA SCUOLA NON INTEGRA NEMMENO GLI ITALIANI di Anna Bono
Il ministro degli affari esteri Antonio Tajani si è dichiarato favorevole all'adozione di una legge che introduca lo ius scholae, che consenta cioè di acquisire la cittadinanza italiana ai minori stranieri che abbiano concluso un certo ciclo scolastico. Una proposta di legge in tal senso era stata presentata nel 2022 dal Movimento 5 stelle, acclamata da tutta la sinistra. Prevedeva il diritto alla cittadinanza per i minori nati in Italia o arrivati quando avevano meno di 12 anni a condizione che avessero frequentato per almeno cinque anni un ciclo di studi. La legge non era passata. Presto potrebbe essere ripresentata, ma a condizioni diverse. Quelle pensate da Forza Italia a quanto pare sono due: che il minore straniero abbia concluso due cicli scolastici oppure che abbia terminato la scuola dell'obbligo.
La seconda opzione farebbe apparire una eventuale battaglia per lo ius scholae più una questione di principio che di sostanza. Poiché la scuola superiore è obbligatoria fino a 16 anni, lo ius scholae anticiperebbe infatti soltanto di due anni la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana dal momento che, in base alla legge 91 del 1992, a 18 anni i figli nati in Italia da genitori stranieri possono diventare cittadini italiani presentando una semplice dichiarazione di volontà all'Ufficio di stato civile del loro comune di residenza, con il requisito necessario della residenza legale in Italia senza interruzioni fino al compimento dei 18 anni.
La rivendicazione di uno ius scholae, e prima ancora di uno ius culturae, simile ma che in alternativa al ciclo di studi di almeno cinque anni prevede come condizione aver seguito dei percorsi professionali, è stata avanzata dopo che era stata respinta la richiesta di sostituire lo ius sanguinis, riconosciuto in Italia, con lo ius soli. Il primo, lo ius sanguinis, attribuisce la cittadinanza per discendenza: i genitori trasmettono ai figli la loro cittadinanza. Per lo Stato italiano è cittadino italiano anche il discendente di un avo italiano, senza limite generazionale. Lo ius soli stabilisce la cittadinanza di una persona in base al luogo di nascita: si è cittadini del paese in cui si è nati, anche se da genitori stranieri.
LO IUS SOLI, IUS CULTURAE O IUS SCHOLAE
Il fulcro della battaglia per lo ius soli, lo ius culturae e lo ius scholae è il riconoscimento ai bambini stranieri degli stessi diritti di quelli italiani, l'ingiustizia presunta, da sanare, di una cittadinanza negata e l'urgenza di un percorso di inclusione sociale che "sapersi stranieri" renderebbe impossibile.
Il primo argomento - i diritti negati - è stato ampiamente smentito. I bambini stranieri godono degli stessi diritti dei loro coetanei italiani, delle stesse libertà e usufruiscono degli stessi servizi, senza discriminazioni e limitazioni. Pur di non ammetterlo, un inconveniente - non può proprio essere considerato un diritto leso - alla fine è stato trovato e riguarda le gite scolastiche. Può capitare infatti che per partecipare a una gita all'estero un bambino non italiano si debba procurare un visto che a quelli italiani non è richiesto.
Invece un inconveniente, anche serio, che non viene minimamente preso in considerazione, può derivare ai minori per il fatto di perdere la cittadinanza dei genitori, nel caso in cui non possano godere della doppia cittadinanza perché i paesi di origine non lo ammettono (ad esempio, il Camerun, la Nigeria, il Senegal, l'Iran, l'Etiopia...). Possono verificarsi problemi sia nel caso che la famiglia continui a vivere in Italia sia nel caso decida o si veda costretta a trasferirsi in un altro Stato o a fare ritorno al paese di origine.
COME SE FOSSERO APOLIDI, SENZA CITTADINANZA
Nel 2022, mentre si discuteva la proposta di legge, l'enfasi era stata posta anche su quanto fosse ingiusto lasciare centinaia di migliaia di bambini e ragazzini "senza cittadinanza", mantenuti "nel limbo di una non riconosciuta cittadinanza". Se ne parlava come se fossero apolidi o, piuttosto, fosse una condizione imbarazzante, patita, quotidianamente sofferta, essere, come i genitori, cittadini nigeriani, pakistani, marocchini, bengalesi e, perché no, canadesi, neozelandesi o giapponesi.
Quanto al "sapersi stranieri" e sentirsi per questo esclusi, basta avvicinarsi a una scuola alla fine delle lezioni per tranquillizzarsi a questo proposito: tra i ragazzini che escono felici non c'è traccia di divisioni, demarcazioni, almeno non per il colore della pelle. Sono altri i criteri che inducono all'emarginazione, e al bullismo, e ne scelgono le vittime. Piuttosto, se e quanto un bambino nato in Italia da genitori stranieri o arrivato da piccolo si auto emargina e manifesta ostilità nei confronti dell'ambiente che lo circonda dipende da come questo ambiente gli viene presentato. La responsabilità è senz'altro della famiglia e conta molto il suo grado di integrazione economica e sociale. Può essere altrettanto e ancora più importante, nel caso dei bambini musulmani, l'insegnamento impartito nelle moschee, soprattutto quelle informali.
Ma forse un ruolo ancora maggiore, decisivo, è svolto dalle continue, martellanti campagne - mostre, conferenze, dibattiti, festival... - condotte "a fin di bene" che accusano gli italiani di razzismo, mettono in guardia contro di loro, descrivono l'Italia come un paese inospitale, neofobico, che respinge gli stranieri, li disprezza. Pretendendo di abbattere muri, creano barriere di risentimento e diffidenza. Sono davvero ostacoli all'inclusione.
