L'Amore Strappato: la fiction di canale 5 con Sabrina Ferilli su fatti veri e sconvolgenti
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5652 L'AMORE STRAPPATO: LA FICTION DI CANALE 5 CON SABRINA FERILLI SU FATTI VERI E SCONVOLGENTI di Caterina Giojelli Fa freddo, quella mattina del 24 novembre 1995....
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Fa freddo, quella mattina del 24 novembre 1995. Angela ricorda i passi che rimbombano mentre Carla la trascina per un braccio davanti ai cappottini appesi fuori dalle porte delle altre classi. «Dov'è la mia mamma?», continua a ripetere la bambina; «smettila, i tuoi genitori sanno tutto», le ripete seccata la donna. Non sa, la piccola Angela, che Carla mente. Perché è un'assistente sociale che all'insaputa dei suoi la sta trascinando fuori dalla scuola di Masate, piccolo centro del Milanese, per scortarla con due carabinieri al centro di affido familiare (Caf) dove resterà per oltre sedici mesi, prima di venire spostata in un centro di affido protetto, e da lì adottata da una nuova famiglia. Non sa Angela, mentre singhiozza, prigioniera sul sedile posteriore di quell'auto nera che da sola basta a farle paura, che dal momento del suo "rapimento" a scuola passeranno oltre undici anni e dovrà soffrire il corso assurdo della giustizia minorile e soprusi di ogni genere prima di poter riabbracciare i suoi genitori e suo fratello Francesco che disperatamente non smetteranno mai di cercarla. Sa solo che manca un mese al compimento dei suoi sette anni ed è certa che i genitori sanno dove si trova: «Loro lo sanno, loro lo sanno, loro lo sanno», ripete silenziosamente.
Angela non immagina che nel 2019 la sua terribile storia diventerà una fiction, L'amore strappato, diretta da Simona Izzo e Ricky Tognazzi e interpretata da Sabrina Ferilli ed Enzo Decaro. Una grande fiction, prodotta da Jeki Production, e andata in onda su Canale 5 dal 31 marzo, che si ispira alla vicenda maledettamente vera e raccontata nel 2009 da Angela stessa a Caterina Guarneri e Maurizio Tortorella nel libro Rapita dalla giustizia (Rizzoli), i primi due coraggiosi giornalisti che su Panorama condussero un'insistente battaglia per restituire la bambina alla sua famiglia. Ora i produttori assicurano di aver portato in tv solo «la storia di una donna», «nessun attacco alla magistratura». Ma l'infernale storia di Angela, che qui raccontiamo attingendo a piene mani dalle pagine di Rapita dalla giustizia, non può non ascriversi a una serie di errori giudiziari.
IL DISEGNO DI UN FANTASMA
Il magistrato cui è affidato il caso è Pietro Forno, inquisitore di pedofili e violentatori. È lui a raccogliere le denunce di Antonella M., la cugina quattordicenne di Angela che dal 1993 inizia ad accusare il fratello di averla violentata. Nonostante due perizie ginecologiche disposte dalla procura di Milano appurino che la ragazza è vergine, le sue accuse sono prese in seria considerazione dagli inquirenti. Davanti alla famiglia, che unita rigetta e contraddice ogni insinuazione, Antonella prima ritratta, poi sostiene che gli abusi siano iniziati anni prima, quindi coinvolge anche suo padre, e parenti, e persone estranee alla famiglia, infine perfino sua madre: tutti secondo il racconto della ragazza - che più volte viene ricoverata in reparti di salute mentale, assume droga, brucia materassi e compie atti di autolesionismo - hanno partecipato a sconvolgenti giochi pedofili. Infine, saputo che lo zio Salvatore non ha preso le sue difese, Antonella accusa anche lui. Al pm Forno dirà che l'uomo ha abusato anche dei suoi due figli: Angela, di sei anni e mezzo, e Francesco, che ne ha quasi dodici. Da qui parte, a cascata, il dramma raccontato nel libro e poi nella fiction. La testimonianza di Antonella, però, è contorta. Più volte afferma di essersi inventata tutto, più volte torna sui suoi passi. Quando il magistrato le chiede di decidersi, la sua risposta è: «Dipende se mi conviene».
Per giorni, davanti alla psicologa che il Tribunale dei minori di Milano ha nominato come perito tecnico, Angela disegna bambole, animali e altri oggetti innocenti. «Poi, nell'ultima visita - racconta nel libro - avevo avuto la pessima idea di cambiare soggetto: forse stanca, di certo annoiata per la ripetitività dell'esercizio al quale venivo costretta, sul foglio bianco avevo tracciato una linea oblunga cui avevo dato il nome di "fantasma"». Nel "gioco" seguito con la psicologa a questo fantasma viene dato il nome di "pisello". «Quel segno banale e incerto e quel nome, per me totalmente casuali e di certo non spontanei, sarebbero stati gli errori più grandi della mia vita e l'origine di un doppio dramma, il mio e quello della mia famiglia. Perché alla psicologa il mio spettro stilizzato era parso avesse un significato sessuale, e questo le era bastato per segnalare al Tribunale dei minori una situazione di grave pericolo. I giudici avevano ordinato subito che fossi allontanata da casa».
