Lozzo di Cadore sorge a 756 m d’altezza in buona posizione, ai piedi delle Marmarole, sulla sponda destra del lago di Centro Cadore. Di etimologia incerta, il nome del paese, per alcuni, fa riferimento a Lucius, rappresentante romano che lì si era stabilito. Esistono però anche altre possibili spiegazioni, come la derivazione da luteum, luogo acquitrinoso, oppure da lucus, bosco. La storia di Lozzo ha origini antiche, come lasciano intendere alcuni rinvenimenti archeologici che fanno pensare all’esistenza, nella zona, d’insediamenti risalenti all’epoca romana e pre-romana. Lozzo, nel complesso, ha condiviso, con il resto del Cadore, le vicende e i moti risorgimentali fino all’Unità d’Italia e alla storia sino a questo secolo. Infatti, dopo la plurisecolare esperienza delle Regole, caduta la Serenissima, con la dominazione napoleonica, nel 1807, si avviò il sistema comunale. La storia millenaria di Lozzo e generalmente di tutto il Cadore, ha contribuito a forgiare, nella memoria degli anziani, racconti di Boschi Sacri, di Geni, di Folletti, di Fate e di Divinità dell’Acqua, abitanti delle grotte e delle sommità delle montagne, in un profondo rispetto per l’ambiente naturale. Possiamo quindi definire Lozzo di Cadore, il Paese “fatato”. Tra le figure avvolte da un’aura di magia e leggenda vi è quella di Redosola, una donna non più giovanissima nata a Lozzo, di cui si era innamorato l’orco di Val d’Oten, che divenne suo marito. La donna un tempo di animo mite, divenne perfida, tra le braccia del malvagio marito. Iniziò quindi a fare degli scherzi ai vicini, quando questi preparavano qualcosa di prelibato per il pranzo o la cena. Scendendo dal camino, la donna riempiva di fuliggine la stanza e così i manicaretti delle povere cuoche venivano rovinati. Giunta a Calalzo la vigilia dell’Epifania, Redosola si imbatté nella casa della donna più anziana del paese, che aveva appositamente preparato una pentola piena di acqua benedetta. Venuta a contatto con l’acqua benedetta le apparve S. Giovanni che le indicò dei pentimenti da compiere prima di poterla battezzare. La donna, piena di buona volontà, si mise all’opera… Non si sa ancora se S. Giovanni l’abbia battezzata, ma Redosola imparò la lezione: non si calò più dai camini per dispetto. Per farsi perdonare, la notte del 5 gennaio, ancora oggi, lascia doni nella calza. Questa leggenda ricorda qualcosa? Sembra proprio che quella vecchietta con uno scialle con le frange, in testa un fazzoletto scuro, ai piedi i tipici scarpet fatti a mano, brutti, vecchi e rotti, che oggi chiamiamo Befana, sia originaria di Lozzo. Un grandissimo patrimonio locale è rappresentato dall’altopiano di Pian dei Buoi e dalle bellezze naturali che da esso si possono ammirare tutt’intorno. L’altipiano è, infatti, un gioiello paesaggistico e naturalistico: situato alle pendici delle Marmarole, meta di numerosi escursionisti e ciclisti che da questa vera e propria terrazza panoramica possono ammirare alcune delle vette dolomitiche più belle, tra cui le Tre Cime di Lavaredo. Sul Pian dei Buoi sono ancora visibili numerosi manufatti della Grande Guerra, tra cui i Forti di Col Vidal. Lozzo può essere a buon diritto definito come “Il paese dei mulini”. Il Rio Rin, torrente che scorre a lato del paese, da sempre ne ha, infatti, rappresentato il fulcro vitale. La sua forza motrice ha consentito lo svilupparsi di numerose attività produttive. Lungo il percorso della “Roggia dei Mulini” sono tuttora visibili diversi opifici utilizzati un tempo come mulini, fucine, segherie e una delle prime officine per la produzione di energia elettrica. Lozzo, accanto alle attività tradizionali nel settore del legno, dell’edilizia, del turismo e del commercio ha avuto uno sviluppo vigoroso legato quasi interamente all’industria e all’artigianato nell’ambito del comparto dell’occhiale e delle lavorazioni collegate.
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