Nota di BastaBugie: Stefano Fontana nell'articolo seguente dal titolo "Ius scholae? Ma la scuola non integra nemmeno gli italiani" spiega che la scuola italiana non fornisce una identità culturale nemmeno agli italiani, figuriamoci se può farlo agli stranieri. Anzi, è il contrario: non ha una sua identità perché assorbendo le ideologie moderne e il relativismo ha reso impossibile la trasmissione della verità.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 24 agosto 2024:
In questi giorni il mondo politico dibatte la questione dello Ius scholae come possibile criterio per regolarizzare gli immigrati. Il ministro Tajani e Forza Italia, per motivi politici, ci puntano molto. La cosa presenta molteplici aspetti di cui ci siamo già occupati e tutti conducono ad una sola conclusione: la proposta è assurda. Uno in particolare dimostra fuori di ogni dubbio questa assurdità: si pretende di affidare alla scuola italiana la costruzione di una identità italiana nei giovani immigrati, ma la scuola statale italiana non è in grado di educare a nessuna identità nazionale, per il semplice fatto che non è in grado di educare a nessuna identità culturale.
La scuola italiana non fornisce una identità culturale nemmeno agli italiani, figuriamoci se può farlo agli stranieri. Sfido il ministro Tajani ad elencare i caratteri della identità culturale italiana così come plasmata dalla nostra scuola di Stato. Anzi, il processo è esattamente il contrario, la scuola italiana, davanti alla presenza di alunni stranieri, diminuisce i riferimenti alla propria tradizione e alla propria cultura - ammesso che ne abbia una - per un presunto dovere di adattamento di essa alle altre culture per spirito di accoglienza. Il caso delle omissioni nell'insegnamento della Divina Commedia di Dante è molto eloquente.
Però, attenzione! Non è che Dante lo si insegni abitualmente e in modo approfondito e poi lo si purghi dei passi indigesti alle altre culture, soprattutto a quella islamica. La realtà è che Dante non lo si insegna più da molto tempo, l'abdicazione alla propria cultura è avvenuta già prima della presenza in Italia delle altre culture e nessun insegnante pensa più che insegnare Dante sia un dovere per rispetto alla nostra identità. Piuttosto il contrario, Dante, come Manzoni, sono stati da decenni combattuti nelle scuole perché organici ad una certa italianità tradizionale cattolica diventata il nemico della politica culturale gramsciana. Per questo l'archiviazione di Dante davanti alle esigenze islamiche risulta così privo di patemi d'animo, era già avvenuto.
La nostra scuola "pubblica" non ha una sua identità ormai da molto tempo, da quando sono penetrate in essa le ideologie moderne e da quando il relativismo ha reso impossibile intenderla come ricerca e trasmissione di verità, da quanto essa ha assunto come criterio fondamentale di formare il cosiddetto spirito critico, cosa impossibile senza l'idea della verità. Lo spirito critico, non più basato sulla verità, è stato fondato sul soggetto e a quel punto tutte le credenze sono state ammesse, perché la verità stessa è stata trasformata in una credenza.
Ogni verità è stata ridotta a opinione, quindi siccome bisogna accettare tutte le opinioni, come dice la Costituzione, bisogna accettare tutte le verità, che a quel punto non sono più verità. Ciò che importa è che gli studenti ci credano, ci mettano qualcosa di sé, siano coerenti con se stessi: nella nostra scuola l'atto soggettivo e non più il contenuto oggettivo diventa criterio di verità, intervenire in un dibattito in aula è più importante di cosa si dice, anzi tutti dicono il vero e affermare che una idea è sbagliata significa esercitare una discriminazione. Nessuna disciplina viene insegnata ormai come avente a che fare con la verità, ma al massimo come ipotesi di lavoro
Oggi la scuola pubblica italiana non propone più nemmeno una unitaria visione della persona, ma n
21 AGO 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7893
SVEZIA DISPERATA: SOLDI AI MIGRANTI PER ANDARE VIA
Il Paese è il simbolo del fallimento del multiculturalismo: Stoccolma è la capitale con più violenza in Europa, con intere zone off-limits per le forze dell'ordine
di Franco Lodige
Violenza, criminalità, scontri tra fazioni opposte. La Svezia si è lentamente trasformata nell'emblema del fallimento del multiculturalismo forzato, testimonianza cristallina dell'ideologia che si nasconde dietro il modello porte aperte. Stoccolma è la capitale con il più alto tasso di violenza armata letale in Europa, con intere zone off-limits per le forze dell'ordine. I migranti sono diventati un problema innegabile e il governo è disposto a tutto pur di ripristinare legalità e sicurezza, perfino a pagare i rifugiati per tornare nei Paesi di provenienza.
Come riportato dal The National News, la Svezia vuole offrire denaro per tornare nel Paese d'origine anche ai rifugiati con cittadinanza svedese: il programma di "uscita volontaria" offre 10 mila corone, ossia 900 euro, più i costi per sostenere il viaggio. Si tratta della mossa della disperazione per il governo, che deve fare i conti con dati drammatici: nel 2023 più persone hanno lasciato la Svezia di quante ne siano arrivate, prima perdita netta da oltre cinquant'anni.
"Uno sviluppo verso un'immigrazione sostenibile è necessario per rafforzare l'integrazione e ridurre l'esclusione sociale", ha evidenziato il ministro all'immigrazione Maria Melmar Stenergard: "Il numero di domande di asilo sembra essere storicamente basso, i permessi di soggiorno correlati all'asilo continuano a diminuire e la Svezia registra un'emigrazione netta per la prima volta in 50 anni". Inutile evidenziare che le politiche in materia di immigrazione e integrazione siano state esaminate attentamente dopo le ripetute violenze delle gang in tutto per il Paese.
A maggio, un servizio di controspionaggio ha accusato l'Iran di reclutare bande criminali svedesi, note come Foxtrot e Rumba, per fare i loro voleri. I dati della polizia mostrano che lo scorso anno in Svezia ci sono state almeno 348 sparatorie. Sono state uccise almeno 52 persone e il numero di esplosioni è salito da 90 a 149. Senza dimenticare i roghi del Corano, che hanno inasprito i rapporti tra cristiani e musulmani. Il ministro Stenergard non ha utilizzato troppi giri di parole: "Per chi non si è integrato, è l'occasione per una vita migliore". Ma l'obiettivo è innegabilmente un'inversione di tendenza.
