La patente, scritta da Pirandello (1867-1936) nel 1911, entrò a far parte della raccolta Novelle
per un anno nel 1922. La paradossale vicenda ruota intorno a Rosario Chiàrchiaro che, ritenuto
iettatore, persona capace di portare sfortuna e disgrazie, vuole il riconoscimento giuridico
della «forma» attribuitagli dagli altri, una «patente» appunto. La situazione appare comica,
ma il giudice D’Andrea, a cui Chiàrchiaro si rivolge, naturalmente non ride e, compresa la dolorosa
condizione dell’uomo, gli esprime con un forte, lungo abbraccio il proprio sentimento
di rispetto e solidarietà.
La novella, ambientata in Sicilia verso la fine dell'Ottocento, racconta la storia di un uomo, tal Chiàrchiaro, che querela per diffamazione due giovani perché questi avevano compiuto scongiuri al suo passaggio in quanto avente fama di jettatore.
La storia arriva all'attenzione del giudice D'Andrea, a cui tocca il fascicolo. Ma il giudice, non volendo infierire sul povero Chiarchiaro, lo invita a presentarsi all'Ufficio di Istruzione (cioè presso la sede dell'amministrazione della giustizia) per convincerlo a desistere dal proposito, in quanto ne avrebbe guadagnato solo una sconfitta giudiziaria e una crudele persecuzione.
In realtà, il Chiarchiaro vuole il processo perché vuole che gli venga riconosciuta la nomea di jettatore. Lui vuole che “sia ufficialmente riconosciuta” la sua “potenza spaventosa”, ormai divenuta il suo “unico capitale”. Lui pretende la patente di jettatore.
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