Risvolti politici dell’attentato di Istanbul

19 nov 2022 · 25 min. 16 sec.
Risvolti politici dell’attentato di Istanbul
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Approfittare dell’emozione per l’evento e del palcoscenico del G20 per gettare sul piatto della politica internazionale i dossier che stanno a cuore a Erdoğan e i toni minacciosi da bulli si confanno a una figura in palese declino e con la paura di non venire rieletto a giugno e con una situazione economica da far dimenticare. In eterno equilibrio, barcamenandosi tra i vari contendenti

Molti punti interrogativi dietro all’attentato avvenuto a Istanbul in contemporanea con il palcoscenico del G20 balinese, ma forse sono pochi quelli che possono avere persone avvertite e che conoscono i meccanismi della propaganda delirante dell’Akp. Il pretesto dell’attentato, tralasciando la sua ricostruzione che per tradizione non riuscirà a essere univoca (anche per l’appartenenza faziosa della magistratura), ci consente attraverso la consueta domanda “cui prodest?”: il primo personaggio a entrare in scena è Çavuşoğlu, il ministro dell’Interno, delfino di Erdoğan, che usa l’evento come una clava contro gli Usa – e di conseguenza minacciando i curdi, proprio per l’appoggio americano. Questo porta a valutare il bersaglio “Biden” come uno degli obiettivi.
L’altro paese nel mirino è la Grecia, denunciata nella ricostruzione delirante dei servizi turchi come la tappa dove avrebbe dovuto scappare la signora-attentatrice – che era stata vista a colloquio con i lupi grigi – se lasciate le telecamere nei pressi della bomba non fosse andata tranquillamente a casa. Atene contro cui ci sono molti dossier in sospeso, primo tra tutti il gas nel Mediterraneo orientale e le esercitazioni congiunte nell’Egeo, che si va a sommare ai consueti contenziosi sulla Sar. Sostenendo le stesse tesi è poi sceso in campo il presidente stesso con il solito chiodo fisso dell’arcinemico (ex alleato) Gülen, coperto proprio dagli Usa.

E i dossier aperti per andare all’incasso di questo rocambolesco attentato sono più riconducibili agli interessi più geopolitici che non al desiderio di annientare il movimento indipendentista curdo, perché in realtà stanno già occupando parte del territorio siriano e eseguono omicidi mirati sia in Iraq che in Siria. Una presenza militare massiccia mai sanzionata da nessuna potenza mondiale.
In realtà il problema del presidente è riuscire a imporre quella famosa zona cuscinetto in territorio siriano dove deportare i 3 milioni di siriani accolti, che si può ottenere solo se Putin lo consente e poi molti sono ormai naturalizzati e poi i migranti sono – come dovunque – la base produttiva che tiene in piedi l’economia, offrendo mano d’opera sfruttata a basso costo in concorrenza con le maestranze autoctone. E in più adesso indicando come siriana l’attentatrice l’elettorato dell’Akp richiederà l’allontanamento dei siriani… E Erdoğan non ha la soluzione.
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Autore OGzero - Orizzonti geopolitici
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