Dopo anni di porte spalancate e buonismo a palate, all'inizio del 2023 il governo svedese aveva messo mano alle politiche di accoglienza: dal calo drastico di permessi accordati ai rifugiati alla cessazione dei ricongiungimenti, passando per il rafforzamento dei confini. Un intervento necessario e comunque tardivo, considerando i numeri del Paese nordico: l'8 per cento della popolazione - 10 milioni di abitanti - è di religione islamica. Le proiezioni hanno spaventato tutti: entro il 2050 i musulmani potrebbero raggiungere quota 30 per cento. Una situazione potenzialmente esplosiva, considerando la già difficile convivenza.
Una situazione drammatica, testimoniata plasticamente dalla fuga degli svedesi e dei migranti integrati dai ghetti più pericolosi. Con buona pace del progressismo e dell'inclusività esasperata, che tanto male hanno fatto e continuano a fare all'Occidente. E in primis al buonsenso.
13 AGO 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7879
C'E' UN ELEFANTE NELLA STANZA: LA CORRUZIONE IN AFRICA di Anna Bono
There is an elephant in the room. C'è un elefante nella stanza. Con questa espressione gli inglesi intendono l'esistenza di una realtà del tutto evidente e nota a tutti, ma che viene sistematicamente ignorata perché nessuno ha voglia di parlarne e si preferisce far finta che non esista.
Ebbene, quando si tratta di Africa, qualunque sia il contesto e quali che siano i temi affrontati, un elefante nella stanza c'è sempre. È la corruzione, un argomento che nessuno vuole toccare. Se di corruzione si parla, nelle sedi internazionali, forse è durante i colloqui privati tra capi di stato e di governo, negli incontri bilaterali, facendo attenzione a non urtare la suscettibilità dei leader africani.
Quando si arriva alle cause dei grandi problemi del continente - la povertà, i conflitti, il jihad, il debito estero, la disoccupazione... - di tutto si parla salvo che del ruolo giocato dalla corruzione che pure contamina incontrastata ogni aspetto, ogni settore della vita pubblica e privata, eretta a sistema, addirittura ostentata come segno di status sociale, responsabile di un generale approccio predatorio che autorizza chi può a usare il denaro pubblico come fosse sua proprietà e diritto.
Le cause dei problemi sono sempre altre. Il riscaldamento globale, rinominato cambiamento climatico, è la spiegazione più recente che si aggiunge alle altre addotte nel corso del tempo: le risorse naturali depredate, dall'Occidente mai da altri, il neocolonialismo, i diktat del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale, fino a più remoti fattori come l'incontro iniziale con l'Europa nel XVI secolo, che avrebbe bloccato e distorto il promettente sviluppo del continente mettendovi fine, e la tratta transatlantica degli schiavi, per la quale si continuano addirittura a chiedere risarcimenti. Tipicamente, sono tutte cause attribuite a fattori esterni, che assolvono gli africani da ogni responsabilità.
LE PROTESTE IN KENYA
Ma adesso in Africa la parola "corruzione" finalmente viene scandita, gridata da decine di migliaia di giovani. Hanno incominciato in Kenya, dove da oltre sei settimane manifestazioni di protesta vengono organizzate nella capitale Nairobi e nelle principali città per chiedere che alla corruzione si metta fine.
A mobilitare la "generazione Z" è stata la notizia che erano in arrivo nuove tasse destinate inevitabilmente ad aumentare il costo della vita già elevato: una nuova tassa annuale di circolazione per gli automezzi, pari al 2,5 per cento del loro valore, una "tassa ecologica" sulla maggior parte dei manufatti locali e l'aumento delle imposte su generi di base come il pane (del 16 per cento) e l'olio da cucina (del 25 per cento). Le casse dello stato sono vuote, ha provato a spiegare il presidente William Ruto, quindi o si aumenta il debito estero ricorrendo ad altri prestiti, e già adesso per ogni dollaro ricavato dalle imposte 61 centesimi servono per pagare i debiti contratti, oppure si aumentano le tasse.
Inutilmente il capo dello Stato ha cercato di far leva sull'orgoglio nazionale dicendo che il provvedimento era necessario per "riscattare il nostro Paese e affermare la nostra sovranità", un appello all'orgoglio nazionale che spesso ha funzionato, ma non questa volta, non con chi ogni giorno deve fare i conti con spese alle quali non riesce a far fronte e che per "debito" intende i conti non pagati al negozio di alimentari che non concede più credito, gli arretrati dell'affitto, la bolletta della luce scaduta.
Le proteste sono continuate. La polizia il 25 giugno, quando i manifestanti hanno marciato sul Parlamento dove si discuteva la legge finanziaria, riuscendo a dar fuoco ad alcuni locali, ha sparato ad altezza d'uomo uccidendo decine di persone e ha continuato in occasione delle manifestazioni successive. Ormai i giovani uccisi sono più di 50.
Anche quando Ruto, vista la situazione, ha deciso che la legge finanziaria non sarebbe entrata in vigore, i giovani leader delle proteste, invece di dirsi soddisfatti, hanno incominciato a chiederne le dimissioni. Gli slogan scanditi e scritti sui manifesti durante le nuove proteste hanno continuato a reclamare la fine di corruzione e malgoverno, ad accusare la classe politica di essere responsabile delle difficoltà in cui versa tanta gente.
L'11 luglio il presidente ha quindi sciolto il governo lasciando in carica soltanto il ministro degli esteri, Musalia Mudavadi. Il giorno successivo il capo della polizia Japhet Koome ha rassegnato le dimissioni. Neanche questo è bastato, tanto più dopo che Ruto ha annunciato di voler formare un governo di unità nazionale, vale a dire composto anche da alcuni rappresentanti dell'opposizione, e il 24 luglio ha nominato ministri quattro membri del principale partito di opposizione, l'Orange Democratic Movement.
