Assolo iconografico
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Descrizione
Il marciapiede era più scuro del Solito, la violenta pioggia durante la notte aveva lavato la nebbia della polvere dopo alcuni giorni di temperature elevate che sembravano essersi divorate ogni...
mostra di piùSolito, la violenta pioggia durante la notte aveva lavato la
nebbia della polvere dopo alcuni giorni di temperature elevate che sembravano essersi divorate ogni volontà di scrivere e di agire.
Lei camminava con passo veloce e si godeva il paesaggio urbano avvolto da una quantità di grigi difficilmente definibili. C'erano grigi appena accennati e grigi profondi, cupi e,
in mezzo a questi, una gamma innumerevole di altre tonalità argenteo opache che riusciva a distinguere ma non si sforzava di descrivere.
Come ogni mattina, ormai da mesi, le sue foto in formato cartolina partivano dalla sua città verso un'unica, fissa, destinazione.
A riceverle un uomo.
Quando si avvicinava alla cassetta postale, rossa come i bus londinesi, veniva spinta da una energia inaspettata che le faceva
rilasciare la sua fotocartolina in quella piccola finestra basculante
in metallo con la scritta “Per tutte le altre destinazioni”.
Ogni mattina.
In cuor suo pensava che trecentosessantacinque immagini potessero
essere come i fogli di un calendario che, fissati sulla parete di casa rappresentassero quel suo silente anno di dialogo.
Quel giorno era il duecentoventunesimo, duecentoventuno cartoline, giorni fatti di sospiri, racconti, parole, pensieri, scatti fotografici ed azioni.
Quella mattina non sapeva che quel gesto sarebbe stato l'ultimo.
Aveva conosciuto quell’uomo per breve tempo, si
erano frequentati per un po’, dopo di che si erano salutati, lei con la
convinzione che lui fosse la sua ombra fattasi presenza. Una Forma. Un Disegno di realtà. La sfumatura di una illusione.
Quelle spedizioni erano il tentativo di costruire un filo di legame annodato ai due capi.
In realtà non immaginava minimamente
che fine avrebbero fatto quelle sue foto una volta arrivate a
destinazione e non se lo chiedeva. Soprattutto non lo aveva e non lo avrebbe mai chiesto a lui. Era importante ciò che faceva lei con tenacia e determinazione, con coraggio e sfrontatezza. Soprattutto per se stessa. Nutrimento di presenza. La volontà di essere e di assaporare la vita. Un momento per vivere se stessa.
Si faceva forte del pensiero che il principio di tensione del movimento e della spinta della sua scelta e del suo gesto quotidinano,
fosse la manifestazione dei suoi principi relativi alla cura della relazione.
E viveva tutto questo come fosse un gioco o bizzarria infantile fatta di gesti inconsueti che andavano al di là di ogni conformismo: sceglieva con cura le sue immagini, le stampava, le chiudeva in una busta sulla quale ricorreva lo stesso destinatario e lo stesso indirizzo.
Questo grigio mattino, trasparente di verità, lei dovette fare un grande sforzo per arrivare ad imbucare quell’immagine e, dopo averlo fatto, ebbe chiaro il pensiero che in quel momento depotenziava, questo suo gesto fattosi abitudine.
Una donna che ogni giorno spedisce una
sua fotocartolina diventa quasi il simbolo patetico di una illusione,
la visione struggente di una immagine che si fa voce, la dimensione
sentimentale di una paura, la ricerca affannosa del dileguarsi di un
dubbio.
Un assolo iconografico in bianco e nero.
Il presente del disincanto.
E perché no l’incanto del presente!
Chiaro, così come le nubi stavano lasciando spazio all’azzurro mattutino, le apparve il suo sentire: quello che fino ad ieri era stata gioia, oggi era sofferenza.
Ecco l’impedimento della sua mano!! Il dolore del suo braccio!!!
Il duecentoventunesimo giorno del risveglio della principessa addormentata, il passo verso la libertà.
Questo era ciò che le stava apparendo chiaro.
Guardò per un’ultima volta la rossa cassetta postale e poi alzò lo sguardo verso il limpido che si stava aprendo su di lei. La luce del sole cominciò a colorare il mondo intorno facendosi pastello, sorrise di un lungo sorriso e allora cominciò a ringraziare.
Ringraziò se stessa per ciò che aveva fatto per duecentoventuno giorni, ringraziò per ciò che se ne stava andando quel giorno stesso ste ringraziò quel momento di nuova consapevolezza per essere stata, ancora una volta, esperienza di sé.
