A Muhiba e a suo marito Himzo Tokmic, intervistati nella casa di Pontenure, trent’anni sembrano ieri. Era il primo marzo 1992 quando iniziò la guerra in Bosnia ed Erzegovina, una guerra mondiale nascosta, pagata da oltre novantamila morti accertati, "ma ancora nel 2015 le abbondanti piogge hanno portato alla luce altri cadaveri, avevano le mani legate dietro la schiena", dicono Muhiba, 54 anni, e Himzo, 55, lei originaria di Dzemilic Planje e lui di Alibegovci. Avevano poco più di vent’anni, due figli piccoli (altri due sarebbero nati di lì a poco, in piena guerra, quando non c'era più cibo e negli ospedali c'era da far spazio ai feriti), quando cercavano un briciolo di speranza in mezzo a quella vita di luce che andava e veniva, di notti in cantina per terrore delle bombe, "con i pacchi degli americani che cadevano di tanto in tanto dal cielo, poi scoprimmo che molte cose erano scadute". "I supermercati erano stati presi d’assalto, avevamo soldi ma non si potevano usare, perché tanto non c’era più niente. Io non ho visto zucchero per quasi un anno", precisa Muhiba. "Se provavi ad andare a raccogliere la frutta o il fieno per le bestie ti sparavano. Le moschee sono state distrutte tutte". Himzo: "Noi siamo nati in un paese di musulmani, cattolici, ortodossi, nessuno a scuola ci ha mai chiesto di che religione fossimo, mai. Per noi era sempre Dio, comunque lo si pregasse. Da un giorno all’altro cambiò tutto". Nel 1996 a guerra finita la famiglia Tokmic arriva in Italia, in nave, la Spalato-Ancona. Furono i primi stranieri a Pontedellolio, perché Himzo aveva trovato lavoro, alla Valmar. Un'altra vita, ma che non dimentica: "Di certo anche in quelle cantine noi non abbiamo imparato ad odiare". Sono duemila i bosniaci nel Piacentino. Podcast di Elisa Malacalza. Editing e sound design Matteo Capra
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