Pervicace e insondabile tradizione thai
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L’ormai lunga sfida dei giovani thailandesi contro la tradizione e i suoi stereotipi si trova paradossalmente sotto scacco proprio per le manovre innescate dai custodi dello status quo incarnato dall'orwelliano regime militare-monarchico, chiave per mantenere immutati i privilegi della casta; e permane uguale a se stessa la Thailandia da cartolina tanto fastidiosa per i movimenti progressisti sostenuti da una larga fetta, soprattutto urbana, della società che vive secondo canoni e prassi estranee a quella tradizione.
Il motivo per cui il sommovimento intrapreso da Move Forward – il partito sciolto perché aveva vinto le ultime elezioni – è stato bloccato, invischiandolo nelle manovre di Palazzo, va cercato secondo Massimo Morello nel fatto che l’anima del movimento è composta da giovani colti borghesi di cultura occidentale ancora senza mezzi politici e soprattutto non potendo contare sulle vere masse (su cui invece aveva potuto contare vent’anni fa Thaksin Shinawatra quando aveva rovesciato i suoi “Bufali” nelle strade di Bangkok) per rovesciare il sistema (a questo punto irriformabile) fondato sulle gerarchie militari che rispecchiano i rapporti sociali fondati sulla cultura profonda e fieramente asiatica, che rende possibile un potere monarchico e finanziario di un paese tra i più benestanti dell’area e tra i più rispettosi verso i maiores.
Quella cancellazione della vittoria del partito del giovane Pita Limjaroenrat ha portato con sé una serie di successive derive trasformiste nelle istituzioni che hanno composto alleanze improbabili, edificazioni di governi costruiti solo per impedire alla istanza di innovazione di poter gestire quella volontà di cambiamento che persino le urne avevano affidato a Move Forward, che si ripropone caparbiamente dopo il 7 agosto con il provocatorio nome di People’s Party (riallacciandosi a quel movimento che un secolo fa portò alla fine della monarchia assoluta, introducendo una monarchia costituzionale in salsa siamese). In quest’ultimo mese a valanga si sono succeduti rivolgimenti istituzionali che vanno a completare il rientro della dinastia Shinawatra fino a portare la figlia di Thaksin a capo del governo al posto di Sretta Thaivisin, destituito dalla Corte costituzionale per una pretestuosa accusa di corruzione dopo un anno di governo raffazzonato tra eterni nemici (Rossi e Gialli), militari e monarchici a fare argine all’onda di innovazione di cui aveva fatto parte nell’accordo elettorale proprio il Pheu Thai, ora alleato dei conservatori, finché… il Thai Padkdee ha chiesto lo scioglimento anche del partito della premier, perché Thaksin sarebbe il ventriloquo della figlia. E la difesa degli Shinawatra secondo cui il padre Thaksin non dice alla figlia Paetongtarn, detta “Ung Ing”, cosa deve fare ma lei essendo sua figlia sa in che modo ci si deve comportare e quindi lo sta a sentire, confermando così il quadro dipinto da Massimo Morello che riconduce di nuovo gran parte delle mosse politiche a quella devozione per gli anziani che impregna la cartolina spacciata dal mondo “very thai”, che forse è solo più una quinta scenica di cartapesta dietro la quale però si nascondono i burattinai che sostengono l’establishment con la tradizione.
Bisogna attendere le mosse cinesi, ma anche americane dopo le elezioni, per poter intravedere uno sbocco futuro alla crisi economica e all’intorcinamento politico a cui ha portato la congiura contro il nuovo mondo Move Forward da parte del mondo gerarchicamente costituito. Una società comunque “normale” e non paragonabile alla situazione di miseria del Bangladesh, dove i giovani, meno preparati ma disperati hanno potuto disfarsi del regime di Sheikh Hasina, proprio a seguito della disperazione e della massa imponenti di poveri. Masse che costituiscono un mercato colossale per le metanfetamine dell’Arakan, indispensabili per poter reggere ritmi di lavoro spaventosi, perciò l’Arakan army – noto per il genocidio dei roinghya – cerca di ottenere il controllo del confine con il Bangladesh per controllare quel business e questo spalanca una finestra sulla reale situazione birmana, dove gli interessi di tutti trovano soddisfazione dal caos e dallo smembramento del paese ricchissimo di minerali e merci, centro nevralgico di logistica e infrastrutture che mettono in comunicazione il mondo cinese (in particolare l’oleodotto dello Yunnan che approda all’oceano proprio in Arakan) con quello indiano. Ognuna di queste comunità è in grado di autosostenersi e sarà probabile che la dissoluzione del Myanmar condurrà a molti narcostati satelliti della Rpc che commerciano dai minerali preziosi alla droga allo stesso modo, facendo affari con tutti.
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Autore | OGzero - Orizzonti geopolitici |
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