Rosaria Lo Russo "Tande"
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Rosario Lo Russo "Tande" Vydia Editore www.vydia.it Candidato al Premio Strega Poesia, 2024. Un testo potente e coraggioso, in cui storia personale e storia contemporanea si intrecciano, si riflettono e...
mostra di più"Tande"
Vydia Editore
www.vydia.it
Candidato al Premio Strega Poesia, 2024.
Un testo potente e coraggioso, in cui storia personale e storia contemporanea si intrecciano, si riflettono e si compenetrano nell’invenzione continua di una lingua che è a un tempo recupero sapiente e sfida ingaggiata verso un patrimonio linguistico e letterario modulato, senza prudenze, dai classici alla citazione pop. Lo Russo perlustra, in ogni sua possibilità, l’estensione vertiginosa di uno spazio vocale e lessicale che dalle approssimazioni della primordiale espressione infantile arriva a lambire la letteratura “canonizzata” e la cronaca, attingendo alle sorgenti gergali e del dialetto, in un’alchimia poetica sorprendente, governata ad ogni verso.
« LeggoTande e mi chiedo come accade. Come fa Lo Russo a raccontare senza racconto? A interrogare le dispotiche autorità del DNA e del caso, così ineluttabilmente alleate insieme, e a implicare – sin dall’inizio, “sulle note dell’inno nazionale” – mezzo secolo di costruzione (e crolli) della società italiana? A favoleggiare in fughe di lemmi che si autogenerano da una stessa scintilla sonica, eppure centrano il vulnus? A demistificare la poesia simbolista, romantica e post, come pure le maschere moderniste, idem le diversioni postmoderne, e rimanere immersa nella pletora di una poesia di mille anni? E niente meno che a sondare “la verità di questo mondo”, come diceva Bardamu, “la morte”. Segreti dell’incastro da maestra d’ascia, scatenamento dell’eccesso d’una ministra del sabba – dovrei saperlo, dopo quasi quattro decenni di scritture in cui Lo Russo convoca vaste molteplicità di soggetti, simboli, allusioni, registri, e per sfidarli tutti. Eppure, in Tande qualcosa di ulteriore accade se nel riandare a “mamma_memento_mori” e “bramebabbo”, indagando il nucleo urticante e sempre sfuggente dell’origine, di sé come della poesia, “la puntura al centro dell’occhio”, Lo Russo scova il modo per perlustrare un furore più vasto del conflitto primario personale. E mostra quei meccanismi psico-sociali perversi che, nell’illusione del completo controllo e dell’eterna perfettibilità, con la scusa di reprimere e ammansire, lasciano dilagare le pulsioni più violente. Esse si scatenano sugli inermi, su chi è fragile e instabile, e prima ancora sui bambini e le bambine, tutti loro doppiamente vittime: sia dell’accumulazione egoista, ossessiva, financo criminale, che produce rovina e soffoca ogni tenerezza, sia di un universo opaco, integerrimo solo a seguire il suo plumbeo arbitrio – “nessun divieto, nessuna legge, nessuno Stato, Nessuno”. Non consolazione ma modalità di resistenza sarà allora il “godere contro” dell’esuberanza linguistica in Tande: l’energia gergale e colta, la parodia grammaticale, i diminutivi e i soprannomi, i regionalismi e le criptocitazioni, il canone e il pop, le parti della frase usate al posto ‘sbagliato’ e le onomatopee, fino al rastremarsi del verso che sulla pagina cola non l’espressione ma l’esplosione del sé, tutto contribuisce a far riemergere il “grumo” sepolto, a disseppellire risorse spirituali inaspettate. La parola “Tande” stessa, inventata e piena d’echi, acefala o contratta, che suona straniera, che si svela intima, è indefinibile e realissima. Designa un oggetto transizionale e lo è già in sé in quanto neologismo, come lallatio variata della bambina che non sa ancora parlare e come rappresentazione del non dicibile, di un dire che è stato superato. In questo spazio di negoziazione Lo Russo allestisce la scena famigliare, fatta di icone, incubi, visioni mistiche e grottesche, ironie dal feroce al commosso, memorie popolari, fascismi di ritorno, deliri notturni, possessioni del corpo. È una sinfonia in più movimenti, con temi e motivi ricorrenti, e sfidanti performance orali. Lungo questa via matris, tra l’ingoiamento e il rigurgito, prende forma un’orazione per cercare di accettare tutto il male, il miele e la lama – “la vostra lama di miele / m’incide la gola” – e trasformarlo in parola, autoscoperta, comprensione, anche per le struggenti figure passate “nell’Amore Enorme”. Da esso, già nato per eco, attraverso la materia sonora passa un appello: continuare a processare la sostanza del dissesto. »
(Renata Morresi)
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