"Abbiamo creato una partnership visionaria, lungimirante, per una trasformazione radicale del Kenya", ha detto il capo dello Stato presentandoli e poi ha ringraziato "per il loro storico atto di patriottismo" tutti coloro che vi hanno collaborato. Il suo è stato un collaudato espediente per rabbonire l'opposizione che non ha ingannato nessuno. "Ruto ha nominato delle persone corrotte per combattere la corruzione", hanno replicato i rappresentanti dei giovani, "l'accordo con l'opposizione è corrotto".
Le proteste quindi continuano e con esse la richiesta che il presidente Ruto e il vicepresidente Rigathi Gacharua rassegnino le dimissioni. Una denuncia depositata in tribunale il 25 luglio li accusa di grave violazione della costituzione, abuso di potere, incompetenza, perdita irreversibile della fiducia popolare.
LE PROTESTE IN NIGERIA E UGANDA
Intanto altri giovani in Africa stanno pensando di seguire l'esempio di quelli kenyani e in due Paesi, la Nigeria e l'Uganda, sono già passati all'azione. Benché sia il primo produttore africano di petrolio e la prima economia del continente, la Nigeria sta affrontando la peggiore crisi economica degli ultimi decenni, ha anch'essa accumulato un debito insostenibile, lo scorso anno ha evitato di dichiarare default solo grazie a nuovi prestiti di entità enorme.
La svalutazione del naira, la valuta nazionale, e la rimozione di alcuni sussidi statali introdotti per contenere il prezzo al consumo di elettricità e benzina hanno fatto impennare il costo della vita. Molte famiglie ormai si possono permettere solo un pasto al giorno e c'è chi si procura da mangiare frugando nella spazzatura.
Il 1° agosto nella capitale Abuja e nelle altre principali città si sono svolte manifestazioni contro la corruzione. La più imponente è stata quella di Kano dove adesso è stato imposto il coprifuoco per fermare i disordini. La polizia nega di aver usato proiettili veri, ma a Kaduna, capitale dell'omonimo Stato, sono stati uccisi almeno tre manifestanti. A Lagos, il polo commerciale, i giovani gridavano "ole", che in lingua Yoruba vuol dire ladro, all'indirizzo del presidente Bola Tinubo e del suo governo. Il presidente ha reagito sprezzantemente dicendo che "pochi uomini e donne" vogliono mobilitare i giovani per loro "biechi motivi".
In Uganda, Paese che confina con il Kenya, è stata organizzata una grande manifestazione anti corruzione il 23 luglio. La polizia è intervenuta con gli idranti e ha arrestato centinaia di persone. Il presidente Yoweri Museveni, che governa dal 1986, anno in cui ha conquistato con le armi la capitale Kampala, e che per anni ha negato il passaggio alla democratica teorizzando un "no party system" come formula politica ideale per gli africani, ha minacciato gli organizzatori dicendo che "stanno giocando con il fuoco", che non consentirà a nessuno di interferire con le attività del suo governo e li ha accusati "essere al servizio di potenze straniere".
Accusare di essere manovrati, di servire potenze straniere è un altro collaudato metodo usato dai leader africani per screditare chi li contesta e per stornare la collera popolare. Ma non è detto che questa volta funzioni.
3 LUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7841
CHI CRITICA LO STUPRO DI GRUPPO VIENE PUNITO, GLI STUPRATORI NO di Manuela Antonacci
Nella società pervasa dall'ipocrisia del "politically correct" può accadere che ad andare in carcere non sia un gruppo di feroci stupratori, ma chi li insulta. Ma la storia va raccontata davvero con tutti i dettagli del caso perché ha dell'incredibile. Lo stupro di gruppo di cui si sta parlando era stato perpetrato nel settembre 2020 in un importante parco pubblico di Amburgo, con ben dieci uomini, di età compresa tra i 16 e i 20 anni, provenienti da Kwuait, Afghanistan, Iran e altri Paesi, che hanno approfittato dello stato di ubriachezza di una adolescente che vagava in stato confusionale e della mancanza di testimoni, a causa del lockdown in corso.
Il parco di Amburgo, infatti, in quel periodo di forzato isolamento sociale, era diventato luogo di ritrovo degli adolescenti, ma ad un certo punto, la polizia aveva disperso tutti i gruppi, per far rispettare le misure di distanziamento sociale. Così la ragazzina era rimasta da sola ed era stata assalita dai primi quattro aggressori che - oltre a violentarla ripetutamente - le avevano anche tolto portafoglio e cellulare. Uno di loro, per "divertimento", aveva anche girato alcune scene dello stupro, in cui si vede la straziante immagine della quindicenne che cerca di coprirsi almeno il viso, per difendersi dalle violenze.
Non contenti, terminata questa mattanza, i violentatori cominciarono a mandare messaggi per invitare anche altri del branco a partecipare allo stupro. Dopo essere riuscita finalmente a liberarsi e a chiamare i soccorsi, una volta in ospedale, le furono ritrovate, addosso, tracce di ben nove spermi diversi. Pensate, allora, che la giustizia abbia fatto il suo corso, infliggendo agli stupratori una pena esemplare? Ebbene no!
Nonostante nessuno di loro abbia mai mostrato il minimo segno di pentimento durante il processo, anzi, qualcuno del branco avrebbe definito la sua azione come "un'occasione irrinunciabile", grazie alla presidente della Corte, Anna Meier Goring, i giovinastri non si sono fatti nemmeno un giorno di carcere. Proprio così: neppure uno. Secondo il giudice, i ragazzi non sarebbero in grado di assumersi le stesse responsabilità degli adulti e le pene detentive presenterebbero degli "enormi svantaggi" data la giovane età degli inquirenti.
Però, badate bene, una pena comminata c'è, ma non riguarda uno degli aggressori, ma un soggetto del tutto esterno ed estraneo ai fatti, ovvero una ragazza di 20 anni che avendo visto uno degli stupratori su Snapchat, indignata dalla terribile violenza, non gliele aveva mandate a dire, inviando messaggi con frasi del tipo "stupratore maiale" e "mostro disgustoso". Per tutta risposta, l'uomo, si sarebbe anche azzardato a denunciarla e il giudice gli avrebbe persino dato ragione. Così ora la ragazza si farà tre giorni di carcere e sarebbe stata costretta anche a scusarsi pubblicamente. Ma la follia continua perché le autorità di Amburgo stanno indagando su altri 140 casi di insulti agli stupratori. Evidentemente secondo certa giustizia, al branco andava conferita una medaglia al valore e il plauso generale.
