Da Bab al-Mandab a Gwadar: gli snodi cinesi
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Intrecci geopolitici tra Pakistan, Yemen... e il bisogno di stabilità cinese In questo podcast si mescolano in modo apparentemente caotico gli interessi cinesi globali con i tanti conflitti che si...
mostra di piùIn questo podcast si mescolano in modo apparentemente caotico gli interessi cinesi globali con i tanti conflitti che si innestano intorno alla Belt Road Initiative, ponendo alcuni interrogativi riguardo alla strategia di Pechino. Si arriva a porre in dubbio – a seguito della crisi legata alla attività houthi intorno all’imbocco del Mar Rosso – che sia più sicuro il trasporto marittimo (e su quali rotte?) rispetto al percorso via terra. Il punto di partenza però in questo caso è l’area Mena con la domanda che si pone Emanuele Giordana per portare al pettine i nodi dello squilibrio mondiale in corso: perché contemporaneamente l’Iran colpisce Siria, Iraq e Pakistan con bombardamenti mirati a marcare il territorio? E questo ci porta ad allargare l’analisi alle iniziative degli alleati yemeniti di Teheran, perché tutto può essere riconducibile al genocidio in corso a Gaza.
La nuova contrapposizione houthi dopo la guerra quasi terminata con il resto della penisola arabica vista dall’ottica cinese può risultare un’agevolazione per gli interessi commerciali di Pechino o invece a lunga scadenza può risultare deleteria per l’espansione della Belt Road Initiative?
L’Ispi la fa facile: «Trasportare un container da Shanghai a Genova oggi costa più del triplo rispetto allo scorso novembre. Ma il costo ha già cominciato a scendere rispetto al picco della crisi. Non va però altrettanto bene per il trasporto Shanghai-Los Angeles: non solo il costo è più che raddoppiato, ma continua a crescere. Significa che la crisi, da prettamente europea e “mediterranea”, sta diventando globale. Un motivo in più per spiegare l’ansia degli Stati Uniti nel cercare di degradare il più possibile la capacità degli houthi di colpire le navi che transitano nel Mar Rosso».
Secondo “The Quint World” «Il piano di pacificazione della Cina in Medio Oriente è andato in frantumi. Una politica diligentemente elaborata per riempire lentamente ma costantemente il vuoto creato da un'impronta sempre più ridotta degli Stati Uniti e per garantire i propri interessi nella regione, dalle importazioni di energia ai suoi ambiziosi piani di connettività, è sfumata piuttosto rapidamente sulla scia della guerra tra Israele e Hamas».
Abbiamo chiesto dapprima a Emanuele Giordana il suo parere da esperto dell’area iranico-afghana e indo-pakistana (perché ci pare centrale anche la nuova accensione delle scaramucce tra Iran e Pakistan con l’improvviso bombardamento di comunità baluchi da un lato e dall’altro del confine) sulla scorta di un illuminato articolo di Alessandra Colarizi apparso su “Milano&Finanza” a inizio anno; e poi su quell’argomento abbiamo interpellato direttamente Alessandra, con la quale siamo partiti dall’analisi dal punto di vista cinese delle attività houthi per arrivare al Pakistan alle prese con passaggi elettorali travagliati, che vedono la popolarità di Imral Khan aumentare tra i pakistani… e questo non va nella direzione sperata dalla scelta filoamericana dei militari.
L'area del Golfo di Aden è diventata poi importante in questo periodo per la Cina anche per un'altra notizia che vede protagonisti l'Etiopia e il Somaliland che assicurerebe uno sbocco al mare ad Addis Abeba; il problema in questo caso è sia commerciale (il porto cinese di Gibuti verrebbe condizionato da questo nuovo scalo), sia soprattutto in prospettiva di un riconoscimento di Taiwan da parte di altri paesi, poiché il Somaliland ha una condizione assimilabile a quella di Formosa, non essendo riconosciuto dal consesso mondiale come entità statale, pur controllando il territorio settentrionale della Somalia con i preziosi porti di Lughaya e Berbera.
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Autore | OGzero - Orizzonti geopolitici |
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