7 - Il Maestro
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Descrizione
Ep. 7: Il Maestro (Testo e voce di anonimo) La Stamberga che fa da scuola al paese, per vent’anni, ogni giorno, salvo il sabato e la domenica, ché li passo...
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La Stamberga che fa da scuola al paese, per vent’anni, ogni giorno, salvo il sabato e la domenica, ché li passo su Sallustio e Tito Livio, mi attende a prestar servizio. Percorro la strada di sassi finché sulla destra non si apre un varco tra la vegetazione. Il noce sul crocicchio l’ha piantato il mio predecessore. E’ cresciuto al limitare del vallone. La Maria credeva che portasse male e ha sputato sulle radici ogni volta che c’è passata accanto. Da quando il morbo se l’è portata, il noce, a me, è parso meno triste. Il sentiero, piano, che mena la scuola, si distende sulla china che scende come una lingua di rostri. I rovi non li ha potati più nessuno, cosicché io e i bambini ed il bidello ci abbiamo fatto tutti i calzoni forati. In fondo, sullo spiano che si allarga, come un palmo d'una mano, i bambini giocano a biglie contro il muro che screpola vernice. Il bidello, sotto la casa dismessa, fuma Nazionali. I fichi non sono ancora maturi. I calabroni volano bradi. Tra poco sarà estate. Anche se vivo, solo, da quando mamma è morta, non ho mai sentito la necessità di compagnia. All’uscita della scuola, ho tirato sempre dritto, neanche li guardo i padri degli allievi tra le frasche, che a tracannare il vino greve con la grappa prendono il sole e il vento e non dicono una parola che sia sopra le carte stese sull’erba come cadaveri. D’altra parte la mia non è misantropia, perchè anche i gatti sopra i muraccioli crepati mi sono a noia e le galline e i cani. Solo le piante forse. Oggi, però, all’uscita di scuola, mentre i ragazzini con le bretelle a tirar su i calzoni se ne scappavano ridendo a casa, sono rimasto sotto il sole che spacca. Mi sono tolto la giacca e l’ho appoggiata sopra la cartella di cuoio. Me l’ha comprata mamma a una bancarella per la riabilitazione. Mi sono acceso una Nazionale e per la prima volta in vent’anni ho fatto il giro della scuola. Il bidello Nicosini, dietro, ci alleva le capre. Gliel’avrò detto cento volte che il puzzo di urina vien su fino alle aule, ma lui niente, e alla festa di Sant’Anita porta una provola da dividerci in classe. E gliela si perdona tutti allora la sua misera libertà delle varcato sopra la scuola. Io però la stalla non l’ho vista mai. Le capre, piegate sul pagliericcio umido, si rivolgono a me con occhi di gelatina che mi paiono lune in mezzo a un crepuscolo di peli. Alle mie spalle c’è un piccolo orto. Nicosini s’è preso altre libertà. Più in là il bosco chiuderebbe l’orizzonte se non ci fosse uno spiraglio tra i roveti. Nicosini ha parlato di un sentiero che un tempo usava per la caccia. Il sentiero, ripido, disserrato ora, una marcite essiccata e attraverso le foglie a punta di lancia di un albero che mi è sconosciuto la gialla ferita che la frana ha lasciato sul dorso del monte. Le interruzioni si fanno più frequenti ora che scendo. Il mio respiro accelera. Il coltello da intagliatore oscilla nella tasca dei pantaloni. Mi aspetto di scorgere un capriolo agonizzante. Gli premo la testa contro i sassi e affondo il coltello dentro il collo. Il sangue sale come una fonte. Sono un predatore. Il vento stride come il rapace tra gli spacchi del legno. Corro. L’upupa intreccia il suo canto con la poiana. Un grugnito nel folto. Sono una preda. Non avessi mai messo piede nel solco. Sono caduto e mi sono lacerato la camicia contro un sasso sporgente. A terra, invaso dal rumore insistente delle acque, una griglia incandescente della paura, rivolgendo gli occhi verso l’alto, scorgendo nel brulichio delle foglie la rugiada di luce. Da quanto tempo mi sono abbandonato alla consistenza tenue dell'oblio. Mi è tornato alla mente il volto di una ragazza. Un nome. Il suo. Ma è l’incanto di un attimo. E il vento mi strappa la memoria. Le mie viscere esposte. L’unica cosa. La vegetazione si fa più folta. Il calore sale dalla terra. Le mosche mi perseguitano come colpe l’addome scoperto. Non c’è via d’uscita. Dovrei tornare indietro ma è troppo tardi. Nel folto il bosco si dirada. L’erba scompare. La terra rivela le sue ossa azzurre. L’aria è pesante, fatico a respirare. C’è un cartello bianco sul quale non distinguo le lettere. Sono nere. C’è dell’acqua sospesa nell’aria che pare una diga o un vortice o una tomba. Al di là ci sono le rogge tumultuose che scendono dai monti, le radure, la pace sugli altipiani. E per un attimo mi fingo l’allegria. Ma poi scorgo altre case, altri campanili, altri campi, altre scuole. In un attimo il velo ricade su di me. Eppure non è il solito tedio che mi assale, del riconoscimento del medesimo corso, della medesima opera, perché una luminescenza scivola attraverso le pietre. Sale nell’aria. Le protuberanze violacee e una bocca di muco che si spalancano di fronte a me. E’ questo che vedo prima di venir meno. A casa ho gli occhi rivolti all’orizzonte. Le sterpaglie del pruno si addensano in basso. In alto, le nuvole sono rare. La lama affonda nel ventre e penso al suo nome.
Podcast ideato, scritto e registrato nell'ambito di Oltrepasso 2023, residenza artistica nel villaggio di Osacca (PR).
Musica di:
Sabina Hansen - Clarinetto
Alessio Dal Checco - Sax, elettronica
Giovanni Di Bella - Tromba, chitarra elettrica
Sebastiano Ratti - Violoncello, elettronica
Serena Carapellese - Violoncello
Marco Minoia - Synth, Voce
Marco Bussi - Synth
Alberto Leoni - Synth, piano
Marco Nardella - Piano
Matteo Cenerini - Chitarra elettrica
Pieraldo Cassanelli - Chitarra elettrica
Testi di:
Eleonora Andrighetto
Davide Longo Langella
Lorenzo Manenti
Davide Rigamondi
Mastering e mixaggio: Sebastiano Ratti
Da un'idea di: Giorgio Kralkowski
Informazioni
Autore | Akuatica - Oltrepasso 2023 |
Organizzazione | Oltrepasso |
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