A quel punto, Angela è portata al Caf da cui proviene la psicologa che per il Tribunale dei minori (con evidente conflitto di interessi) ha raccomandato il ricovero della bambina. Quello schizzo diventa la prova centrale della presunta pedofilia di suo padre, che il 26 gennaio 1996 è portato a San Vittore in attesa di processo. La detenzione preventiva, già durissima per un indagato per pedofilia, è resa più insopportabile dal divieto totale di avere colloqui con il figlio Francesco (che, tenendo testa agli inquirenti, in una drammatica udienza negherà con forza di avere mai assistito ad atti anormali del padre sulla sorellina o di averne mai subiti in prima persona), e dall'angoscia di non sapere più nulla di sua figlia: nonostante sua moglie Raffaella non venga mai indagata e continui ad allevare Francesco, Angela non può tornare a casa.
SAI PERCHÉ TUA MADRE NON VIENE QUI?
Al Caf, dove le finestre sono sempre chiuse e non esistono orologi e calendari, Angela racconta di essere entrata come la più piccola. Ricorda schiaffi sulla nuca, i capelli tagliati perché vezzo inutile. La bimba è disperata ma non assente come altri compagni, che vagano con lo sguardo perso nel vuoto, succhiano le maniglie, restano a letto avvinghiati ai peluche. «Smettila di disegnare bambole, mi fai il tuo letto con il fantasma?», le chiedono continuamente le sue esaminatrici, mentre lei si domanda cosa ha fatto per meritare dai suoi quella punizione terribile. I custodi del Caf e la psicologa del Tribunale riferiscono più volte, a verbale, che Angela di giorno in giorno starebbe confermando gli abusi subiti, ma non esiste nessuna videoregistrazione che possa provarlo. In compenso vengono combinate visite tra Angela e la cugina Antonella: «Mi parlava con insistenza di mio padre. Mi chiedeva se ricordassi le sue visite notturne, quando ancora dormivo in camera mia, e le strane cose che mi faceva mentre ero nel mio lettino». «Secondo te, perché Antonella viene a trovarti e la tua mamma no?», sono invece le domande di Carla. Non sa la bambina dove sono i suoi, perché si trova lì da mesi e mesi, nessuno le dice nulla. Non sa che la sua mamma, che arriverà a incatenarsi alla cancellata del Caf («era lì fuori, a pochi metri. Lo avessi saputo, la mia vita sarebbe cambiata: avrei avuto un motivo in più per lottare, per sperare») e a scrivere al presidente del Tribunale Livia Pomodoro supplicandola di intervenire, sta conducendo una durissima battaglia. Non cederà mai alle pressioni dello psicologo del Tribunale che la invita a confermare le accuse mosse contro il marito per rivedere sua figlia. Ma non smetterà mai di cercarla.
SE PARLI TORNI A CASA
Leggete la storia di Angela, leggete il lavaggio del cervello cui è stata sottoposta una bambina di sette anni dalla psicologa, dalla cugina e dall'assistente sociale per prepararla all'audizione protetta architettata dentro al Caf, alla presenza degli inquirenti nascosti dietro un vetro unidirezionale. Mutismo totale della piccola, finché è Carla a spezzare il gelo: «Se torniamo lì dentro e racconti le cose di cui abbiamo parlato tante volte tu torni a casa». «Nella mia testa di bambina, ovviamente, non riuscivo a comprendere la gravità dei comportamenti che stavo attribuendo a mio padre. Quando, molto tempo dopo, scoprii il vero significato di quello che mi avevano spinto a dire, fu orribile: mi sentii sporca e, per la prima volta, veramente violentata».
Salvatore è condannato in primo grado a tredici anni di reclusione per violenze sessuali. Sedici mesi dopo l'ingresso al Caf, Angela è spostata a un centro di affido temporaneo, il Kinderheim di Genova. Strillando come un'indemoniata riconosce lo zio accampato per protestare fuori dal Caf mentre il pullmino si allontana: «Incollata al vetro posteriore, piangendo e gridando, guardai per qualche istante lo zio che, dietro di me, continuava la sua corsa sulla strada. Ma era inutile, si allontanava. (...) Ignoravo che il Tribunale dei minori quel giorno mi stava trasferendo, paradossalmente, proprio per evitare che la protesta di mia madre potesse "turbare la mia serenità"». Al Kinderheim, Angela è sottoposta a vessazioni, dieci, cinquanta, cento flessioni al giorno che diventano duecento dopo che tenta la fuga.
«Una sera mi resi conto che della mamma non ricordavo più nemmeno il nome. Fu una scoperta terribile, sconvolgente, che quasi mi tolse il respiro. Rammentavo il colore dei suoi capelli, rossi e ondulati; ma come si chiamava? Nulla: il vuoto. Anche di mio padre avevo scordato il nome. Solo di quello di mio fratello Francesco ero sicura». Il sogno di ricongiungersi ai suoi si spezza orrendamente quando le viene comunicato che andrà a vivere in nuova famiglia («ricordatevelo bene - urlavano alle bambine del Kinderheim quando Angela disegnava mamma, papà e fratello -: Angela non ha una famiglia, così come non ce l'ha nessuna di voi»). Intanto a Masate il padre, decorsi i termini della carcerazione preventiva e in attesa di appello, si danna l'anima, non sapendo dove si trovi la figlia rapita dalla giustizia mille giorni prima.
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Autore | BastaBugie |
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