Dual use militarista: riarmo drogato e industria bellica

23 gen 2023 · 23 min. 26 sec.
Dual use militarista: riarmo drogato e industria bellica
Descrizione

https://ogzero.org/studium/affari-e-traffici-darmi-lo-spaccio-nel-2022/ L’industria degli armamenti europei è al centro del dibattito per le pretese ucraine di vincere armi esiziali per sgominare l’avversario, allargando il conflitto al mondo. Ma le armi europee...

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https://ogzero.org/studium/affari-e-traffici-darmi-lo-spaccio-nel-2022/
L’industria degli armamenti europei è al centro del dibattito per le pretese ucraine di vincere armi esiziali per sgominare l’avversario, allargando il conflitto al mondo. Ma le armi europee e occidentali in generale raggiungono anche altri stati belligeranti e autocrati che opprimono le loro stesse genti, oltre all’idrovora questuante Zelensky, che ha il chiaro intento di tirare dentro alla guerra l’Europa, cominciando dalla Germania.
Prendendo spunto da un articolo di Alessandro De Pascale comparso su “il manifesto” (https://ilmanifesto.it/myanmar-ora-i-generali-si-fanno-le-armi-in-casa) a due anni dal golpe sanguinario dei generali birmani abbiamo percorso un viaggio alternativo nella produzione, diffusione, traffico di armi e nell’aggiramento dei loro embarghi. La denuncia che ha dato la stura a questo percorso tortuoso che abbiamo svolto in questi 24 minuti con Alessandro riguarda l’approvvigionamento da parte di produttori di armi (europei, americani, cinesi, russi e ucraini, spesso statali o a partecipazione statale) di macchine, software, particolari tecnologici, ricambi, componenti da assemblare in loco che consentono alla giunta di Naypyidaw di costruirsi le armi per uccidere gli oppositori (le stesse cartucce che due anni fa la ditta italiana Cheddite aveva fornito a Tatmadaw si trovano ora nei bossoli dei basij iraniani sui giovani in rivolta). La ciliegina evidenziata nel rapporto (Fatal Business) a cui fa riferimento l’articolo è che non esiste industria bellica in Birmania al di fuori dell’esercito stesso.
Da quel crogiuolo birmano di armi provenienti da tutto il mondo in particolare dalla Cina – ma con la connivenza di tutti i produttori di morte mondiali (l’Italia del ministro della Difesa mercante d’armi tra i primi) – il discorso di Alessandro si allarga ai beni dual use che aggirano divieti e avviano triangolazioni (e questo ci porta in Cina, India e all’onnipresente industria militare turca), che vedono sempre in primo piano l’importanza di luoghi topici, essenziali per la loro collocazione come Singapore e Taiwan, dove in un altro rapporto si trova denunciata la presenza di tecnici europei che curano la manutenzione dei macchinari da rimandare in Myanmar. Un sistema che vale per tutte i regimi (Egitto, Sudan, Etiopia, Iran…) in cui i militari hanno una rilevanza enorme all’interno di una società da loro interpretata e dove l’economia è controllata direttamente da loro. Un esempio eclatante è lo scivolamento nella dittatura militare dello Stato d’Israele, dove tutte le scelte sono influenzate da Tzahal; come vale per una democratura oligarchica quale quella russa.
Un altro spunto di discussione ci viene dato da un articolo dell’Atlante delle guerre ispirato dal Centro studi strategici statunitense che simula un attacco di Pechino a Taipei: il fatto che ci perdano tutti più che risultare un deterrente per guerrafondai incalliti, fa immaginare come nella chiosa dell’articolo di Emanuele Giordana (https://www.atlanteguerre.it/war-games-la-guerra-sotto-traccia-per-taiwan/) che più che dei “wargame” come “The First Battle of the Next War” (un giochino che nella realtà va avanti da tempo con i sorvoli degli stormi del Pla, o le esercitazioni navali nel mar cinese meridionale) si dovrebbero implementare simulazioni di “diplomaticgame”, e invece il responso è stato mandare più armi a Taiwan, innescando di nuovo un’escalation che può fare piacere solo all’industria bellica. Un riarmo che è invece il panorama globale che nell’area vede nel Giappone un altro protagonista che ha operato enormi stanziamenti (https://ogzero.org/studium/la-guerra-viene-con-le-armi-lo-spaccio-ad-agosto/#japan), cambiato la costituzione (ex pacifista), acquisito armi, partecipato a esercitazioni (https://ogzero.org/studium/7813/#nihon).
Anche il Covid ha avuto un ruolo nella militarizzazione della società, come lo svuotamento degli arsenali di mezzo mondo esauriti nella quantità di fuoco sparato nella guerra ucraina ha prodotto nuovi problemi, perché le aziende non riescono a stare dietro alla richiesta, pur producendo a pieno ritmo; ed è un business di stato quello delle armi. Vendute a regimi feroci e sanguinari, anche e soprattutto da aziende italiane, che in modo anticostituzionale – pur essendo spesso a partecipazione statale – ripudiano a loro modo la guerra.
Chiudiamo le suggestioni legate alle armi con un ultimo articolo, firmato da Alessandro sull’uso dei droni da parte dei narcos (https://www.atlanteguerre.it/la-guerra-coi-droni-dei-narcos-messicani/), macchine usate a scopo offensivo per bombardare zone, ma anche – un nuovo dual use – per trasportare droga, le stesse usate ai tempi dei tagliagole daesh, completando il ciclo con l’assunzione di droghe per effettuare efferati massacri come quelli che i droni riescono a fare se caricati di munizioni e ordigni letali. E che ancora vengono utilizzati in Siria, il più nuovo narcostato del mondo sia per il trasporto del Captagon che per bombardare civili (https://droghe.aduc.it/articolo/captagon+ha+reso+siria+piu+nuovo+narco+stato+mondo_35484.php).
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