Se un libro dice che la mamma lava e stira viene definito ''sessista'' e ''discriminatorio''
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5819 SE UN LIBRO DICE CHE LA MAMMA LAVA E STIRA VIENE DEFINITO ''SESSISTA'' E ''DISCRIMINATORIO'' di Manuela Antonacci Incredibile ma vero: oggi, nell'era che esalta l'indipendenza...
mostra di piùSE UN LIBRO DICE CHE LA MAMMA LAVA E STIRA VIENE DEFINITO ''SESSISTA'' E ''DISCRIMINATORIO'' di Manuela Antonacci
Incredibile ma vero: oggi, nell'era che esalta l'indipendenza della donna più che mai, saper cucinare, lavare, stirare, insomma badare a se stesse, è paradossalmente considerato un punto a svantaggio del genere femminile, anzi, una vera e propria forma di "sessismo". Di che stiamo parlando? Del cortocircuito ideologico di chi vede nelle diverse responsabilità che competono all'uomo e alla donna, al giorno d'oggi, tra l'altro, divenute, per necessità, completamente interscambiabili a causa dei ritmi e degli impegni lavorativi che gravano sulle spalle sia dell'uno che dell'altra, un elemento di discriminazione verso il gentil sesso.
È questa la causa del polverone che ultimamente si sta sollevando contro un libro di testo adottato in alcune scuole elementari. In particolare, la "pietra dello scandalo" sarebbe un innocente esercizio in cui veniva richiesto, per insegnare il corretto utilizzo e significato dei verbi ai discenti, di collegare un soggetto a più opzioni verbali. Ad esempio, tra le azioni collegabili alla parola "cavallo", troviamo "correre", "nitrire" e "cantare", tra le quali il bambino è chiamato a scegliere quelle più logiche e corrette e così anche per altri soggetti e predicati verbali. Ma, arrivati alla parola "mamma" e "papà", apriti cielo... ci si imbatte in quella che è stata considerata una grave forma di "discriminazione" e cioè, mentre collegati alla parola papà, ci sono i verbi "lavorare" e "leggere", accanto alla parola mamma ci sono, invece, "lavare" e "stirare": questo il motivo di tanto clamore.
Viene da fare giusto un paio di considerazioni a riguardo: innanzitutto lavare e stirare è davvero roba da negrieri o da terzo mondo o piuttosto, banalmente, si tratta di azioni quotidiane che chiunque voglia uscire di casa in condizioni dignitose, senza essere scambiato per uno spaventapasseri, è chiamato a svolgere? Inoltre, se davvero vogliamo dirla tutta, confrontando le due frasi, chi non ne viene fuori proprio benissimo e suscita una certa simpatia, è proprio il "papà" che, rispetto alla mamma, non viene descritto esattamente come "multitasking"! Ma poi verrebbe da chiedere alle donne disposte ad aggiungersi al coro di queste inutili polemiche, se si rendano conto del grave errore che commettono nel voler censurare le attività domestiche nelle quali sono impegnate, ovvero quello di sottovalutare enormemente il loro lavoro, la loro fatica, il loro carico di responsabilità che va, oggi, molto oltre la propria professione stessa.
Insomma un "super lavoro" che rende le donne ulteriormente indispensabili e che andrebbe sottolineato e valorizzato ma che in questo modo, invece, per una sorta di "eterogenesi dei fini", finiscono esse stesse per disprezzare dandosi tristemente la zappa sui piedi. E se proprio la si vuol mettere sulla questione dei diritti e dell'emancipazione femminile, anche su questo punto, il ragionamento di chi protesta risulta fallimentare: "emanciparsi", rendersi indipendenti, è possibile innanzitutto se si è capaci di badare a se stessi, a partire dalle cose più pratiche e basilari, perciò ben vengano quelle attività domestiche di cui un tempo, tra l'altro, la donna era gelosa detentrice, pensiamo ad esempio all'arte di saper cucinare (una volta anche piatti difficili e laboriosi); diversamente si è capaci solo di battaglie ideologiche che non fanno che distogliere l'attenzione dai problemi reali e quotidiani che l'uomo e la donna, oggi, spesso in perfetta solitudine e in un clima di totale individualismo, sono costretti ad affrontare.
Nota di BastaBugie: ecco altre notizie dal "gaio" mondo gay (sempre meno gaio).
IL DALAI LAMA DICE NO E POI SÌ ALL'OMOSESSUALITÀ
Il Dalai Lama intervistato nel 2006 dal The Telegraph affermò in merito alle relazioni omosessuali: «No assoluto. Senza sfumature. Una coppia gay mi è venuta a trovare, cercando il mio appoggio e la mia benedizione. Ho dovuto spiegar loro i nostri insegnamenti. Una donna mi ha presentato un'altra donna come sua moglie: sconcertante. Al pari dell'uso di certe pratiche sessuali fra marito e moglie. Usare gli altri due buchi è sbagliato».
Gli anni passano e il politicamente corretto corrompe anche l'anima dei monaci tibetani e così al medesimo giornale il leader tibetano relativamente alle "nozze" gay dichiara che «se è consensuale, è OK».
(Gender Watch News, 19 agosto 2019)
L'EX SPICE GIRL VICTORIA BECKHAM E LA SUA MAGLIETTA LGBT
L'ex Spice Girl Victoria Beckham, ormai datasi alla moda da tempo, ha creato una maglietta con su scritto "Everyone deserves love -Tutti meritano l'amore" con caratteri color arcobaleno. Il 25% del ricavato andrà ai senzatetto LGBT britannici tramite l'associazione benefica LGBTQI Albert Kennedy Trust.
