L'ombra del comunismo sulle olimpiadi di Tokyo
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L'atleta Tsimanouskaya della repubblica ex sovietica della Bielorussia ha chiesto asilo politico nell'ambasciata della Polonia
di Stefano Magni
Nelle Olimpiadi di Tokyo 2020 abbiamo avuto anche l'occasione di rivivere le emozioni della Guerra Fredda. Un'atleta della repubblica ex sovietica della Bielorussia, la velocista Krystsina Tsimanouskaya, ieri avrebbe dovuto correre i 200 metri femminili, ma invece ha defezionato ottenendo asilo nell'ambasciata della Polonia. Presto si recherà a Varsavia come rifugiata politica.
La Bielorussia, da agosto, è alle prese con una protesta popolare massiccia contro l'esito (scontato) delle elezioni presidenziali dell'agosto 2020, quelle in cui venne riconfermato ancora, dopo 16 anni ai vertici dello Stato, Aleksandr Lukashenko, dopo un conteggio dei voti alquanto dubbio. Lo sport è sempre stato un tipico canale di propaganda dei regimi comunisti e la Bielorussia, che è rimasta comunista, non fa eccezione. Il presidente del Comitato Olimpico bielorusso dal 1997 è stato lo stesso presidente Lukashenko, caso unico di presidente della repubblica che è anche il presidente del Comitato Olimpico. Solo di recente gli è subentrato il figlio, Viktor, che potrebbe succedergli anche nella carica di capo dello Stato. Colpito da sanzioni per la dura repressione della protesta anti-presidenziale (27mila arresti e l'uso diffuso della tortura nelle carceri), Lukashenko non può recarsi personalmente alle Olimpiadi. I suoi atleti neppure, perché in mille hanno firmato, già un anno fa, all'inizio della protesta, una lettera aperta in cui chiedono le dimissioni del presidente ed elezioni anticipate.
LA REPRESSIONE DEL REGIME
Di questi atleti, almeno 95 hanno partecipato alle manifestazioni di piazza e sono stati arrestati, sette sono stati condannati per motivi politici, 60 sono stati licenziati dalla squadra nazionale, hanno perso tutti i finanziamenti (tutto lo sport è statale, in Bielorussia) e hanno subito pressioni per ritrattare. I casi di cui si è occupata maggiormente la nota Ong in difesa dei diritti umani sono quelli di Aliaksandra Herasimienia (tre volte medaglia olimpica di nuoto), licenziata da tutte le scuole di cui era istruttrice per essersi unita alla protesta; Yelena Leuchanka (due volte medaglia olimpica di basket) arrestata nell'agosto del 2020 e condannata a una durissima "detenzione amministrativa" nel famigerato carcere di Аkrestsina; Andrei Krauchanka (una medaglia d'argento in atletica leggera), arrestato nelle prime proteste e sottoposto a carcere duro, dove ha contratto il Covid. Sono casi selezionati di atleti di fama internazionale, ma ce ne sono molti di più nel Paese ex sovietico. In totale, Amnesty International calcola 124 atleti che hanno subito una qualche forma di persecuzione.
In una situazione di questo genere devono essere sorte molte difficoltà a formare una squadra olimpica nazionale da inviare a Tokyo e Krystsina Tsimanouskaya, sulla sua pagina Instagram, ha denunciato un'organizzazione caotica e approssimativa. Per sostituire una staffettista che non poteva recarsi ai Giochi, il 29 luglio, sarebbe stata inserita all'ultimo nella 4x400 senza alcuna preparazione, né il necessario preavviso. La sua denuncia ha fatto notizia ed ha causato la comprensibile indignazione dei funzionari bielorussi presenti a Tokyo.
LE MINACCE IN STILE SOVIETICO
Convocata nella notte dall'allenatore della squadra di atletica leggera e da un alto funzionario del Comitato Olimpico bielorusso, ha subito pressioni e minacce. L'audio dell'incontro è trapelato ed è stato diffuso ieri da Euroradio. Con un linguaggio mafioso, i due dirigenti le hanno detto chiaramente che "sei come una mosca che finisce nella tela di un ragno, più provi a ribellarti più ne rimani avvolta". E per uscire dalla sgradevole situazione, le hanno consigliato di sparire "presso i tuoi genitori" o comunque lontano dai riflettori fino alla fine dello scandalo. La questione sarebbe finita nella rubrica "trattamento duro dei tuoi dipendenti, dopo il loro uso ingenuo dei social network", se non ci fosse stata la successiva defezione dell'atleta.
Krystsina Tsimanouskaya, infatti, il 1 agosto avrebbe dovuto essere imbarcata su un aereo a Tokyo, contro la sua volontà, e rispedita a Minsk. Ma si è rivolta alla polizia giapponese, poi ha chiesto aiuto e asilo politico all'Austria, infine ha ottenuto aiuto dalla Polonia che, tramite la sua ambasciata in Giappone, è stata pronta a concedere un visto umanitario alla fuggitiva. Proposte di aiuto sono arrivate anche da altri Paesi che hanno avuto esperienze dirette del comunismo, quali la Slovenia e la Repubblica Ceca. Il marito della velocista, Arseni Zdanevich, ha invece lasciato la Bielorussia alla volta dell'Ucraina.
C'è dunque molto di più in ballo rispetto a una normale "lavata di capo". La Tsimanouskaya era certa di essere arrestata una volta tornata in patria. L'esilio volontario del marito dimostra che questo timore si estende anche ai parenti più stretti. Stava già montando una campagna di denigrazione e diffamazione sistematica nei suoi confronti da parte dei media di Stato bielorussi, ulteriore segnale che, tornata a casa, non l'avrebbe fatta franca.
Un'associazione sorta per difendere i diritti degli atleti ucraini, la Bssf, ha pagato il biglietto del volo per Varsavia alla Tsimanouskaya. Il 4 agosto, sempre che il suo volo non venga dirottato dai bielorussi (come hanno fatto per arrestare un altro dissidente, Roman Protasevich), sarà al sicuro nella capitale polacca, dove chiederà asilo politico.
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Autore | BastaBugie |
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