Davvero sembra un racconto surreale e invece il "politically correct" con tutta la sua folle ondata ideologica può portare davvero a conseguenze estreme come questa! Cosa c'è, infatti, di peggio della violenza di una visione ideologica che consiste proprio nello stravolgere la realtà e nel piegarla ai propri dettami, come in questo caso? Intanto Anna Meier Goring, sulla cui coscienza pesa terribilmente questo verdetto, è già stata ribattezzata dall'opinione pubblica "la vergogna di Amburgo" e molti le hanno augurato la stessa sorte della ragazza.
Tuttavia, siccome al peggio non c'è mai fine, la donna è stata anche elogiata nelle pubblicazioni tedesche di sinistra per la sua sentenza, venendo definita "coraggiosa e intelligente". "Coraggiosa" perché ha regalato la libertà agli oppressori e avrebbe continuato ad infliggere dolore alla vittima che ora non si sente più nemmeno tutelata dalla legge? "Intelligente" perché avrebbe usato la giustizia amministrandola con "equità" considerando più grave, non lo stupro ma chi insulta sui social?
31 GEN 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7685
IMMIGRAZIONE FUORI CONTROLLO, IN FRANCIA COSTA 2 MILIARDI L'ANNO di Paola Belletti
Sarebbe dovuto uscire il 13 dicembre, ma la sua pubblicazione è stata intenzionalmente differita. Ad ammetterlo Pierre Moscovici, già ministro dell'economia e delle finanze nei due governi Ayrault, e attualmente primo presidente della Corte dei Conti della Repubblica francese. Si tratta del rapporto sull'immigrazione clandestina in Francia, fenomeno contro il quale il governo aveva promesso il pugno di ferro: il ministro dell'Interno Gérald Darmanin sbandierava fieramente l'efficacia della sua gestione degli immigrati clandestini e afferma che il tasso di espulsione degli stranieri delinquenti è aumentato del 30%. Il rapporto che riferisce i numeri del fenomeno migratorio - che si configura oggi come epocale per tutta l'Europa, come ha evidenziato il Timone di novembre (qui per abbonarsi) - è invece un atto di accusa contro l'operato del governo.
TEMPISMI SOSPETTI
Darmanin, che non ha potuto far tornare i conti in modo che confermassero la bontà della gestione dell'esecutivo di Macron, ha deciso di non renderli noti nel momento in cui avrebbero potuto pesare maggiormente sul dibattito parlamentare che proprio in quei giorni si stava infiammando, l'11 dicembre infatti l'Assemblea nazionale aveva bocciato il progetto di legge sull'immigrazione: la mozione è stata votata con 270 voti favorevoli contro 265, impedendo di fatto l'approvazione del progetto di legge all'Assemblea nazionale e infliggendo l'ennesima sconfitta politica alla maggioranza di Macron. La proposta di legge era invece passata al Senato francese qualche settimana fa e numerose organizzazioni si erano mobilitate per evitare che il progetto di legge passasse in via definitiva.
Il presidente della Corte ha spacciato per rigore morale una omissione, se non una manomissione strumentale a favore del governo in carica (e sotto una fitta grandine di malcontento sociale): si è difeso spiegando che non voleva che "questa pubblicazione interferisse in alcun modo con il dibattito politico". A prendere in considerazione i numeri del rapporto si capisce anche come a pensar male, anche in questo caso, si rischi poco di sbagliare.
CONTROLLI INESISTENTI, RISORSE SCARSE, SPESA ELEVATA
Nel pezzo a firma di Hélène de Lauzun l'elenco, seppure sintetico, è impietoso: la gestione delle frontiere è giudicata catastrofica, con controlli di identità praticamente mai effettuati e nessuna informazione seriamente raccolta. Le amministrazioni e i tribunali responsabili delle deportazioni sono totalmente saturi, poiché il numero di ordini di lasciare la Francia (Obligation de Quitter le Territoire Français, o OQTF) emessi è effettivamente aumentato del 60% negli ultimi cinque anni, mentre il numero di personale responsabile del loro trattamento è aumentato solo del 9%. Gli OQTF sono spesso contestati e i tribunali amministrativi non sono in grado di gestire correttamente i casi a causa della mancanza di personale e risorse.
Altro limite significativo è la mancanza di applicazione degli ordini di espulsione emessi: solo il 10% diventa effettivo: di sicuro questa sproporzione non rimanda un'immagine di semplice disorganizzazione; ciò che comunica all'opinione pubblica nazionale e internazionale è un senso di inefficacia e perdita di controllo da parte dell'autorità politica. Tra i numeri che l'ex ministro socialista ha preferito tacere il più a lungo possibile spicca senz'altro quello del costo dell'immigrazione clandestina sui bilanci dello Stato: 1,8 miliardi di euro all'anno, essenzialmente a carico del Ministero dell'Interno. Questa cifra sconcertante mina un argomento spesso avanzato dalla sinistra, vale a dire che l'immigrazione ha "arricchito" il paese. E il rapporto della Corte esamina solo il costo dell'immigrazione illegale.
CRISI MIGRATORIE: È ORA CHE LA REALTÀ PREVALGA SULL'IDEOLOGIA
Chi segue il fenomeno migratorio francese ed europeo non si è stupito più di tanto di ciò che il documento ha restituito; ciò che ha indignato molti in Francia è stato il comportamento da uomo di partito da parte di un amministratore pubblico che invece ha l'obbligo istituzionale e morale di servire il bene comune in modo imparziale, non schierato. Moscovici ha barato perché temeva che la realtà documentata dal rapporto avrebbe pesato a favore delle linea dura della destra in tema di gestione dei flussi migratori. Un atteggiamento, conclude chi firma il pezzo, emblematico della resistenza dello stato profondo francese a una vera riforma dell'immigrazione.