La Beckham ha dichiarato: "In commemorazione del 50° anniversario dei moti di Stonewall, ho voluto celebrare la comunità LGBTQ e il loro continuo messaggio di cambiamento positivo e inclusività. Quest'anno, per la prima volta, ho creato una maglietta con i proventi che beneficiano l'Albert Kennedy Trust che promuove i diritti umani. Ho sempre sentito un profondo legame con la comunità LGBTQI e sono orgogliosa di contribuire a sostenere la loro lotta per l'uguaglianza".
A noi sorge una domanda: ma quanti saranno i senzatetto gay e trans? Infatti le persone omosessuali sono tra il 2 e il 4% della popolazione e i transessuali lo zero virgola qualcosa. Quindi sono assai pochi. Tra questi saranno pochissimi i senzatetto. Davvero un'emergenza sociale. E poi viene da pensare: che dirà il senzatetto etero che non si vedrà aiutato perché non è gay? Infatti pensate che clamore susciterebbe una iniziativa per aiutare i senzatetto cattolici e solo loro. Verrebbe bollata come iniziativa discriminatoria.
(Gender Watch News, 6 settembre 2019)
LA VIRILITÀ ADESSO È UN MALE DA CURARE
Così, l'American Psychological Association (APA) ha deciso che la virilità è un problema da curare. Un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista della più importante associazione professionale di psicologi al mondo asserisce che «Tredici anni di lavoro, attingono a oltre 40 anni di ricerca che dimostrano che la mascolinità tradizionale è psicologicamente dannosa». È così: in tredici anni di lavoro gli psicologi hanno scoperto che gli uomini virili non vanno volentieri dal medico e che indulgono in comportamenti pericolosi: fumare, bere e... «evitare le verdure» (testuale). Sembra di sentire la mamma: «Mangia la verdura! Ti fa bene, è per la salute! Se non mangi la verdura ti mando dallo psicologo!». Un momento... in effetti l'articolo sulla pericolosità della virilità tradizionale... è scritto da una donna. Incidentalmente impegnata nel sostenere i diritti dei gay, ma è sicuramente un caso. Non solo: hanno anche appreso che «gli uomini sono spesso riluttanti ad ammettere vulnerabilità». Se solo sapessero che la Bussola incoraggia questo comportamento...
Il dato utilizzato per avvalorare l'ipotesi che la virilità fa male è dato dal tasso di suicidi. Fino alla pubertà non ci sono differenze tra maschi e femmine; dopo il tasso di suicidi tra gli uomini si distacca enormemente da quello delle donne. Dunque la virilità uccide. La faccenda, tuttavia, è seria e merita qualche ulteriore riflessione. Innanzitutto notiamo che il tasso di suicidi, tra gli uomini, mostra un'impennata con la terza età. Se fosse vero che è la virilità, con il suo carico di aspettative di genere tra le quali il lavoro, uccide... gli uomini dovrebbero smettere di suicidarsi smettendo di lavorare. Invece sembra proprio l'opposto: sembra che il ruolo stereotipato dell'uomo lavoratore faccia bene agli uomini, che gli dia un motivo per vivere. È il grande insegnamento dello psicologo ebreo Viktor Frankl (1905-1997): l'essere umano, per vivere, ha bisogno di un significato, di un senso. E se il lavoro fosse realmente uno dei significati della vita dell'uomo, e non una semplice costruzione sociale?
Secondariamente, se l'ipotesi fosse vera, ci aspetteremmo che il tasso di suicidi tra gli uomini diminuisca nel tempo. Gli ultimi decenni, infatti, hanno messo in discussione gli «stereotipi di genere» e c'è una crescente pressione mediatica e sociale perché gli uomini si prendano cura della loro salute, esprimano i loro sentimenti e mangino verdura. Invece no: dagli anni Cinquanta del secolo scorso il tasso di suicidi tra gli uomini sembra crescere costantemente. Sembra che, con la distruzione degli stereotipi di genere, l'uomo sia più incline al suicidio.
Possiamo avanzare delle ipotesi? Abbiamo detto che l'essere umano (uomo o donna) ha bisogno di un significato nella vita; e che, forse, il lavoro dà senso alla vita dell'uomo. Potrebbe essere così anche per la capacità di mantenere la famiglia e di provvedere al suo sostentamento? Sembrerebbe di sì. Osserviamo questo grafico: indica l'andamento del salario degli uomini negli Usa negli ultimi trent'annni. Abbastanza desolante, in effetti. Confrontiamolo con quest'altro, che si riferisce all'andamento del salario delle donne. È sicuramente una bella cosa che il salario delle donne sia aumentato negli ultimi decenni, ma sarebbe ancora meglio che fosse aumentato anche quello degli uomini. Invece no. E se questo fattore avesse contribuito ad aumentare il tasso di suicidi tra gli uomini? Se il politicamente corretto e le battaglie per la «uguaglianza» di genere avessero avvantaggiato le donne indipendentemente dall'andamento dell'economia reale e, soprattutto, a scapito degli uomini? Se la nostra società avesse tolto all'uomo anche un altro motivo per vivere, il compito di provvedere ai bisogni della famiglia? Non c'è traccia di queste riflessioni, nell'articolo dell'APA.
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Autore | BastaBugie |
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