Traduzioni di poesia lirica - Giacomo Zanella traduce Catullo - seconda puntata
17 ott 2020 ·
7 min. 54 sec.
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Descrizione
In questa puntata verrà letta e brevemente commentata la traduzione del carme 11 del poeta latino Catullo (I a. C.), fatta da Giacomo Zanella (1820-88). Il presbitero Zanella fu autore...
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In questa puntata verrà letta e brevemente commentata la traduzione del carme 11 del poeta latino Catullo (I a. C.), fatta da Giacomo Zanella (1820-88). Il presbitero Zanella fu autore di traduzioni da molte lingue, oltre che di poesie originali. Il tono delle sue composizioni, d'impianto formale tradizionale, è spesso dimesso; tra i temi, si possono ricordare le meraviglie del creato e le istanze patriottiche (naturalmente fervide nell'epoca del risorgimento).
Congedo
Furio ed Aurelio, di Catullo amanti
indivisi compagni, o ch’ei del Gange
tenda ai lidi, ove il mar indico frange
l’onde sonanti;
o che agl’Ircani e dove molle odora
Arabia, ai Parti onusti di saette,
a’ Saci e dove il Nilo il mar con sette
foci colora;
o ch’oltre le sublimi Alpi vïaggi
del gran Giulio mirando i monumenti,
vegga il gallico Reno, i truculenti
Angli selvaggi;
pronti meco a tentar questo o se prova
altra piú perigliosa il ciel m’appresta,
alla mia donna nunzî ite di questa
infausta nuova;
viva pur ella avventurosa e rida
co’ trecento suoi drudi, che congiunti
tiene ad un laccio e tutti manda emunti
a tutti infida
né piú riguardi all’amor mio, caduto
per colpa sua, come sull’orlo cade
d’un prato il fior che oltrepassando rade
vomere acuto.
Scritto e letto da Jacopo Khalil, dottorando di Filologia e storia del mondo antico presso Sapienza - Università di Roma.
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Congedo
Furio ed Aurelio, di Catullo amanti
indivisi compagni, o ch’ei del Gange
tenda ai lidi, ove il mar indico frange
l’onde sonanti;
o che agl’Ircani e dove molle odora
Arabia, ai Parti onusti di saette,
a’ Saci e dove il Nilo il mar con sette
foci colora;
o ch’oltre le sublimi Alpi vïaggi
del gran Giulio mirando i monumenti,
vegga il gallico Reno, i truculenti
Angli selvaggi;
pronti meco a tentar questo o se prova
altra piú perigliosa il ciel m’appresta,
alla mia donna nunzî ite di questa
infausta nuova;
viva pur ella avventurosa e rida
co’ trecento suoi drudi, che congiunti
tiene ad un laccio e tutti manda emunti
a tutti infida
né piú riguardi all’amor mio, caduto
per colpa sua, come sull’orlo cade
d’un prato il fior che oltrepassando rade
vomere acuto.
Scritto e letto da Jacopo Khalil, dottorando di Filologia e storia del mondo antico presso Sapienza - Università di Roma.
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Autore | Glaucopis |
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