Quanto al nostro Paese, possiamo evidenziare come l'Italia, per gestire il fenomeno migratorio, destini indicativamente 4,6 miliardi di euro (dato del 2018), cifra divisa su diversi ministeri e voci di spesa. Il costo per ogni rimpatrio è di circa 2.400 euro per ogni persona immigrata clandestinamente (in questa cifra convergono costi di polizia, sorveglianza, assistenza e viaggio). Stando ai dati forniti dal Viminale, nei primi sei mesi del 2023 sono stati oltre 54.000 gli immigrati sbarcati in Italia - non vengono considerati di conseguenza quelli arrivati nel nostro Paese via terra attraverso la cosiddetta rotta balcanica - un dato più che doppio rispetto allo stesso periodo del 2022 (21.800) e del 2021 (16.500).
5 DIC 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7624
IL MINISTRO DELLA DIFESA CROSETTO NON VUOLE UNA NUOVA BATTAGLIA DI LEPANTO di Raffaele Citterio
In un'intervista rilasciata al Corriere della Sera e pubblicata due domeniche fa, il ministro della Difesa Guido Crosetto si augurava che il conflitto in Medio Oriente non degenerasse in "uno scontro di civiltà". Il rappresentante di Fratelli d'Italia vorrebbe impedire che si scateni "una nuova battaglia di Lepanto". A sostegno di tale augurio, chiosava in vari modi: "Non esiste una frattura tra mondo arabo e Occidente".
Nel contempo, però, annunciava che le festività delle Forze Armate ai Fori Imperiali, previste per il 4 novembre, sarebbero state sospese per motivi di sicurezza, cioè per il rischio di attacchi terroristici di matrice islamica. Come dire: prendiamo atto che il terrorismo islamico ci può colpire anche a casa.
Interpellato sull'immigrazione che, sempre più copiosa, sbarca sulle nostre coste meridionali, il ministro ammetteva che "per dei potenziali terroristi è il modo migliore per entrare in Italia". E faceva sapere: "In questi anni, di persone che arrivano dal mattino alla sera e possono farci del male ne sono entrate a migliaia. Quando hai decine di migliaia di migranti... è ovvio che sbarcheranno alcuni che non siano stinchi di santo".
Di più. Domandato se nel mirino di Hamas c'è solo Israele o ci sono anche le democrazie dell'Occidente, Crosetto rispondeva: "Le democrazie occidentali sono il gradino successivo. L'obiettivo di Hamas è la jihad, la guerra totale. Cercano di agitare gli animi di milioni di musulmani e trasformare la loro volontà terroristica in una guerra di religione".
E allora, perché vuole scongiurare una nuova battaglia di Lepanto?
Dalle parole del ministro traspare la comprensibile preoccupazione che il conflitto mediorientale possa estendersi all'Europa, già tanto provata da altri fattori, e in preda a una guerra sui confini slavi. Si augura, dunque, che le nazioni "buttino acqua sul fuoco", cerchino cioè la pace. Intenzione di per sé lodevole e condivisibile. Sbaglia, però, nel voler escludere tout court quello che possiamo chiamare lo spirito di Lepanto, condizione essenziale per la vera pace.
LO SPIRITO DI LEPANTO
Prima di essere una battaglia, Lepanto è uno stato di spirito fondato su due elementi:
1) la consapevolezza della nostra identità cristiana ed europea, cioè di una specifica tradizione di Fede e di civiltà;
2) la consapevolezza che tale Fede e tale civiltà sono oggi sotto attacco, sia dall'esterno che dall'interno.
Da ciò la consapevolezza che è un nostro preciso dovere morale reagire in difesa di Santa Romana Chiesa e della civiltà che essa ha plasmato. Detto senza mezzi termini, la consapevolezza che serve un rinnovato spirito di crociata. Crociata psicologica, culturale e ideologica prima che militare, ma ciò nondimeno una vera e propria crociata.
Negli ultimi decenni, mentre l'amore per la nostra Fede e la nostra civiltà europea venivano meno, il fanatismo dei nostri nemici cresceva in proporzione inversa. Già nel 2000 ammoniva il cardinale Biffi: "L'Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la ‘cultura del niente', della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa ‘cultura del niente' (sorretta dall'edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all'assalto ideologico dell'islam che non mancherà. Solo la riscoperta dell'avvenimento cristiano come unica salvezza per l'uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell'antica anima dell'Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto".
Ed ecco che, di fronte a un'Europa sempre più assopita, debole e perfino vergognata di essere cristiana - un'Europa che odia sé stessa, come denunciava Benedetto XVI - si alza di nuovo minacciosa la scimitarra della jihad islamica, rediviva dopo un periodo di quiete relativa. E ciò è un pericolo.
LA JIHAD ISLAMICA
La jihad islamica va vista in un contesto storico assai più ampio e profondo. Essa non è appena il braccio armato di certe fazioni estreme dell'Islam. Da quando, nel 632, Maometto ordinò l'invasione dell'Impero bizantino, la jihad islamica si è comportata come una forza globale anti-cristiana e anti-occidentale, la cui finalità è la distruzione della Chiesa e della Civiltà cristiana. Non andava per il sottile il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser quando, nel corso d'una cerimonia commemorativa della battaglia di Mansurah (1250) contro i francesi di S. Luigi IX, proclamava: "La Mezzaluna ha trascinato la Croce nel fango. Solo una cavalcata musulmana potrà restituirci la gloria d'un tempo. Quella gloria non sarà completa finché i cavalieri di Allah non calpesteranno S. Pietro a Roma e Notre Dame a Parigi".
E noi, cosa opponiamo a questa cavalcata? La controcultura del nichilismo e della decadenza. Ossia niente. Anzi, apriamo le nostre porte affinché questi "cavalieri di Allah" possano venire indisturbati. Di più: gli diamo alloggio, vestiti, cibo, copertura sanitaria... e perfino una paghetta. Non sazi di sostenerli in ogni modo possibile, provvediamo per loro anche luoghi di culto, trasformando sempre più chiese in moschee, indifferenti al fatto che una moschea non è paragonabile a una chiesa. La moschea è il luogo dove si riunisce l'umma, cioè la comunità islamica, per leggere il Corano e discutere dei loro affari, soprattutto nei confronti dei "miscredenti". Sono luoghi di indottrinamento.
