Puntata 1 - Rinnoviamo il nostro sguardo su chi comanda
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Descrizione
Ben trovati! Ecco la prima puntata della nostra rubrica poetica rinnovata. Oggi leggeremo un brano del Poeta Giuseppe Parini, tratto dal poema incompiuto “Il giorno” (https://amzn.to/3iOe8wz). In esso si trova...
mostra di piùEcco la prima puntata della nostra rubrica poetica rinnovata.
Oggi leggeremo un brano del Poeta Giuseppe Parini, tratto dal poema incompiuto “Il giorno” (https://amzn.to/3iOe8wz).
In esso si trova il racconto, sotto forma di parodia, di una giornata esemplare della vita di un giovane nobile del Settecento.
È scritto in seconda persona, come se il narratore dovesse insegnare al Giovin Signore protagonista dell'opera come comportarsi nella vita mondana.
Durante una discussione che vede coinvolta anche la Dama di cui il Giovin signore è il cicisbeo, questa si ricorda di quando la sua cagnetta morse la caviglia di un servitore, e questi, avendola scostata con la gamba, fu licenziato e gettato con la numerosa famiglia in miseria.
In questo modo Parini cercava di sottolineare l'ipocrisia della classe dominante.
Il brano in questione mostra la dama che si ricorda del giorno terribile in cui la sua vergine cuccia, cucciola, alunna delle grazie, soltanto per gioco mordicchiò il piede, villano, del servo con i denti d'avorio e lui, in tutta risposta, con il suo piede “sacrilego” la allontanò con forza da sé, e quella rotolò tre volte, tre volte agitò lo scompigliato pelo e dalle delicate narici starnutì per la polvere irritante. Quindi pareva che dicesse, emettendo gemiti “aita, aiuto, aiuto” e dai soffitti dorati le rispose Eco impietosita, e tutti i servi accorsero dalle stanze basse a quelle più alte, e le damigelle, pallide e tremanti, si precipitarono dalle stanze superiori.
Arrivarono tutti, e il volto della Dama fu spruzzato di essenze e alla fine rinvenne, dopo il trauma: l'ira e il dolore la turbavano ancora. Gettò sguardi fulminei, quindi veloci e terribili, sul servo e con voce languida, debole, chiamò tre volte la sua cagnetta, e questa le corse in braccio e sembrò chiederle vendetta: e la vergine cucciola alunna delle grazie ebbe infatti vendetta.
L'empio servitore, empio perché aveva osato attentare a qualcosa di così sacro, udì la sua condanna con gli occhi a terra. Per lui non fu considerato abbastanza aver servito per vent'anni, né aver svolto alcuni incarichi segreti; inutilmente lui pregò e promise. Se ne andò nudo, privato della divisa grazie alla quale prima era rispettato dal volgo.
Inutilmente sperò di trovare un nuovo signore, perché le dame, pietose della sorte della povera vergine cuccia, inorridirono e odiarono l'autore di un misfatto così atroce.
Il miserabile servo rimase sulla strada insieme ai figli sporchi e la consorte seminuda spargendo inutili lamenti tra i passanti: così tu, vergine cuccia, dea risarcita con le vittime umane, andasti superba, per aver ottenuto la tua vendetta.
Come vedete Parini punta tutto sul contrasto tra il trattamento riservato alla cagnetta e al servo che era stato da essa morso. Lo fa per sottolineare come talvolta gli esseri umani, facendosi prendere da un eccesso di impulsività, da una mancanza di lucidità e dal mancato utilizzo della ragione, ma soprattutto dalla mancanza di umanità, compiano dei gesti inconsulti, mettendo in difficoltà altre persone, altri esseri umani, che magari non lo meriterebbero affatto.
Una delle caratteristiche delle Poesie veramente riuscite è quella di affrontare temi che risultano attuali anche dopo secoli. E qui Parini vuole denunciare l'oppressione della classe dominante nei confronti dei sottoposti, che non possono ricorrerre a una vera giustizia in terra.
Ma leggiamo il brano originale:
Or le sovvien del giorno,
ahi fero giorno! allor che la sua bella
vergine cuccia de le Grazie alunna,
giovanilmente vezzeggiando, il piede
villan del servo con gli eburnei denti
segnò di lieve nota: e questi audace
col sacrilego piè lanciolla: ed ella
tre volte rotolò; tre volte scosse
lo scompigliato pelo, e da le vaghe
nari soffiò la polvere rodente:
indi i gemiti alzando, aita aita
parea dicesse; e da le aurate volte
a lei l'impietosita eco rispose;
e dagl’infimi chiostri i mesti servi
asceser tutti; e da le somme stanze
le damigelle pallide tremanti
precipitaro. Accorse ognuno: il volto
fu d’essenze spruzzato a la tua dama:
ella rinvenne al fine. Ira e dolore
l’agitavano ancor: fulminei sguardi
gettò sul servo; e con languida voce
chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
al sen le corse; in suo tenor vendetta
chieder sembrolle: e tu vendetta avesti
vergine cuccia de le Grazie alunna.
L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo
udì la sua condanna. A lui non valse
merito quadrilustre: a lui non valse
zelo d’arcani ufici. Ei nudo andonne
de le assise spogliato onde pur dianzi
era insigne a la plebe: e in van novello
signor sperò; ché le pietose dame
inorridiro; e del misfatto atroce
odiar l’autore. Il misero si giacque
con la squallida prole e con la nuda
consorte a lato su la via spargendo
al passeggiere inutili lamenti:
e tu vergine cuccia idol placato
da le vittime umane isti superba.
Informazioni
Autore | Mamù - Mattia Murgia |
Organizzazione | Mamù - Mattia Murgia |
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