Il marciapiede era più scuro del solito, la violenta pioggia durante la notte aveva lavato la
nebbia della polvere dopo alcuni giorni di temperature elevate che sembravano essersi divorate ogni volontà di scrivere e di agire.
Lei camminava con passo veloce e si godeva il paesaggio urbano avvolto da una quantità di grigi difficilmente definibili. C'erano grigi appena accennati e grigi profondi, cupi e,
in mezzo a questi, una gamma innumerevole di altre tonalità argenteo opache che riusciva a distinguere ma non si sforzava di descrivere.
Come ogni mattina, ormai da mesi, le sue foto in formato cartolina partivano dalla sua città verso un'unica, fissa, destinazione.
A riceverle un uomo.
Quando si avvicinava alla cassetta postale, rossa come i bus londinesi, veniva spinta da una energia inaspettata che le faceva rilasciare la sua fotocartolina in quella piccola finestra basculante in metallo con la scritta “Per tutte le altre destinazioni”.
Ogni mattina.
In cuor suo pensava che trecentosessantacinque immagini potessero essere come i fogli di un calendario che, fissati sulla parete di casa rappresentassero quel suo silente anno di dialogo.
Quel giorno era il duecentoventunesimo, duecentoventuno cartoline, giorni fatti di sospiri, respiri, racconti, parole, pensieri, scatti fotografici ed azioni.
Quella mattina non sapeva che quel gesto sarebbe stato l’ultimo.
Aveva conosciuto quell’uomo per breve tempo, si erano frequentati per un po’, dopo di che si erano salutati, lei con la convinzione che lui fosse la sua ombra fattasi presenza. Una Forma. Un Disegno di realtà. La sfumatura di una illusione.
Quelle spedizioni erano il tentativo di costruire un filo di legame annodato ai due capi.
In realtà non immaginava minimamente che fine avrebbero fatto quelle sue foto una volta arrivate a destinazione e non se lo chiedeva. Soprattutto non lo aveva e non lo avrebbe mai chiesto a lui. Era importante ciò che faceva lei con tenacia e determinazione, con coraggio e sfrontatezza. Soprattutto per se stessa. Nutrimento di presenza. La volontà di essere e di assaporare la vita. Un momento per vivere se stessa.
Si faceva forte del pensiero che il principio di tensione del movimento e della spinta della sua scelta e del suo gesto quotidiano, fosse la manifestazione dei suoi principi relativi alla cura della relazione.
E viveva tutto questo come fosse un gioco o bizzarria infantile fatta di gesti inconsueti che andavano al di là di ogni conformismo: sceglieva con cura le sue immagini, le stampava, le chiudeva in una busta sulla quale ricorreva lo stesso destinatario e lo stesso indirizzo.
Questo grigio mattino, trasparente di verità, lei dovette fare un grande sforzo per arrivare ad imbucare quell’immagine e, dopo averlo fatto, ebbe chiaro il pensiero che in quel momento depotenziava, questo suo gesto fattosi abitudine.
Una donna che ogni giorno spedisce una sua fotocartolina diventa quasi il simbolo patetico di una illusione, la visione struggente di una immagine che si fa voce, la dimensione
sentimentale di una paura, la ricerca affannosa del dileguarsi di un dubbio.
Un assolo iconografico in bianco e nero.
Il presente del disincanto.
E perché no l’incanto del presente!
Chiaro, così come le nubi stavano lasciando spazio all’azzurro mattutino, le apparve il suo sentire: quello che fino ad ieri era stata gioia, oggi era sofferenza.
Ecco l’impedimento della sua mano!! Il dolore del suo braccio!!!
Il duecentoventunesimo giorno del risveglio della principessa addormentata, il passo verso la libertà.
Questo era ciò che le stava apparendo chiaro.
Guardò per un’ultima volta la rossa cassetta postale e poi alzò lo sguardo verso il limpido che si stava aprendo su di lei. La luce del sole cominciò a colorare il mondo intorno facendosi pastello, sorrise di un lungo sorriso e allora cominciò a ringraziare. Da quel momento comico a produrre pensieri di gratitudine.
Ringraziò se stessa per ciò che aveva fatto per duecentoventuno giorni, ringraziò per ciò che se ne stava andando quel giorno stesso e ringraziò quel momento di nuova consapevolezza per essere stata, ancora una volta, esperienza di sé.
Informazioni
Autore | Paola Camiciottoli |
Organizzazione | Paola Camiciottoli |
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