Ai frequentatori delle moschee in Italia, per esempio, viene distribuito il libro dello Shaykh Abu Bakr Djaber el Djaza'ri, Minhaj al Muslim (La via del musulmano). Eccone alcuni brani: "Il musulmano deve credere che tutte le religioni sono caduche, che i loro addetti sono negatori, che l'Islam è la vera religione e che i musulmani sono i veri credenti. (...) Tutti quelli che non professano l'Islam sono miscredenti. (...) Per Dio, la vera religione è l'Islam. (...) Il musulmano che rinnega la sua fede e diventa israelita o cristiano, per tre giorni si cerca di convincerlo a tornare alla propria fede. Se rifiuta, gli viene inflitta la pena di morte, perché ha detto Maometto: Uccidete chiunque abiura la sua fede".
Qualcuno dirà che sono una minoranza. Nell'intervista sopra menzionata, il ministro Crosetto ammette che "uno su cento" dei migranti potrebbe diventare un terrorista "se venisse pompato", ossia fanatizzato dalla propaganda. Le fonti dell'intelligence sono concordi nel dire che l'Islam radicale - compresi combattenti e fiancheggiatori - non rappresenta più del 10% della popolazione musulmana. Se prendiamo però in considerazione che i seguaci di Maometto nel mondo sono due miliardi, dovremmo concludere che ci sono duecento milioni di potenziali "cavalieri di Allah" che potrebbero bussare alle nostre porte forzandone l'ingresso.
No, ministro Crosetto. Con tutta la comprensione per la sua cautela da uomo pubblico, qui serve uno spirito di Lepanto. Lo scontro di civiltà che lei vorrebbe evitare c'è già. Dobbiamo solo schierarci.
7 NOV 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7590
MAROCCHINO MUSULMANO, ESPULSO DUE VOLTE, UCCIDE LA MOGLIE, MA E' LIBERO DI CIRCOLARE di Stefano Zurlo
L'hanno espulso due volte, nel 2011 e nel 2023, ma è ancora in Italia. È un uomo libero. E fra un provvedimento e l'altro, ha ucciso con ferocia la moglie, massacrata con 42 coltellate davanti alla loro figlia di 7 anni. È una storia sconvolgente quella di Hammadi Zrhaida, marocchino, classe 1975, finito a suo tempo sui giornali per aver ammazzato la consorte dopo una lunga serie di vessazioni e umiliazioni. Una vicenda che mette purtroppo in luce le debolezze di un sistema colabrodo in cui si aprono infinite falle e che alla fine non è capace di tutelare le persone indifese ma meritevoli come Fatima, farmacista, che aveva denunciato Hammadi, ma è morta per mano sua.
La storia comincia nel 2010 quando l'uomo arriva in Italia con il classico visto turistico. Già nel 2011 è nei guai: viene denunciato per danneggiamento e viene decretata la sua espulsione, preceduta dal passaggio in un Centro di permanenza e rimpatrio per i migranti. Ma il marocchino non entra nel centro, riesce a schivare la detenzione sia pure amministrativa e gioca la carta del ricongiungimento familiare. Fatima l'ha preceduto nel nostro Paese. Lui l'ha costretta a lasciare il lavoro, lei è venuta in Italia, ha trovato un'occupazione come badante, vive a Padova. I rapporti fra i due sono pessimi: Hammadi la segrega, la minaccia, la picchia, lei lo denuncia e lo denuncia ancora, ma poi come spesso succede, fa marcia indietro.
Hammadi sospetta che abbia un amante e nel corso dell'ennesima lite la colpisce con coltello 42 volte, davanti agli occhi della piccola che assiste impotente allo scempio.
Zrhaida viene arrestato e condannato a 20 anni. In appello però la pena viene ridotta a 14 anni e 8 mesi, suscitando discussioni e polemiche sulla stampa; il Mattino di Padova registra lo sconcerto dell'avvocato che non accetta uno sconto così importante: «Non avevamo fatto appello contro la sentenza perché non avrebbe riportato in vita Fatima, tuttavia ci eravamo rimessi a una giustizia umana che non c'è stata. Eppure sono state spezzate due vite: quella di Fatima e quella della figlia», data in affido.
Zrhaida sconta la pena, ulteriormente accorciata per effetto delle regole del diritto penitenziario. Quest'estate è di nuovo in circolazione, fuori dal carcere. E non ci sono le condizioni per lasciarlo nel nostro Paese: il suo soggiorno in Italia è andato ben oltre i confini della legalità. È così a fine agosto il prefetto di Padova lo espelle e il questore lo spedisce in un Centro di permanenza e rimpatrio per i migranti, secondo il protocollo canonico seguito in questi casi.
Del resto, come ha raccontato il Giornale nella sua inchiesta, i centri per la permanenza e il rimpatrio sono forse l'unico argine contro individui socialmente pericolosi come Hammadi che forse verranno rispediti a casa e forse no. Perché c'è sempre la possibilità che un ricorso sia accolto. Hammadi viene portato nel Centro per i migranti di via Corelli a Milano, in attesa di essere espulso. È il 28 agosto scorso: il conto alla rovescia sulla carta non è lungo, perché il Marocco è un paese che collabora e gli aerei riportano indietro i clandestini. Ma in Italia c'è sempre un'ultima carta da giocare, quella della richiesta di asilo. Certo, il Marocco non è la Somalia e nemmeno l'Afghanistan, ma alcuni giudici hanno una sensibilità molto alta nel valutare i casi. Spesso i magistrati lasciano gli ospiti nelle strutture blindate in attesa della pronuncia della Commissione. È questa la decisione del giudice di pace che conferma il trattenimento, ma non esaurisce la procedura. C'è una richiesta di asilo e a soppesare il quadro arriva il giudice ordinario: Olindo Canali. Lui la vede in un altro modo: Il 29 settembre 2023 libera il marocchino che aspetterà senza restrizioni il responso della Commissione territoriale. Tredici anni dopo il suo ingresso in Italia e dopo essere stato espulso due volte, Zrhaida è libero.
31 OTT 2023 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7592
L'EUROPA SI ALLEVA LA SERPE ISLAMISTA IN SENO
Il jihadismo non riguarda solo il Medio Oriente e l'Africa, perché è ben radicata la presenza di radicalismo musulmano in Europa, Italia compresa
di Souad Sbai
Hanno avuto ragione molto presto coloro che hanno evocato lo spettro dell'effetto emulazione di Hamas in Europa. In Francia, a rispondere positivamente il 13 ottobre all'appello dell'organizzazione terroristica per un "venerdì della rabbia" è stato un giovane ceceno di 20 anni, Mohamed Mogouchkov, che ha colto l'occasione per fare quanto forse aveva già in mente da tempo. Come vittima sacrificale, è stata la volta del Prof. Dominique Bernard, docente di letteratura francese in un liceo di Arras poco più che quarantenne. Due i feriti, causati dal coltello dell'attentatore.
Mogouchkov era immancabilmente già noto alle autorità come soggetto a rischio radicalizzazione. Il fratello più grande si trova in carcere per il piano di un attacco terroristico all'Eliseo. Il giovane ceceno ha così deciso di seguire fedelmente le orme del suo connazionale Abdullakh Anzorov, il decapitatore del Prof. Samuel Paty nel sobborgo di Conflans-Sainte-Honorine, nei pressi di Parigi, il 16 ottobre del 2020, esattamente 4 anni fa.
TERRORISMO JIHADISTA NEL CUORE DELL'EUROPA
Gli antefatti che hanno condotto al suo barbaro gesto devono ancora essere ricostruiti con precisione e non sappiamo quindi se Mogouchkov nutrisse un odio tanto estremo nei confronti del Prof. Bernard per una qualche ragione in particolare, come fu l'aver discusso in classe delle vignette di Charlie Hebdo, che risultò fatale al Prof. Paty. Anzorov agì istigato dall'ISIS, Mogouchkov da Hamas pur avendo anch'egli simpatie per il presunto stato islamico: al netto delle differenze, il risultato non cambia. Si tratta sempre di terrorismo jihadista nel cuore dell'Europa.
Ci si preoccupa in maniera crescente dell'insistenza del fenomeno in Africa sub-sahariana e sicuramente a ragione. D'altro canto, il concentrare l'attenzione pressoché esclusivamente su quanto accade al di là dei nostri confini, porta a sottostimare le serissime problematiche che affliggono l'Europa internamente, tra cui va certamente annoverata la ben radicata presenza di sacche di radicalismo islamista, diffuse ormai ovunque, Italia compresa. Una problematica intrecciata a doppio filo con quella dell'immigrazione, dell'integrazione e del militantismo di una parte significativa delle seconde generazioni, a cui va aggiunta anche l'accoglienza di "rifugiati" come Anzorov e Mogouchkov, che raggiungono nella lista nera del terrorismo i connazionali Dzokhar e Tamerlan Carnaev, gli autori dell'attacco alla maratona di Boston del 15 aprile 2013.
La Germania ha messo fuori legge tutte le attività legate ad Hamas nel paese, dopo il clamore suscitato dalle manifestazioni di giubilo a Berlino in favore dell'organizzazione terroristica che, ricordiamo, è uno dei tanti frutti amari generati dai Fratelli Musulmani e beneficia del sostegno politico di Turchia e Qatar, oltre che dei missili e dell'addestramento del regime khomeinista iraniano. Simili manifestazioni a quelle della capitale tedesca si sono svolte nelle strade di Londonistan, come denunciato dalla scrittrice Joanne Rowling. E in Italia?
PRUDENZA MISTA A FURBIZIA
Gli islamisti nostrani non hanno finora gridato troppo apertamente il proprio supporto per Hamas, ma si tratta solo di prudenza mista a furbizia, che non ne nasconde la compiacenza per quanto accaduto in Israele, come nel caso dei tanti giovani "influencer" con la barbetta che spopolano sui social media. Si tratta di soggetti nati o giunti molto presto in Italia, laureati e inseriti professionalmente, che non hanno nulla di apparentemente pericoloso ma sfruttano le sembianze a prima vista rassicuranti per veicolare la propaganda ideologica fondamentalista della Fratellanza nell'attuale contesto italiano.
Le loro lezioni di storia online sulla questione palestinese non servono altro che a promuovere presso i proseliti di turno la visione del conflitto promossa da Hamas, insieme agli obiettivi fissati nel suo statuto fondativo (distruzione di Israele), strumentalizzando così la situazione di sofferenza reale e pluridecennale dei palestinesi.
Tra gli obiettivi da raggiungere della loro attività di proselitismo troviamo senza sorpresa la sinistra studentesca neo-sessantottina, con cui si sono riuniti a Milano per il "venerdì della rabbia", inneggiando alla "Resistenza" palestinese in salsa islamista.
Se fossero stati maggiormente consapevoli di queste dinamiche, i gruppi giovanili di destra che hanno causato incidenti nelle manifestazioni di Roma avrebbero forse assunto una posizione più equilibrata e meno da tifosi da stadio degli antagonisti di sinistra. La "Resistenza" comprende anche Hezbollah, che su mandato dell'Iran sta facendo in modo che nel conflitto venga nuovamente coinvolto su larga scala il povero Libano, malgrado il 70 per cento della popolazione sia assolutamente contraria a una simile e assurda prospettiva.
Dall'islamismo radicale bisogna sempre prendere le distanze, qualunque causa esso voglia rappresentare. L'allerta bomba a Versailles e alla tormentata scuola di Arras ci dicono che i "venerdì della rabbia" sono destinati a continuare.
Siamo sicuri che non sia in corso un'invasione dell'Italia e dell'Europa?
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Autore | BastaBugie |
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